Le parole d’ordine sono “digitalizzare” e “dematerializzare”. Il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo ha inaugurato l’anno scolastico lanciando la sfida che poterà la modernizzazione dell’intero apparato scolastico. Innanzitutto, via carta e penna che saranno sostituiti da computer, tablet e lavagne interattive. Da quest’anno tutte le classi di medie e superiori avranno, entro poche settimane, un computer da usare a lezione: le classi dove si accenderà un pc sono 34.558 nelle scuole medie e 62.200 alle superiori per un totale di 24 milioni di euro necessari per rimanere al passo con la tecnologia. Negli ultimi anni sono già stati spesi per l’innovazione tecnologica 250 milioni, tra risorse nazionali e comunitarie. Ora bisogna allungare il passo, in coerenza col decreto sulla spending review che prevede, fra l’altro, da quest’anno iscrizioni online e registri in formato elettronico. Tutto per liberare aule e segreterie da fascicoli, fotocopie e scartoffie: il progetto prevede un risparmio per lo Stato di 30 milioni di euro, una media di 6.200 euro a istituto, sei euro per ogni studente delle medie e delle superiori. Ma quali sono i vari aspetti della rivoluzione 2.0? Lo abbiamo chiesto per IlSussidiario.net a Giorgio Chiosso, pedagogista e docente nell’Università di Torino.
Professore, bene l’idea di far sparire la carta, risparmiando. Ma secondo lei non c’è anche un pizzico di ideologia tecnocratica in tutto questo?
Il governo sta modernizzando a poco a poco gli apparati dello Stato e non mi sorprende che anche la scuola stia andando nella stessa direzione. D’altro canto, voglio sottolineare che la qualità della scuola non si misura con il numero dei tablet distribuiti nelle classi o dal numero delle lavagne interattive. Questi sono, solo ed esclusivamente, strumenti tanto quanto cento o centocinquanta anni fa lo erano i quaderni. Sono d’accordo con l’introduzione di computer e tablet perchè sono strumenti che allineano la scuola alla realtà che sta cambiando ma, voglio rimarcare, che al centro del sistema educativo resta sempre il rapporto fra professore e alunno: l’attore principale della scuola è l’insegnante e il coprotagonista è l’allievo. I nuovi strumenti non debbono mai avere la presunzione di sostituire il nucleo centrale del processo educativo: il legame fra queste due figure.
Un tablet a ogni prof del sud, dice Profumo. Secondo lei al Sud la nostra scuola ha bisogno dei tablet?
Penso che ogni sforzo fatto per eliminare il gap fra regioni del Nord e del Sud, così come emerge da tutte le indagini, sia utile.
Cosa cambierà nel modo di far lezione per i professori?
Ritengo che questo sia un passaggio delicato poiché immagino che la classe docente non sia ancora preparata ad avvalersi delle nuove tecnologie e a conseguire un metodo di insegnamento più moderno rispetto al passato. Credo che maestri e professori siano ancora molto legati al quaderno e al libro tradizionale. Questo, però, aiuterà all’attuazione di una piccola rivoluzione: un ricambio, fisiologico e generazionale, della classe docente che avrà maggiore familiarità con le nuove tecnologie. Nel giro di pochi decenni la fisionomia della scuola cambierà radicalmente.
Che cos’è secondo lei una lezione “2.0”?
Penso che l’aspetto interessante della modernizzazione degli strumenti sia il fatto che il ministero abbia la possibilità di sondare la diversità di apprendimento fra classi che continuano l’attività ordinaria di insegnamento e quelle che, invece, utilizzano tecniche più innovative. Da questo sarà possibile dedurre come e sotto quali aspetti si evolve il mondo della scuola.
Come si dovrebbe colmare il deficit di modernità nella scuola?
La scuola è un universo in cui convivono realtà totalmente diverse, sia per ragioni geografiche che per ragioni ambientali. Nel sistema scolastico coesistono scuole straordinariamente moderne accanto ad altre molto vecchie. Non mi riferisco alle differenze fra nord e sud: certe differenze convivono anche fra istituti situati in una stessa città. Penso che proprio la diversità sia uno dei punti di forza della scuola italiana perché è sintomo del superamento della standardizzazione e dell’omogeneità, ed è la spia dell’autonomia scolastica e della libertà di gestione.
E’ stata creata un’applicazione per i genitori per sapere tutto del proprio figlio. Secondo lei le nuove tecnologie come possono migliorare − se lo fanno − una relazione educativa?
E’ certamente uno strumento utile che permette ai genitori, direttamente da casa, di seguire l’andamento del figlio. Ribadisco, però, che la partecipazione delle famiglie non va sacrificata allo strumento tecnologico che non deve bypassare i rapporti fra genitore ed insegnante, o fra quest’ultimo e l’alunno.
Non c’è secondo lei in tutto questo il rischio di un rovesciamento tra mezzi e fini? Che conclusioni ne trae?
Il rischio di un rovesciamento fra mezzi e fini c’è eccome. Le tecnologie vanno potenziate ma il fine della scuola non è sapere usare bene il computer o essere in grado di accedere in breve tempo ad alcune informazioni. Per alcuni può essere solo retorica, ma la scuola è un’esperienza di avvicinamento alla cultura, di sviluppo intellettuale, di curiosità e di soddisfazione personale.