Solitamente entro in libreria con un elenco di libri da acquistare stilato in base a recensioni lette o consigli di amici di pensiero. Qualche volta è un libro che sceglie te, ti ammicca e riesce ad intrigarti per il titolo, la copertina, l’autore. Mi è successo qualche mese fa con il romanzo di Fulvio Ervas Se ti abbraccio non aver paura. Autore a me sconosciuto, titolo plurisemantico, casa editrice che in genere non mi delude (Marcos y Marcos). Leggo velocemente la quarta di copertina e scopro che il libro parla di un ragazzo autistico.
Il mio io professionale pensa subito a un possibile aumento di conoscenza sul problema, il mio io più affettivo decide che potrò donarlo a un’amica che vive l’esperienza di un figlio autistico da ormai otto anni. Acquisto e inizio a leggere con voracità. Strano. Niente a che fare con la storia dell“uomo della pioggia” magistralmente interpretato da Dustin Hoffman o con il telefilm dei nostri giorni “Touch”. In entrambi i casi il protagonista affetto da autismo è tratteggiato come un genio a metà, accettato più che per se stesso per qualche dono speciale che lo rende unico ma incomprensibile.
Mi cattura questa storia di un padre (di un padre questa volta, non di una madre!) che decide di fare un viaggio off limits perfino con un figlio “normale”, un viaggio attraverso Stati Uniti e America Latina con Andrea, diciottenne, autistico, nell’estate del 2010. Portare il figlio autistico in un viaggio on the road richiede coraggio o sconsideratezza. E’ noto che le persone affette da autismo sono legate a rituali e gesti ripetitivi e sempre uguali; andare alla ventura è rischiare di scardinare l’ordine apparente che tiene insieme l’equilibrio strano e misterioso di questo figlio alto, bello che ha bisogno di punti di riferimento sicuri.
Eppure nel dipanarsi del viaggio Andrea riesce a mangiare, perfino a gustare, cibi dai colori non consueti, ad affrontare situazioni sconosciute e strane, con sorpresa del padre che è più in ansia del figlio. In realtà, la cifra che caratterizza questa storia è la crescita a corrente alternata ora dell’uno ora dell’altro dei protagonisti. Ci sono episodi quasi commoventi, mai mielosi, in cui è Andrea dal suo mondo extraterrestre a sostenere il padre.
Il quale, alla fine del viaggio, non arriva a conoscere di più il mondo di Andrea o a trovare risposte o soluzioni alla patologia del figlio. Ritorna a casa, dopo tre mesi di avventure, con un affetto eun rispetto per un mondo che non riesce a penetrare, ma che sa esistere dentro quel ragazzone apparentemente legato a poche e reiterate emozioni. Andrea si rapporta alle persone abbracciandole e toccando loro la pancia: da qui reazioni di paura o di stupore negli altri. Allora una soluzione pratica; far scrivere su magliette colorate indossate da Andrea “Se ti abbraccio non aver paura”. “Una scritta né troppo grande, né troppo piccola: non voleva essere un avvertimento minaccioso e tantomeno una supplica. Un semplice suggerimento”.
Così racconta il padre che, ora più di prima, sa, è certo dell’esistenza di un mondo interiore del figlio complesso e articolato come il mondo interiore di ciascuno di noi. Ed è questo stare di fronte alla realtà senza pregiudizi o stereotipi che permette a padre e figlio di incontrarsi su binari paralleli che spesso si sfiorano in “scambi” non previsti sulla mappa dell’esistenza. Non è necessario conoscere tutto di una persona per entrare in rapporto con lei, non è necessario codificare tutto e pianificare tutto: è necessario lasciare spazio al mistero che si fa epifania quando meno te lo aspetti e nelle modalità meno consuete.
Allora può accadere l’impensabile, compreso che un adulto genitore impari dal figlio apparentemente statico e rigido la capacità di lasciarsi andare alla vita “che ha la sua esperienza”, come suggerisce Odisseu, un amico incontrato durante il viaggio. Non è una rinuncia quella che alberga nell’animo del padre, neppure un’esaltazione di un dramma che rende grandi le cose e chi lo vive. Dopo la diagnosi di autismo pronunciata quando Andrea aveva tre anni il padre racconta. “Per trecento chilometri ho riempito la macchina di urla e lacrime. E’ stato il mio modo di entrare sino in fondo nella realtà. Però in quel momento ho capito che non avrei vissuto con un continuo pianto senza lacrime, con una smorfia o con un ghigno. Davanti a questa prova della vita avrei imparato a sorridere: l’avrei affrontata con fatica, ma anche con responsabilità, con intenzione. Con positività. Non sarei rimasto lì a inghiottire vicoli ciechi in salsa di palude”.
Infatti il libro è pervaso da ironia e da una preoccupazione sana che nasce dall’affetto e dalla voglia di “capire”, ma che non si trasforma in delusione o disperazione quando le porte di Andrea restano chiuse. C’è un mondo, oltre quella soglia, oscurato da ostacoli quasi fisici, ma che è un mondo che merita rispetto e la pazienza che a pezzetti si disveli. Fulvio Ervas confeziona questa storia vera, raccontatagli da Franco Antonello, padre di Andrea, con un magistrale tocco narrativo e uno stile leggero e nello stesso tempo improntato alla serietà e alla fatica di una situazione di vita che chiede impegno, prima ancora che col figlio, con se stessi.
Il libro pone una domanda su ciascuno di noi, sulla nostra disponibilità a lasciarsi interrogare dalla vita, a guardare in faccia la realtà che, per quanto bislacca o dura, è pronta a elargire piccoli miracoli di crescita e cambiamento che devono solo essere riconosciuti. E la mia deformazione professionale porta il mio pensiero alla scuola. Forse questo libro, più di tanti corsi di aggiornamento tecnici sulle disabilità, può insegnare ai docenti una strada coraggiosa da intraprendere che è quella di lasciarsi crescere e cambiare da un rapporto che chiede prioritariamente una disponibilità e una flessibilità sulla realtà sostenuta da punti di riferimento che possono essere messi in discussione dall’esperienza vissuta.
Senza possedere, ma disposti ad abbracciare, non avendo paura di perdere la propria professionalità. Credo che regalerò questo libro non solo all’amica che vive la sua avventura con il figlio autistico, ma ad amici a cui tengo perché accada in loro, come è stato per me, il desiderio magari sopito da fatiche o delusioni di guardare in faccia la realtà con uno sguardo positivo e di speranza. Siamo in estate, e se qualcuno non ha ancora un libro che gli faccia compagnia in vacanza, rischi di leggere il libro di Ervas. E’ fatica, ironia e adrenalina, analoghi eppur diversi ingredienti dell’avventuroso Sulla strada di Jack Kerouac. In fondo, oggi è un caso letterario.