Il sistema scolastico italiano, com’è noto, macina diseguaglianza, stante il fatto che 1 giovane su 3 abbandona la scuola secondaria superiore prima di arrivare a conseguire un diploma. Accanto a forme così evidenti di disaffezione per gli studi, si colloca poi il dramma dei Neet (i giovani tra i 15 e i 29 anni che non sono impegnati né in un percorso formativo, né occupazionale), che colpisce quasi 1 giovane su 4 in questa fascia di età. La costruzione di un sistema di valutazione delle scuole dovrebbe pertanto rispondere alla domanda su cosa non funziona ed eventualmente suggerire strumenti per il miglioramento dell’offerta formativa. Non si dovrà temere, come mostrano le migliori esperienze internazionali, il rilevamento degli apprendimenti degli alunni, purché si rispetti il contesto in cui si collocano le scuole e, soprattutto, si aiutino i docenti a sviluppare una forte soggettività culturale e professionale.



Da questo punto di vista, l’approvazione in Consiglio dei Ministri di un Dpr che, tra gli altri, riguarda l’istituzione e la disciplina di un Sistema nazionale di valutazione (SNV) è una notizia che giustamente fa discutere e che dovrà aprire una riflessione, in sede parlamentare e nell’opinione pubblica, prima della conversione definitiva. Dal testo del decreto si evince che il SNV sarà costituito da tre perni: l’Invalsi (l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione e formazione) che propone e coordina i protocolli di valutazione; l’Indire (l’Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa) che dovrà fornire un supporto per il miglioramento della qualità dell’offerta formativa e dei risultati degli apprendimenti degli alunni; un corpo di ispettori che dovranno partecipare ai nuclei di valutazione. Il sistema, in fase dinamica, è pensato in modo che all’autovalutazione delle istituzioni scolastiche si accompagni una valutazione esterna incentrata sulle visite dei nuclei costituiti da un dirigente tecnico del contingente ispettivo e da due esperti scelti, selezionati e formati dall’Invalsi che provvederà a inserirli in un apposito elenco. 



Nell’ottica dell’amministrazione che ha provveduto al riassetto, uno dei punti di forza della riforma è costituito dall’autovalutazione delle scuole, determinata sulla base di dati forniti dal sistema informativo del Miur, dall’Invalsi e dalle stesse scuole. Gli esiti del procedimento di valutazione, informa la stessa fonte interna, non hanno l’obiettivo di sanzionare o premiare, ma intendono rendere pubblico il rendimento della scuola in termini di efficacia formativa.

Prendendo per buona questa sottolineatura, occorre dire che la valutazione della scuola è efficace se mette i docenti nella condizione di conoscere meglio il rendimento dei propri alunni, senza che rifuggano da un giudizio sui propri metodi di insegnamento, ma senza che siano essi stessi espropriati del dovere (che è anche un diritto) di essere i primi responsabili del rapporto educativo e formativo da avviare con gli alunni. 



Sotto questa luce, bisogna rimarcare che le prove standardizzate Invalsi, che il decreto prevede di implementare (saranno effettuate su base censuaria nelle classi seconda e quinta della scuola primaria, prima e terza della scuola secondaria di I grado, seconda e ultima della scuola secondaria superiore), sono tanto più efficaci quando non entrano nel merito della didattica né del giudizio sul singolo studente, ma forniscono agli insegnanti indicazioni chiare su determinati risultati che i medesimi potranno rielaborare diventando sempre più i protagonisti dell’atto educativo. 

L’individuazione degli “esperti” che sono previsti dai nuclei di valutazione dovrà segnare un’inversione di tendenza rispetto ad una cultura centralistica dove l’istituzione crea e ricrea continuamente se stessa. Pertanto non dovranno prevalere, ahinoi, i valutatori di professione, bensì docenti, dirigenti, insegnanti e docenti universitari, persone del mondo delle aziende e professioni che potrebbero dedicare del tempo per seguire alcune scuole. La loro formazione potrebbe essere curata da altri su incarico dell’Invalsi. Stesso discorso per l’Indire, che non potrà porsi come unica entità che fa e propone formazione diventando autoreferenziale. Dovrà essere attuata pienamente quella possibilità che prevede che l’Indire operi in collaborazione con università, enti di ricerca e altri organismi tecnici e scientifici, sia pubblici che privati; in tal senso dovrà essere promosso un reale protagonismo delle scuole anche nella scelta dei partners con i quali collaborare per il miglioramento del proprio profilo. 

In sintesi, un sistema nazionale di valutazione deve fornire strumenti a chi opera nella scuola senza pretendere di prendere il suo posto. Soprattutto funziona se è condiviso e non imposto come unica panacea. L’occasione perché questo avvenga non può essere sprecata.