Dopo aver riletto l’interessante articolo di Giovanni Cominelli del 23 luglio u.s. credevo fosse giunto il momento di calare definitivamente un velo pietoso sull’ennesima prova d’inefficienza/inefficacia della pachidermica macchina ministeriale, colpita dalla sentenza del Tar Lombardia per un cavillo di poco conto rispetto alle carenze delle prove somministrate, molto più di un’amara medicina, ai numerosissimi insegnanti che “aspiravano” (?!) alla dirigenza scolastica. C’è da augurarsi che il fatto non sia accaduto a caso e gli “esperti” si attivino a colmare tempestivamente le loro gravi lacune nonché il deficit delle conoscenze e competenze richieste agli aspiranti capi d’istituto, ma anche a quelli già in servizio per quanto concerne la legislazione sulla prevenzione e gestione dello Stress-Lavoro-Correlato nella Scuola (ai sensi dei D. Lgs. 81/2008 e s.m.).
L’art. 28 del D. Lgs. 81/08 prevede che il dirigente scolastico “effettui la valutazione di tutti i rischi da stress lavoro correlato, inclusi quelli connessi alle differenze di genere ed età”. Ciò si aggiunge ai “doveri di adeguata formazione/informazione, in orario di lavoro, sui rischi specifici cui il lavoratore è esposto in base all’attività svolta”, esplicitati negli artt. 15 e 37 del suddetto decreto.
“…Dal 1° gennaio 2011 il legislatore nazionale – col D. L. 81/08 – ha ritenuto di dover tutelare dallo SLC anche le helping profession, rendendo obbligatori il rilevamento, la prevenzione e la gestione dello SLC stesso. A un anno di distanza dall’introduzione dell’obbligo di legge il bilancio è assai poco confortante: in parte ciò è dovuto al fatto che il legislatore stesso non ha dato elementi precisi in merito alle azioni da adottare. In parte è frutto dell’ignoranza sull’argomento, mista a quella tentazione italica di risolvere questioni assai delicate attraverso farraginose procedure burocratiche che lasciano il problema intatto, se non addirittura ingigantito, per il tempo a disposizione irrimediabilmente perduto.
Delle 10.000 scuole italiane, una sparuta minoranza ha infatti ritenuto di dover intervenire seriamente sullo SLC, altre hanno preferito affidare la questione all’RSPP di turno (spesso un ingegnere), altre ancora – e sono la maggior parte – non hanno fatto nulla o si sono affidate ad una società esterna qualsiasi (priva di una qualche esperienza di SLC in ambito scolastico) che fino a quel momento si era interessata solo della sicurezza ambientale e strutturale degli edifici”.
Quale rischio comporta l’incompetenza dei dirigenti scolastici in materia?
Doverose alcune precisazioni sulla gestione e prevenzione della condizione psicofisica dei docenti (quasi dieci milioni) di ogni ordine e grado che lavorano nell’Unione europea. Indipendentemente dai sistemi scolastici nazionali, la categoria professionale degli insegnanti risulta la più esposta a malattie professionali correlate allo stress cui sono sottoposte tutte le helping profession. Non si ritengano immuni dal rischio di incorrere nella medesima “patologia” i dirigenti scolastici. C’è chi prova ancora a fare gli scongiuri o a votarsi al santo protettore locale augurandosi di non ricevere alcune note mine vaganti provenienti da altri istituti. Nell’impossibilità di gestire il caso clinico divenuto ormai incapace di autodiagnosticare lucidamente la propria condizione di seria difficoltà, il malcapitato adotterà le strategie di difesa più consone alla sua percezione di vittima di complotti. Alcuni di essi portano a corredo della loro itinerante carriera professionale faldoni contenenti documentazione che scotta, ma che molti valorosi dirigenti scolastici si premurano di tenere lontano da sguardi indiscreti per non finire sui giornali. L’unica premura sarà quella di scaricarli al più presto! Questo è ciò che hanno appreso dall’ampia letteratura stampata durante il secolo scorso e dalla prassi tradizionale del sistema. Questione di metodo e di contenuti sui quali lavorare per una seria riflessione critica sull’esperienza. Sarebbe più utile rileggere il capitolo “Elogio del preside” di Rino Cammilleri. Il suo libro “L’ombra sinistra della scuola. Memorie frustrate di un insegnante secondario” ed. Piemme, 2002 pare scritto per destare dal torpore chi si occupa di salute e sicurezza nell’ambiente di studio e lavoro che molti frequentano per anni e, a volte, vi restano tutta la vita. Ne facevo cenno ad un insegnante di scuola media superiore, che mi raccontava le sue perplessità circa gli interventi del Ds, (dis)informato secondo schemi obsoleti e privi di logica, ma rinvigorito nella sua attività dal recente decreto Brunetta.
Riporto uno stralcio della lunga e interessante comunicazione:
“…Vorrei chiedere un parere sulla mia attuale situazione all’…di…, istituto nel quale mi ritrovo ad insegnare da quattro anni, dopo averci insegnato circa vent’anni fa. Attualmente io mi trovo ad essere oggetto delle attenzioni del dirigente scolastico, responsabile del…della zona nonché ex-sindacalista del…: tanto per fare un esempio tra i tanti il suddetto…, in quest’anno scolastico, ha iniziato ben tre procedimenti disciplinari nei miei confronti, conclusisi, grazie alla mia volontà di non farmi distruggere, in pratica con un nulla di fatto (la sanzione della censura, che è la minima e non comporta sospensione dall’insegnamento). Il suddetto… era riuscito negli anni precedenti a farmi infliggere due sanzioni, che adesso sto impugnando al giudice del lavoro.”
Stress e nuovi veleni, così cambiano i rischi professionali
Se gli infortuni fanno più notizia (per quanto sempre troppo poca) della malattia professionale, quest’ultima fa molte più “vittime”. Un episodio di cronaca a conferma della spinosa questione sulla quale pervicacemente gli organi preposti si rimbalzano le responsabilità, era avvenuto nel 2006, a Rivoli. Ad un paio di efficienti e aggiornati medici del lavoro in visita ad alcuni istituti non erano sfuggiti vari segnali significativi di esposizione al rischio di stress. I quattro ignari dirigenti scolastici non si erano sufficientemente attivati per ridurre il “mobbing” e il burnout nei loro istituti. A quei medici del lavoro, già allora, non era sfuggito che “…la popolazione docente è all’80% femminile e l’età media dei docenti è superiore ai 50 anni. Il numero di docenti donne in fase perimenopausale è pertanto altissimo (fase in cui l’esposizione al rischio depressivo è aumentato di 5 volte rispetto alla fase fertile). L’aumento della percentuale di occupazione femminile – un obiettivo UE del meeting di Lisbona del 2001 – è in costante crescita e richiede urgentemente un aggiornamento sulla salute della donna lavoratrice. Grazie alle numerose riforme previdenziali succedutesi, l’età pensionabile delle donne è stata continuamente alzata senza che sia stato operato alcun controllo sulle condizioni di salute professionali (basti pensare che fino ai primi anni ’90 la donna poteva scegliere se trascorrere il periodo della propria menopausa al lavoro o in pensione).”(Ricerca sulle patologie professionali nella helping profession degli insegnanti di Vittorio Lodolo D’Oria ). Una recente e lucida testimonianza – paradigma di un mondo sommerso cui dar finalmente voce – chiarisce i termini della questione “ponte” tra scuola e sanità.
“…Quando dico che mi si è spezzato qualcosa dentro non ho la percezione reale di cosa. mi sento estranea a me stessa. ci sono degli oggettivi fatti che me la fanno intuire, quest’anno ho buttato 37 anni di scuola, di lavoro, di ricerca, di momenti belli, senza una tristezza o un sorriso davanti ai tanti lavori portati avanti negli anni. non provavo rabbia,dolore e delusione, indifferenza, come non fosse roba mia. Stracciavo dispense costruite negli anni quasi con senso di liberazione. Cosa conservo a fare, per cosa, per generazioni di alunni che non capisco e non mi capiscono , con cui non è possibile instaurare nessun rapporto di fiducia. Quest’anno ho lasciato una classe quinta, 5 anni di passione, di lotte, di ricerca di un mezzo per trovare uno spiraglio di fiducia, senza nessun sentimento positivo se non di liberazione “basta” è finita questi non li vedo più e con una punta di veleno ora non sono più un mio problema. gli alunni sono diventati un problema non un gruppo in crescita insieme a me. Ho sempre dato molto e ricevuto molto ora sento di avere dato evidentemente in modo sbagliato, il gap generazionale è un grosso handicap , sono la nonna di questi ragazzini , i miei principi non sono condivisi, il mio impegno non capito,la mia serietà scambiata per non so cosa. Sono ferita, la scuola è stata per me importante, il lavoro un impegno serio. ed ora un senso di sfinimento profondo di tempo buttato via di non adeguatezza. Tornare dal lavoro e dormire, ore di un sonno della morte, buio, cupo, non avere energie per gli interressi al di fuori della scuola. Non prendersi cura della propria salute. È pesante sentire di non avere più niente tra le dita. L’anno scorso per la prima volta nella mia vita ho subito l’onta di un quasi mese di malattia per incapacità ad avvicinarmi alla scuola. 28 giorni senza uscire di casa se non per le pratiche mediche , un senso di angoscia, di paura. Perché? per aver sempre fatto il mio lavoro con dedizione per aver cercato sempre di più per i miei alunni? C’è qualcosa di sbagliato. Quest’anno dovevo concludere i cinque anni, non potevo lasciare non concluso un percorso che io ho realizzato con la classe, e con grande fatica ho portato l’anno a termine, senza assenze ,ma a cosa è servito ? a vivere dipendente da uno psicofarmaco. ho preso questi medicinali con un senso di odio. Ora mi domando ma questa scuola è adeguata a me? Ma io chi sono? Cosa ho fatto di male? Alcuni anni fa c’erano mattine in cui non riuscivo ad alzarmi dal letto. Un dolore alla schiena che mi passava solo con doppie iniezioni, l’unico modo per poter uscire di casa e andare al lavoro. Allora lo facevo senza pensieri era normale perché sentivo che la mia presenza era utile avevo un compito da svolgere, ora mi chiedo lo rifarei?
Molto spesso è proprio durante l’estate che gli insegnanti in difficoltà cercano l’uscita di sicurezza. Del tema si sono occupati anche i cugini d’Oltralpe che hanno studiato approfonditamente il fenomeno delle dimissioni premature, rispetto all’età pensionabile. Anche in Baviera la maggior parte degli insegnanti che chiede il prepensionamento per malattia soffre di disturbi psichici.
Restare a scuola o gettare la spugna? E poi?
Lo sportello Diesse Lombardia rimane aperto anche per i dirigenti scolastici che scoprissero di essere ancora “ignoranti”. In attesa che il MIUR fornisca loro gli strumenti di gestione del lavoro degni del XXI secolo.
Possibilmente prima che esplodano le altre mine vaganti presenti in quasi tutte le scuole italiane…Perché dunque non indagare maggiormente e monitorare più approfonditamente tale fenomeno?