Rette troppo alte ai tempi della crisi e le famiglie nelle voci da tagliare includono quella per la scuola paritaria. E’ cominciato lo spostamento di alunni verso le statali”. Così il Corriere della Sera di Milano del 12 settembre 2012. Ed è vero, purtroppo. Dopo un decennio di progressivo aumento degli alunni iscritti alle scuole paritarie (giunti nel 2009/10 a 1.074.205, pari all’11,98% del totale nazionale), la crisi ha iniziato a produrre una certa inversione di tendenza. Se i dati relativi all’anno scolastico 2010/11 avevano mostrato per la prima volta un modesto calo delle iscrizioni nazionali (meno 2.500 iscritti, fonte anagrafe Miur), quelli relativi all’anno scolastico 2011/12 confermano senza ombra di dubbio che le famiglie, sempre più in difficoltà a causa della crisi, hanno iniziato a eliminare voci di spesa ritenute evitabili. E fra queste, purtroppo, compare anche la voce “scuola paritaria”.



Del resto, in tempi come questi, la concorrenza (sleale, dato che dovrebbe esserci “parità”, come da L. 62/2000) da parte delle scuole statali, pressoché gratuite, non può passare inosservata soprattutto agli occhi di chi sente salire l’acqua alla gola per l’incremento continuo del costo della vita e il venir meno della sicurezza del lavoro. Occorre precisare, però, che la diminuzione è concentrata prevalentemente nell’ambito delle scuole superiori (meno 20mila su un calo totale di 30mila alunni, fonte Miur); il dato globale degli iscritti a livello nazionale – ancora superiore al milione di iscritti -, invece, testimonia che tantissime famiglie continuano, a dispetto degli inevitabili e accresciuti sacrifici, a orientarsi verso la scuola paritaria, in quanto garanzia di qualità dell’offerta formativa e di attenzione alla persona degli alunni.



E’ un dato importante, questo, che grida ancora una volta l’urgenza di procedere verso una effettiva parità economica tra scuole statali e non statali. Che ci siano delle famiglie costrette a rinunciare, per motivi economici, a mandare i propri figli nella scuola che considerano più adeguata per la loro formazione umana e culturale, rappresenta infatti un vulnus che pesa sulla credibilità delle nostre istituzioni e ferisce profondamente la nostra società civile.

Nel nostro Paese, le scuole paritarie, che pur accolgono quasi il 12% degli alunni, continuano ad essere discriminate e trattate come una Cenerentola, ricevendo meno dell’ 1% dei finanziamenti statali destinati all’istruzione, con ulteriori tagli già previsti. L’Italia, insieme alla Grecia, continua ad essere l’unico paese in Europa, compresa quella postcomunista, a mancare di una vera libertà di educazione a causa di pregiudizi ideologici. 



Ci si è impressionati, in questi giorni, per i tassi di abbandono che caratterizzano il nostro sistema scolastico; ebbene, i Paesi dell’Unione europea che vantano i migliori tassi di fedeltà scolastica sono proprio quelli postcomunisti, nei quali la parità è stata introdotta in modo pieno: Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia. Nessuna scelta confessionale, solo ragionevolezza: la Repubblica Ceca, come è noto, è definito il paese più ateo del mondo e persino in Belgio, nazione ultra secolarizzata, le famiglie prediligono le scuole cattoliche unicamente per la qualità dell’offerta formativa, e ciò grazie ad una legislazione moderna che consente loro di scegliere liberamente.

E in Italia? Anziché procedere, come nel resto d’Europa, verso un consolidamento del sistema pubblico integrato, si va verso l’eliminazione di fatto della scuola non statale, per mancanza di sostegno finanziario alle strutture o per impossibilità delle famiglie di pagare la retta. Ma, come ha ribadito ultimamente il Presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, “la chiusura di ogni scuola paritaria e la conseguente perdita della sua esperienza pedagogica, ha conseguenze dirette sulla coesione della società, che viene così indebolita perché privata di interventi educativi ed ideali. Senza dimenticare il risparmio che ogni scuola paritaria costituisce per le casse dello Stato”.

Le “rette troppo alte ai tempi della crisi”, insomma, sono un’anomalia tutta italiana; se vogliamo un paese davvero europeo, nel quale anche le iscrizioni scolastiche siano l’esito di una virtuosa competizione fra istituti, introduciamo una effettiva parità scolastica anche sul piano economico. E poi, vinca il migliore.

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