E il Tfa finì in un nuovo tritacarne, quello del test preliminare per l’accesso ai corsi abilitanti, in attesa che le università, come vuole la normativa, assolvano al compito di determinare autonomamente i contenuti della prova scritta e della prova orale, dopo averle calendarizzate.
Una nota ministeriale in uscita chiede scusa e mette in moto una commissione che si dovrà riunire l’8 agosto e rivalutare, entro il 20 dello stesso mese, le schede di tutti i candidati assegnando il punteggio positivo anche in caso di mancata risposta per le domande riconosciute non corrette. Non saranno toccati i diritti di chi ha già superato la prova. Una condotta frenetica che denota quanto questo caso abbia inciso sulla condotta dell’amministrazione e portato ad un decisionismo che forse poteva essere anticipato.
Ad ogni modo, riteniamo che non possa essere archiviata tanto facilmente la prova conclusasi il 31 luglio e improntata alla cultura del nozionismo più sfrontato e pasticcione, che nulla ha a che fare con la conoscenza: quesiti talvolta errati, talvolta copiati da precedenti batterie per le SSIS, altre volte incomprensibili nella loro astruseria, diretti a eliminare concorrenti, come è stato da più parti osservato, piuttosto che a saggiarne le abilità. Era questo che si voleva per selezionare gli oltre 176.000 candidati iscritti, al fine di individuare i circa 20.000 da ammettere ai successivi livelli di verifica? Una sorta di “terrorismo psicologico” per dire ai giovani aspiranti insegnanti che per loro non c’è posto dentro la scuola italiana?
Le critiche piovute sugli organizzatori sono ampiamente giustificate, tanto più che, come dimostrano le migliaia di richieste di chiarimento che hanno assediato nei mesi precedenti i siti delle riviste scolastiche e delle associazioni professionali che hanno offerto consulenza, il disorientamento in sede di preparazione è stato notevole. E non tanto sulle informazioni attinenti la normativa, quanto proprio sulla tipologia di prova. Tutto questo è accaduto, tra l’altro, in un’epoca di crisi degli assetti disciplinari dei saperi (ma questo è un altro problema).
Proviamo a riconsiderare ciò di cui NON si è tenuto conto. Alla luce del decreto ministeriale 11 novembre 2011, le prove di accesso dovevano muoversi tra due coordinate indicate chiaramente: da una parte l’OGGETTO, costituito dai programmi contenuti nel decreto 11 agosto 1998, n. 357, integrati dai contenuti disciplinari previsti: a) dalla Indicazioni per il curricolo (2007); b) dalle Indicazioni nazionali per i nuovi Licei del 2010; c) dalle Linee guida per i nuovi istituti tecnici e professionali (2010 e 2011). Dall’altra parte lo SCOPO, teso a “verificare le conoscenze disciplinari relative alle materie oggetto di insegnamento di ciascuna classe di concorso e le competenze linguistiche di lingua italiana”.
Ma qual è la natura dei programmi del ’98 e delle successive Indicazioni nazionali e Linee guida? Tutto lo scibile umano, è vero, ma predisposto al fine di un’assimilazione da parte del docente in chiave NON nozionistica.



I primi, cioè i programmi dei più recenti concorsi a cattedre che si siano verificati in Italia (ministro Berlinguer!), prescrivono che i candidati abbiano, tra tante cose, dominio dei contenuti e dei fondamenti epistemologici delle discipline, nonché “padronanza dei programmi relativi agli insegnamenti previsti e conoscenza delle linee generali dell’intero curricolo”. In questo modo la preparazione del docente era ancorata da una parte all’assetto disciplinare proprio della materia insegnata, dall’altra alla pratica didattica. Tanto per annotare qualche spunto di riflessione, per le classi 36/A (Filosofia, psicologia e scienze dell’educazione) e 37/A (Filosofia e storia) accanto ad una conoscenza del “dibattito interno alla storia della filosofia occidentale sulla identità della filosofia”, era indicata una “ampia conoscenza di carattere generale” della storia della filosofia (antica, medievale, moderna e contemporanea) unitamente all’approfondimento di alcune opere in edizione integrale. Per Storia, la formulazione era “ampia conoscenza di carattere generale di storia delle civiltà dall’Oriente antico al Novecento”. Per Matematica si pretendevano 10 blocchi di contenuti e l’assimilazione degli “aspetti metodologico-didattici della matematica”. Per quanto riguarda le classi di concorso comprendenti Italiano (43/A; 50/A; 51/A; 52/A), il decreto chiedeva sicura capacità di analisi delle strutture della lingua italiana e, per quanto riguarda la letteratura italiana, conoscenza della sua evoluzione con immersione nella produzione di alcuni autori esplicitamente menzionati (da Dante a Vittorini). E così via…
Quanto alle Indicazioni nazionali per i licei, esse giocano sulla dialettica tra competenze trasversali e contenuti propri di ogni disciplina. I contenuti non sono per niente oscurati dalle competenze, ma anche in questo caso il riferimento va ai “contenuti di apprendimento”. Con una rilevante affermazione, il testo delle Indicazioni liceali rimanda infatti alla “esplicitazione dei nuclei fondanti e dei contenuti imprescindibili”, sostenendo che “intorno ad essi, il legislatore individua il patrimonio culturale condiviso, il fondamento comune del sapere che la scuola ha il compito di trasmettere alle nuove generazioni”. 
Rispetto alla “carta base” del licei, le “Linee guida per il passaggio al nuovo orientamento” degli istituti tecnici (si potrebbe dire la stessa cosa per i professionali) sono molto di più curvate sulla didattica orientata al raggiungimento delle competenze richieste dal mondo del lavoro e delle professioni, sebbene “le discipline mantengano la loro specificità”. 



Si trattava dunque, stando alla lettera delle norme, di verificare, alla partenza dei Tfa, le conoscenze disciplinari indicate da programmi che ne parlano per blocchi o per nuclei. Inoltre, ed è questo il cuore della questione, i contenuti a cui ci riferiamo, e a cui avrebbe dovuto riferirsi la commissione che ha predisposto i quesiti (nominata dal precedente governo e non più aggiornata da quello attuale), sono pensati per essere insegnati, quindi sono insiemi di temi e problemi concepiti unitariamente e non hanno vita propria se presi singolarmente. 
Al di là delle considerazioni che si possono trarre sull’immagine di insegnante che scaturisce da questo percorso (uno che basa la didattica sul testificio?), l’impressione è che il Miur non disponga attualmente di un modello di verifica delle conoscenze disciplinari degli insegnanti, in ordine alla realizzazione di prove strutturate che, oltre tutto, comportano uno sbarramento (almeno 42 risposte esatte; votazione minima: 21/30 punti). 
Si pencola tra il modello delle vecchie SSIS (molto nozionistico, ma senza sbarramento e un poco più riflessivo) e la settimana enigmistica (da non disprezzare sotto l’ombrellone, ma assurda per una selezione di docenti). Si affollano alcune domande: l’Invalsi non ha nulla da dire in proposito? È vero che i suoi test per la rilevazione degli apprendimenti sono molto discussi, eppure si tratta pur sempre di esercizi che rispettano una struttura organizzativa. In questo senso, probabilmente, intendevano muoversi le 10 domande di comprensione del testo presenti nei quiz del Tfa. 
Il modello sarà da trovare al più presto, nel contesto dei problemi accennati, perché un prossimo Tfa transitorio è all’orizzonte (prossimo autunno?). 
Nello stesso tempo fonti ministeriali avvertono che una prova preselettiva, ancora una volta di blocco per l’accesso al concorso, sarebbe compresa anche nei prossimi bandi per l’immissione in ruolo di docenti abilitati. Cui prodest? O meglio ancora: perseverare diabolicum est?

Leggi anche

Università, chiesti più soldi in Manovra/ Rischio 80% di spese solo per gli stipendi del personaleSCUOLA/ Tfa, perché il Miur obbedisce alle università telematiche?SCUOLA/ Tfa, caos in arrivo: ecco chi ha sbagliatoSCUOLA/ Immissioni in ruolo, evviva il concorso-beffa (e i sindacati stanno zitti)