L’educazione moderna, si pensi a Rousseau, entra in scena in un contesto socio-culturale contrassegnato da quella che potremmo definire la crisi della concezione classica dell’uomo. Venuta meno la teleologia naturale, diciamo pure il telos, a partire dal quale l’uomo comprendeva se stesso e dal quale traeva in ultimo la propria misura, non restano che le infinite possibilità di un soggetto che non ha più limiti. Di qui le sperimentazioni più spericolate, vuoi verso il ritorno (impossibile!) alla spontaneità dello stato di natura, ossia dell’homme naturel, come lo chiamava Rousseau, vuoi verso l’uomo totalmente “sociale”, il roussoiano “cittadino”. Spontaneismo e socializzazione diventano gli errori tipici di un certo modo di concepire l’educazione, dal quale lo stesso Rousseau, a dire il vero, prese le distanze, ma che purtroppo ha continuato a persistere anche nella pedagogia contemporanea. Alla base di questi errori sta una perniciosa mancanza di senso della realtà e un’altrettanto perniciosa, speculare, propensione all’astrazione.
“Educare l’uomo – così recita uno dei tanti aforismi fulminanti di Nicolàs Gòmes Davila – è impedirgli la libera espressione della sua personalità”. Ecco una bella provocazione per gran parte della pedagogia contemporanea. Non si tratta infatti di ribadire, magari contro Rousseau, il senso di una educazione autoritaria. Ormai credo che un salutare antiautoritarismo sia stato digerito pressoché da tutti. Si tratta piuttosto di non dimenticare la realtà, di non dimenticare che non rimarremo per sempre bambini e che la nostra riuscita nella vita, la nostra felicità dipenderanno soprattutto dalla “coscienza” che avremo acquisito della realtà e di noi stessi, nonché dalla nostra capacità di vivere in armonia con entrambi, senza velleitarismi, abdicazioni o risentimenti.
Abbiamo dunque bisogno di educazione, non per liberaci di ogni condizionamento sociale, né per diventare buoni cittadini (o buoni cattolici), ma semplicemente per trovare la nostra strada, per sentirci a casa nel mondo che abitiamo e diventare ciò che siamo: uomini, appunto; persone libere, la cui irripetibile unicità si esprime sempre in un tessuto di relazioni costitutive. Ma la nostra epoca sembra averlo dimenticato. Viviamo, come è noto, in una società “ipotetica”, orgogliosa della propria “debolezza” normativa e intellettuale. La libertà di ciascuno di orientare a piacimento la propria vita è diventata una sorta di dogma da far valere in ogni ambito della vita individuale e sociale, quindi anche nelle istituzioni educative, le quali, proprio per questo, si pensi alla famiglia e alla scuola, sono finite per navigare a vista, senza una rotta precisa, né un obiettivo ideale da raggiungere.
Grazie alla scienza, alla tecnica e, paradossalmente, al dubbio metodico, ci siamo messi sempre di più al sicuro rispetto alla realtà; quest’ultima ci resiste sempre di meno; è sempre di più un semplice pretesto, sul quale esercitare le nostre scorribande, per diventarne “padroni”. Ma l’effetto, forse imprevisto e certamente indesiderato, è quello di una sempre più paralizzante paura nei confronti della vita, la quale, come sappiamo, è incerta per definizione, e tale resta nonostante i nostri “calcoli”. L’unica realtà che riusciamo più a sopportare è quella che dipende da noi, quella “fatta” da noi; la luce che illumina le nostre azioni non è più data da un “ideale di vita”, ma da un progetto “tecnico”; al mondo reale si sostituisce insomma una sorta di mondo di plastica, un universo simbolico fatto di infinite possibilità, tutte ugualmente possibili, dove una sorta di nichilismo tragico e divertito sembra danzare ormai il suo tripudium.
La maggiore libertà di cui tutti godiamo, i grandi strumenti di dominio di cui disponiamo, i vecchi e i nuovi mezzi di comunicazione avrebbero esigito maggiore consapevolezza e responsabilità da parte di tutti i soggetti coinvolti nei diversi processi educativi. Invece abbiamo abdicato proprio su questo punto, generando una situazione paradossale e drammatica.
Mai come oggi l’educazione è stata tanto necessaria, visto che, essendo tutti più liberi e più bombardati da tante “informazioni”, siamo tutti anche più esposti, specialmente i ragazzi e i giovani, al rischio di non venire a capo della nostra vita; e mai come oggi l’educazione è stata un bene tanto scarso. In questi anni abbiamo parlato molto di amicizia tra genitori e figli e tra maestri e allievi, molto di tecniche educative, ma troppo poco di educazione, ossia di responsabilità, serietà, doveri (anche da parte dei figli e degli allievi); abbiamo parlato troppo poco di bellezza, di passione, di questioni sostanziali collegate ai valori, alle convinzioni, alle tradizioni culturali dei popoli, senza accorgerci che in questo modo stavamo semplicemente fuggendo da noi stessi. E oggi lo scontiamo in termini di spaesamento, sradicamento, disagio sempre più profondo sia da parte degli adulti che dei giovani: i primi sempre più impauriti di fronte alle loro responsabilità, sempre più accondiscendenti e incapaci di testimoniare alcunché; i secondi sempre più esigenti, capricciosi e incapaci persino di mostrare esplicitamente la loro rabbia.
Anziché puntare alla formazione della persona, ci siamo affidati alle metodologie, ai “saperi” da trasmettere, alla neutralità delle nozioni e dei valori insegnati. Ci siamo erroneamente illusi che l’educazione potesse essere una materia da “esperti”, dimenticando così le poche e semplici evidenze elementari su cui, da sempre, si fondano tutte le vere relazioni educative: convinzioni profonde, amore, esempio e, soprattutto, nessuna pretesa di essere padroni della situazione. Un progetto educativo non è, non può essere, un progetto tecnico; è un processo di generazione di una persona e quindi sempre esposto al rischio della libertà che ciascuno di noi è.
“La vita è ciò che accade mentre stai facendo altro”, cantava John Lennon. Non sono sicuro che avesse ragione. Ma certamente ci sono buone ragioni per pensare che la cosa valga per l’educazione. Davvero questa accade mentre stiamo facendo altro. Se ci pensiamo bene, le persone che hanno influito di più sulla nostra vita, lo hanno fatto grazie a ciò che, con l’esempio, con la parola, con uno sguardo, ci hanno insegnato implicitamente, non esplicitamente. Per questo è estremamente difficile e sbagliato trasformare l’educazione in un protocollo da seguire. A meno che non si voglia davvero diventare “specialisti del nulla”.