All’inizio del nuovo anno scolastico, molti quotidiani hanno dato ampio rilievo alla sentenza della professoressa di Palermo condannata a 15 giorni di carcere per aver fatto scrivere 100 volte “Sono un deficiente” al suo studente bullo, che aveva impedito ad un compagno di accedere al bagno dei maschi, insultandolo ripetutamente con offese reiterate davanti ai compagni. Non nego che una notizia del genere mi abbia sconvolto, pur tuttavia sollecitandomi profonde riflessioni. Eccole.
Dove è finita la collaborazione scuola/famiglia? E’ in atto una vera guerra nelle nostre scuole. E meno male che nei vari articoli dei quotidiani si parlava di bullismo. E la vittima? Famiglie e docenti si accusano vicendevolmente sino alla richiesta di risarcimento per danni morali. Ma dove è finito il patto di corresponsabilità tra genitori e insegnanti? E’ proprio vero che, prima di istituire corsi di aggiornamento relativi alla programmazione didattica, dovrebbe essere prioritaria la formazione di tutti i docenti per impostare una linea educativa che abbia come obiettivi: la partecipazione e la comprensione emotiva, i comportamenti prosociali, l’assertività, l’autocontrollo, il senso del limite, l’empatia, la soluzione di problemi sociali e buone capacità comunicative.
Ho tenuto centinaia di conferenze in Italia e in Europa, come referente scientifica di un complesso progetto sul bullismo, I’m not scared, traduzione del titolo di un mio libro, e sin dall’inizio ho maturato la convinzione che siamo davvero in un clima di grave emergenza educativa. Sia in Italia sia in Europa le cifre relative al bullismo tendono ad aumentare in modo esponenziale: è un dato significativo, purtroppo molto sconfortante. Se i giovani sono sempre più bisognosi di regole che non hanno, i docenti devono faticare per farsi riconoscere come educatori autorevoli, e ritrovare quel rispetto sociale che oggi appare molto sbiadito. Si è largamente pubblicizzata la condanna dell’insegnante, ma la vittima, quel ragazzo messo in ridicolo, dileggiato, offeso, a cui era stato impedito dal bullo di usare i servizi maschili, cosa avrà pensato di questa vicenda?
Occorre intepretare questo fenomeno rifuggendo da categorie meramente sociologiche, che appaiono insufficienti. Il bullismo costituisce la parte emersa di un ben più grave malessere evolutivo che impedisce al soggetto di crescere in modo equilibrato in un contesto sociale di regole e di valori. Sia il ruolo del bullo sia quello della vittima implicano infatti l’esistenza di difficoltà evolutive che si inseriscono in un quadro di disadattamento individuale e sociale e di disagio psicologico. Ogni ragazzo ha il diritto di vivere bene la scuola, invece capita spesso che la scuola stessa diventi per alcuni un luogo in cui vengono sperimentati vissuti di paura o di scherno, accompagnati da un’incombente sensazione di pericolo ed incertezza; mentre per altri è una palestra in cui dare libera espressione a condotte aggressive, che rinforzano uno stile personale autoritario e violento.
Il bullo manifesta una richiesta di potere o strapotere, una celebrazione dell’autodeterminazione. Egli decide su cosa sperimentare il suo potere, la sua forza, la sua sopraffazione, sceglie il dove, il come, il quando. Perché al bullo è mancata la sperimentazione delle emozioni. E le emozioni non si insegnano, si sperimentano e, una volta accettata la legittimità delle emozioni, ci si chiede chi abbia mai avuto la possibilità di costruire delle occasioni di riflessività pregnante, per intervento di qualcuno che lo guidasse nella sua storia di vita.
Al bullo è mancata un’educazione relazionale affettiva, capace di fargli attivare il rispetto per l’altro da sé, del riconoscimento dei suoi doveri e dei diritti degli altri. Il bullo vive la “presenza”, si autodetermina nella violenza, nell’etero-distruttività, diviene simulacro di una sub-cultura della disaffezione, del nichilismo, del pressappochismo, dei disvalori, dell’incapacità di riconoscere l’altro, di de-responsabilizzazione totale, di irriconoscenza nella dinamica dei nessi causali, incurante della gravità del risultato cui può giungere il suo agire persecutorio.
Alla fine di tutto qualcuno può ancora pensare che i furbi e i prepotenti avranno sempre la meglio.