Caro direttore,
Si parla in questi giorni di un concorso per 12mila persone da immettere nella scuola. Credo purtroppo che senza qualche aggiustamento e qualche cautela sarebbe ad oggi un grande errore sia nella sostanza che nel metodo. Nella sostanza perché l’investimento in istruzione è una grande idea ed un ottimo modo di costruire il futuro, ma per come funziona ad oggi la scuola e il mercato del lavoro, il ritorno dell’investimento non sarà adeguato e sarà inevitabilmente negativo sia per chi insegna che per chi frequenta. Infatti, la scuola italiana non funziona bene perché è afflitta dai mali comuni a tutta la Pa. Troppo attenta alla conformità dei suoi atti e poco alla loro sostanza. Inoltre ormai la spesa per il personale nella Pa sta assumendo un livello imbarazzante. Gli enti esistono quasi solo per pagare il personale senza avere mezzi per erogare servizi reali.
Seppur generalizzare non sia corretto, in quanto le scuole primarie e secondarie sono sicuramente migliori delle superiori e delle università, credo sia necessario prima riformare la filiera dell’istruzione e l’organizzazione della Pa, invece di aggiungere risorse ad un settore che funziona spesso in modo distorto, frustrando i più bravi e non aiutando i meno bravi.
Bisognerebbe poi ridisegnare tutta la struttura degli “enti” del settore educativo in modo che il cittadino possa scegliere programmi, insegnanti e scuole a seconda del proprio “portafoglio” e delle proprie idee. Per ultimo mi chiedo che istruzione può dare un Paese che non ha deciso ancora se prendere una la via moderna dei servizi, la via industriale, la via culturale o la via rurale e di protezione dell’ambiente? O addirittura che tipo di sistema elettorale o di architettura dello stato. L’accordo su queste decisioni mi sembra ancora molto aldilà da venire e prima di istruire credo si debba porsi il problema di istruire a fare o ad essere cosa. In mancanza di questi cambiamenti e di queste scelte si rischia solo di alimentare lo “stipendificio” e non di investire realmente nella buona istruzione dei nostri figli.
La scelta è anche sbagliata nel metodo perché ad oggi il meccanismo del concorso pubblico è molto costoso per lo stato, garantisce una selezione solo formale e poco sostanziale del personale e non permette al dirigente di poter scegliere i collaboratori che meglio possono fargli raggiungere gli obiettivi del loro ruolo.
Obiettivi che servono ai cittadini, non lo scordiamo. Tra le altre cose, per i concorsi su numeriche più basse, fatta la norma si è trovato l’inganno con la possibilità di aggirare il concorso, come testimoniamo le migliaia di concorsi per un posto solo con il vincitore già annunciato. E’ necessario poi che il concorso pubblico sia uno strumento in grado di attrarre le migliori risorse in modo attivo invece di limitarsi a ricevere le “candidature” in modo passivo, limitandosi a distribuire una risorsa scarsa, il lavoro.
Secondariamente se giudichiamo il metodo di selezione dal risultato, anche guardando a tutta la Pa, il responso non è molto felice. Ci sono troppi maxi stipendi nel settore pubblico dovuti a barriere all’ingresso e ad uno scarso “matching” tra domanda ed offerta. Allo stesso tempo ci sono pochissime possibilità per gli attuali contratti pubblici di incentivare i più bravi a fornire un servizio migliore ai cittadini, retribuendoli a seconda del merito. Perché l’istruzione dovrebbe fare eccezione?
A mio avviso bisognerebbe, quindi, prima modificare il regolamento del concorso pubblico, “aprendolo” a metodologie presenti anche nel settore privato che uniscono imparzialità, massima diffusione dell’informazione, trasparenza ed efficienza nella selezione. Secondariamente bisogna modificare le stesse regole di gestione del personale. Osservo, infatti, che il posto fisso e sicuro, nella scuola come negli altri settori, completamente “slegato” dal merito e dalla performance non sia più né sostenibile né etico per il nostro Paese. Sopratutto le persone giovani e con un alto titolo di studio devono sempre più abituarsi a “cercare il lavoro”, a trovare il bisogno della propria performance lavorativa, a creare il lavoro dove è necessario e non attenderlo supinamente in fase di colloquio.
In ultima analisi bisognerebbe incentivare sopratutto nel settore pubblico l’utilizzo del temporary management, dove il risultato dell’attività diventa giudice per la riconferma, esclusivamente se ve n’è effettiva necessità. Siamo sicuri che un docente non debba aggiornare periodicamente la sua preparazione con un passaggio sul mercato o un periodo di approfondimento?
Perché allora non utilizzare questo investimento economico per assumere 12mila nuovi docenti in modo radicalmente innovativo e con nuovi criteri e metodologie? Sarebbe una scelta intelligente ed un’iniezione concreta di cambiamento nella realtà del Paese. In sostanza bisognerebbe mettere mano ai criteri di selezione, alle metodologie e dare a questi nuovi docenti un vero e proprio nuovo contratto di lavoro ed un “ambiente” radicalmente diverso nel quale esprimersi. Potrebbe essere una grande occasione per riprogettare nella patria della cultura il nostro sistema educativo e della Pa. Adattandolo ai tempi moderni. Partire da questi 12mila mila scegliendoli in modo corretto e dandogli il giusto contratto e la giusta retribuzione li aiuterebbe a lavorare bene e a rendersi utili. Sarebbe encomiabile ed un passo concreto verso il progresso del nostro Paese.
Per il futuro del lavoro e della pubblica amministrazione una riforma di questi modi di selezione, valutazione e gestione del personale è molto più importante della spending review e rappresenta un modo di riequilibrare in modo corretto i ruoli tra cittadino, dipendente pubblico, manager e politica. Questo lo si può fare solo modificando le procedure di concorso pubblico, modificando l’ossatura dei contratti pubblici, cambiando i programmi d’insegnamento e creando condizioni di competizione seria tra docenti, tra scuole, tra società pubbliche e tra uffici e di conseguenza un diverso trattamento economico ed incentivo. In mancanza di questa valutazione, questo concorso sarà il solito balsamo lenitivo per la grande malattia del Paese: il Lavoro.
In nome del principio sancito dalla costituzione del “Diritto al Lavoro”, sempre più irrealistico ed antistorico, con la disoccupazione giovanile al 30%, faremo del bene a queste migliaia di persone sacrificando l’interesse degli altri, soprattutto poi nel delicato ambito dell’istruzione, che rappresenta la base per il nostro futuro. Un diritto è reale se lo è per tutti, altrimenti è solo una discriminazione, come ben sanno quelli che hanno vinto un concorso pubblico ma non sono mai stati assunti. In generale dalla sfida di rendere utile una Pubblica amministrazione imponente e un Istruzione universale, come la nostra, passa buona parte della nostra capacità effettiva di crescita nel futuro prossimo. Non perdiamola!