Caro direttore,

una mia ex studentessa, che ora vive in Italia, mi ha chiesto se volevo scrivere qualche parola sul perché gli insegnanti di Chicago si sono messi in sciopero. Non è saggio, né è possibile per me cercar di parlare a nome dei miei colleghi insegnanti, così le considerazioni che seguono sono il risultato di un punto di vista molto personale. Ma ho sentito molti di questi argomenti e di queste rivendicazioni echeggiare per tutti questi cinque giorni e in tutti i picchetti e le manifestazioni alle quali ho partecipato. Tra le molte ragioni (e i molti motivi ispiratori) delle nostre azioni, ne spiccano cinque – cinque che vengono alla mente in modo chiaro e che mi hanno dato la volontà e l’energia di continuare in questi giorni che sono ormai trascorsi.



Il primo ha a che fare con i test standardizzati imposti dal governo. Non sono diventato un insegnante, 23 anni fa, per sottoporre costantemente i miei studenti a dei test. L’anno scorso, il Chicago Board of Education aggiunse due giorni di test e quest’anno ne hanno proposti ulteriori otto. Fanno dieci giorni interi di test, in aggiunta a tutto quello che già si stava facendo. Che cosa andrà perduto? Shakespeare, Wordsworth, Dante?



Una volta che quella opportunità è perduta – quella meravigliosa opportunità che è data agli insegnanti di avvicinare uno studente a una sola riga di testo che può aiutarli nei difficili e magnifici momenti con i quali avranno a che fare nella loro vita -, quella splendida opportunità è perduta per sempre. Ci sono molte società e burocrati che ricaveranno da quei test camionate di denaro, ma la perdita va molto oltre il livello prettamente monetario, e noi (studenti, insegnanti e molti di noi tutti) diventiamo meno di questo.

Noi stiamo combattendo questa sfida anche perché i docenti hanno paura di perdere il loro lavoro e il rispetto, ma la maggior parte di tutti noi ha paura che l’educazione sarà distrutta, e che le nostre classi saranno lasciate allo sfascio. Ho visto bravi docenti, inclusa mia sorella, essere licenziati nelle scuole che hanno cambiato regime (scuole dove tutti vengono licenziati per ricominciare con tutti docenti nuovi). Non importa che nella scuola di mia sorella il 97 per cento dei genitori abbia votato contro questa politica. Non importa che quando i punteggi dei test sono usciti, la primavera scorsa, la sua scuola – stimata a bassa performance – avesse un punteggio più alto di tutte – tranne una di quelle che sono gestite dagli amici del nostro sindaco. Per loro era soltanto un edificio, uno scheletro. Non importa che i docenti godessero della fiducia dei genitori, della comunità, e della maggior parte degli studenti.



Gli insegnanti, qui a Chicago, stanno chiedendo semplice rispetto. Quattro anni fa quando i manager degli hedge funds e i banchieri hanno messo questo Paese e buona parte dell’Europa in ginocchio − con l’avidità, le loro operazioni sporche e l’incompetenza − hanno avuto la sfacciataggine di dare a sé medesimi bonus di milioni di dollari. Il nostro sindaco attuale, Rahm Emmanuel, allora capo dello staff del presidente Obama, disse, all’epoca, che non c’era niente da fare perché il loro contratto diceva così. L’anno scorso Emmanuel, ora sindaco di Chicago, ha rescisso la clausola contrattuale che garantiva un aumento di stipendio agli insegnanti. Non ci importa tanto dell’aumento di stipendio, quanto dello schiaffo dato in faccia alla nostra categoria.

Sappiamo che i tempi sono duri − e conosciamo i sacrifici di molti di noi − ma la caratteristica del rispetto è che non costa nemmeno 10 cent, mentre negarlo, questo sì ha un costo smisurato.

Un’altra cosa che vogliamo è la libertà di insegnare bene. Ci si sta chiedendo di accettare un sistema di valutazione il quale include due componenti che io trovo entrambe odiose e antitetiche al buon insegnamento. 

Il primo dice che il 40 per cento della nostra valutazione deve essere basato sui risultati di test standardizzati dei nostri studenti. Ci sono veramente tanti argomenti per confutare qui questo errore, così mi limiterò a dire la ragione più semplice, più vicina al buon senso: il peggior insegnante al mondo può esercitare costantemente i suoi studenti su un qualsiasi test ignorando il pensiero critico, la creatività, e la reale crescita intellettuale dello studente. Gli studenti di quel docente avranno su quel test risultati migliori di quelli di uno che li istruisca spendendo tempo a sforzare le loro menti, esponendole ad un apprendimento reale, e che li educhi a pensare da soli. Fare il grido dei gufi e i suoni del vento recitando il passo delle Streghe di Macbeth è qualcosa che non risulterà su nessun test standardizzato.

La seconda parte di questo processo di valutazione comporta l’avere studenti che giudicano e classificano i loro insegnanti. Ogni buon insegnante già tiene conto di come i suoi studenti stanno reagendo ai suoi metodi, e riceve da essi un feedback su base regolare. Ma avere degli studenti, molti di essi ancora bambini, che classificano i loro docenti è offensivo per la nostra professione e denota una completa mancanza di comprensione di cosa accade in una classe. Al posto di alte aspettative, i docenti soddisferanno gli immediati capricci di chi vuole da loro qualcosa di felice e piacevole. Invece di forzare gli allievi verso i loro limiti intellettuali, essi li acquieteranno, coccolandoli.

La prima lezione che un buon insegnante impara è che non è importante che i suoi studenti lo amino adesso, ciò che importa è che essi lo apprezzino quando se ne sono andati. A me sta profondamente a cuore ognuno dei miei studenti, e questo accade perché ho su di loro grandi aspettative. Immaginate se un pediatra fosse valutato dai suoi pazienti − “era un terribile dottore, quella puntura mi fece così male!”; “lo odiavo, i suoi lecca-lecca erano amari…”. Sì, ma quella puntura è quella che li proteggerà e forse anche salverà la loro vita, quando più tardi saranno esposti a un virus che diversamente avrebbe potuto ucciderli. Chi può sapere quando quel verso del Macbeth, “qualcosa di sinistro sta per accadere”, potrà aiutare un ex studente; forse, anche, quando egli vedrà un contratto da docente che è sbagliato sotto così tanti punti di vista.

Ho detto che c’erano cinque ragioni per lo sciopero dei professori a Chicago. La quinta e più importante ragione è che lo stiamo facendo per i nostri studenti. Il fatto che una studentessa alla quale ho insegnato molti anni fa e che ora è in un Paese lontano, mi chieda di scrivere questo articolo, dice una quantità di cose sugli effetti duraturi che il lavoro di un insegnante può avere. C’erano dei momenti, in classe, che devono averla convinta che valeva la pena chiedere ancora la mia opinione. Scioperiamo per assicurare che quei momenti e quel modo di imparare possano durare ancora.

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