La vicenda tragicomica dei test per l’accesso alè ormai nota (sul tema si veda il mio precedente contributo su questo stesso giornale). Ecco quindi che il Ministero dell’Istruzione nei giorni scorsi ha diramato una nota con la quale da una parte ammette gli errori commessi nella preparazione dei quiz e chiede scusa “per l’accaduto…”, dall’altra informa che l’8 agosto si riunirà una commissione di accademici che avrà il compito di prendere in esame “tutte le segnalazioni di errori nelle domande delle prove” e decidere “in maniera definitiva sulle domande contestate, creando la nuova matrice delle risposte esatte”, ossia formando di nuovo i punteggi e l’elenco degli ammessi/non ammessi.
Se da un lato riconoscere i propri errori è il primo passo per una possibile riscossa (va dato atto al ministro Profumo di aver avuto un minimo di lucidità di fronte al caos generato dai Test), dall’altro rimangono forti perplessità se l’unico rimedio ipotizzato per far fronte agli imbarazzanti scivoloni del in questa vicenda fosse quello di “assegnare il punteggio positivo anche in caso di mancata risposta per le domande riconosciute non corrette” (cioè quelle domande sbagliate proprio dagli esperti del MIUR!). Ci mancherebbe altro!
Il vero problema di questi test è che chi li ha formulati, guidato da non si sa quale intento, improntandoli a un nozionismo esasperato e fine a se stesso, li ha confusi con quiz e domande “trabocchetto”, spesso anche mal formulate, con imprecisioni terminologiche di cui si è ampiamente discusso negli ultimi giorni. Per queste ragioni il MIUR non può limitarsi al minimo sindacale, ma deve fare un passo in più, dimostrando così un più chiaro senso di responsabilità.
Mi permetto perciò di avanzare una proposta in tale direzione: perché non abbassare il punteggio di ammissione alle ulteriori prove di accesso al (una prova scritta e una orale preparata dalle singole università) da 21 punti a 18? Così, tenendo conto che ogni risposta corretta vale 0.5 punti, su un totale di 60 quesiti “basterebbero” 36 risposte corrette per poter accedere, si badi, non al Tirocinio, ma alle ulteriori prove, che, senza crocette e quizzettoni ministeriali preparati nelle stanze di Viale Trastevere da discutibili “esperti”, possano costituire una reale verifica della preparazione degli aspiranti insegnanti.
Tutto ciò fermo restando, ovviamente, come recita la nota ministeriale, il “tener buone” quelle risposte ai quesiti manifestamente sbagliati fin dalla loro formulazione.
Non senza ragioni qualcuno potrebbe preferire una soluzione drastica, facendo “saltare tutto” e preparando nuovi e più adeguati quiz, ma il prezzo da pagare per i giovani aspiranti insegnanti sarebbe troppo alto (chissà quanto tempo occorrerebbe per rifare da capo tutto… un anno? Forse più…). In questa situazione occorre mettere una toppa, provando a rimediare tempestivamente al pasticcio. Ma, come abbiamo detto, riconoscere i propri errori è il primo modo di ripartire: per il futuro, sarà necessario fare tesoro dell’esperienza vissuta, per evitare obbrobri e conseguenti frustrazioni che il nostro Paese, soprattutto in questo momento, non può proprio permettersi.