Negli scorsi giorni il ministro Profumo ha annunciato la pubblicazione, prevista per il prossimo 24 settembre, di un bando di concorso, “per titoli ed esami, su base regionale, finalizzato alla copertura di 11.892 cattedre nelle scuole statali di ogni ordine e grado, risultanti vacanti e disponibili” (per approfondimenti si rimanda al comunicato del Miur del 24 agosto). Altrettanti posti saranno messi a disposizione dal Miur attingendo dalle attuali graduatorie c.d. a esaurimento, basate sull’anzianità di servizio: in questo modo il governo Monti ha deciso di immettere in ruolo quasi 24mila insegnanti nell’anno scolastico 2013-2014.
Senza entrare in una discussione sui modelli di reclutamento degli insegnanti (magari in un’ottica di maggiore autonomia per i singoli istituti scolastici), che richiederebbe un lungo e complesso approfondimento, si può affermare che l’apertura di una procedura concorsuale (era dal 1999 che non accadeva) con il compito di selezionare i docenti più meritevoli è un positivo segnale di ritorno alla normalità. Certamente ben altre modalità si potrebbero introdurre ma, rebus sic stantibus, senza profonde ed efficaci riforme del nostro sistema di reclutamento, il concorso pubblico è forse l’unica alternativa concretamente praticabile in tempi brevi. Il Miur, nell’annunciare il concorso, ha assicurato che esso avverrà “secondo modalità innovative per favorire l’ingresso nella scuola di insegnanti giovani, capaci e meritevoli”. Il fine, alto e degno di encomio, sarebbe quindi quello di favorire un ricambio generazionale in un settore dove il nostro Paese vanta un poco invidiabile record per la massiccia presenza (quasi il 60%!) di docenti ultracinquantenni nelle scuole superiori. Speculare a questo dato vi è l’assenza quasi assoluta (solo lo 0,5%) di docenti con meno di 30 anni.
Di fronte a tali numeri il tentativo del ministro Profumo andrebbe incoraggiato il più possibile, ma accanto alle dichiarazioni di intenti sorgono notevoli perplessità: come infatti ha giustamente sottolineato Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Giovanni Agnelli, “a dispetto delle affermazioni del ministero, non è, però, scontato che con questo concorso sarà possibile avviare l’indispensabile ringiovanimento del corpo docente italiano. Il concorso difficilmente potrà, infatti, discostarsi dalle regole attuali, che privilegiano titoli e anni di insegnamento. Se poi l’accesso dovesse essere limitato a chi ha già l’abilitazione, come è stato dichiarato, l’esclusione dei più giovani sarebbe praticamente totale, perché pochissimi di costoro ne sono già in possesso, almeno fino all’andata a regime dei nuovi tirocini formativi”. Come non condividere tali preoccupazioni? Il rischio è infatti quello che, alla fine, “i nuovi docenti in ruolo saranno selezionati largamente sulla base di un criterio di anzianità di servizio, analogamente a quanto avviene per le graduatorie”.
Se veramente lo scopo del ministro è quello di portare nelle aule italiane giovani preparati e motivati, come una ventata di aria fresca, occorre non perdere questa occasione, permettendo ai giovani che stanno sostenendo in questi mesi le prove di accesso ai Tfa (Tirocini formativi attivi) di poter partecipare a questa gara.
Perché infatti “limitare la competizione” escludendo proprio i soggetti più giovani e che potrebbero risultare (almeno alcuni tra essi) anche tra i più “capaci e meritevoli”? Occorre perciò innanzitutto consentire anche agli attuali abilitandi di iscriversi (con riserva!) al concorso, analogamente a quanto avviene per l’iscrizione ad alcuni concorsi per i dottorati di ricerca (a cui ci si può iscrivere anche prima del conseguimento della laurea).
Ovviamente tale iscrizione sarà sottoposta a una condizione sospensiva: infatti, se al termine del percorso del Tfa i candidati non risulteranno idonei e non conseguiranno perciò l’abilitazione, anche la loro partecipazione concorsuale verrà annullata. Ma, in caso contrario, proprio non si vede perché limitare una competizione che ha lo scopo di selezionare gli insegnanti più bravi e più giovani, escludendo fin da principio proprio coloro i quali avrebbero tutte le carte in regola per dare il loro prezioso contributo al mondo della scuola.
In secondo luogo, è necessario rivedere fin da subito i criteri per la valutazione dei titoli, ponendo l’accento sull’esito delle prove e dando minor peso al criterio dell’anzianità di servizio (che, non dimentichiamocene, rimane il criterio delle graduatorie ad esaurimento, ossia quello per assegnare la metà del totale dei posti disponibili). Tutto questo in attesa di una vera e propria riforma del nostro sistema di reclutamento…
Il ministro Profumo sta dimostrando di voler lasciare il segno sulla scuola con scelte coraggiose: prosegua fino in fondo alla strada intrapresa e non perda l’occasione per promuovere un vero rinnovamento.