Sto seguendo con vivo interesse il dibattito che si è sviluppato sulle pagine de IlSussidiario.net sull’attività dell’Anvur in vista del conseguimento dell’abilitazione nazionale per professori universitari. E’ indubbio che l’avvio di un processo di valutazione è da salutarsi come assolutamente positivo, anzi da incoraggiare fortemente, per la crescita e lo sviluppo del sistema universitario italiano. Tuttavia, proprio per l’importanza, la delicatezza e la complessità del compito che l’Anvur è chiamata a svolgere, non si può non restare fortemente perplessi di fronte ad alcune delle scelte operate, specie nelle ultime settimane.



Nell’ultimo periodo il dibattito si è molto concentrato su mediane e su elenchi di riviste di fascia A (quelle, per intenderci,  da considerarsi più prestigiose per ciascun settore scientifico disciplinare e che costituiscono una delle categorie che viene presa in considerazione ai fini del conseguimento dell’abilitazione nazionale). Nel documento di accompagnamento sulle mediane dei settori non bibliometrici viene scritto che “Il Gruppo di lavoro ha potuto operare sulla base di una pluralità di fonti informative: Pareri delle società scientifiche, Classificazione operata dai Gruppi di esperti della valutazione (GEV) ai fini della Valutazione della qualità della ricerca (VQR), Calcolo dell’h-index della rivista sulla base di una procedura automatica di interrogazione di Google Scholar, eventuali pareri di esperti interpellati dal Gruppo di lavoro sulla base del mandato ricevuto”. E’ quindi evidente che la decisione finale, circa la selezione delle riviste, è stata affidata – in ultima istanza – ad una comunità ristretta di studiosi che ha operato (con criteri che ho difficoltà a comprendere, e temo di non essere il solo), anziché alle Società Scientifiche di riferimento, come accade usualmente in ambito internazionale. E’ un approccio che introduce, nel nostro sistema universitario, la nuova categoria di “valutazione scientifica di stato”. 



Al di là del metodo, i problemi principali risiedono proprio nei risultati. Faccio riferimento all’area delle Scienze economiche e statistiche (Area 13), ed in particolar modo ai settori di matematica e statistica (quest’ultimo è quello di mia competenza). In fascia A sono del tutto assenti riviste molto prestigiose e di notevole reputazione a livello internazionale nel settore statistico; al contrario sono state inserite riviste assolutamente estranee agli interessi scientifici del settore. Ho capito pertanto che dovrei indirizzare i miei allievi a pubblicare – anziché su riviste di statistica – su riviste quali (ne cito alcune a caso nell’elenco dell’Anvur per i settori matematico-statistici) Climate Policy, Journal of Peace Research, Journal of Cleaner Production, Journal of Economic History nonché anche Perspectives on Sexual and Reproductive Health (“senza sesso, non c’è successo”, secondo un aforisma di Marcello Marchesi). Ma soprattutto il messaggio che lancia l’Anvur a tutti i giovani studiosi di Scienze economiche e statistiche è che il lituano è la lingua del futuro, e quindi da imparare.



Infatti, nell’elenco delle riviste di fascia A per tutti i settori dell’Area 13 (e quindi anche per gli aspiranti professori di matematica e statistica), compare anche la rivista Inzinerine Ekonomica che richiede di includere un riassunto dell’articolo in russo o lituano. Nel sito è scritto “The journal is well–known and considered important by its readers in Lithuania and other countries”; ho dato un’occhiata agli autori degli articoli su tale rivista negli ultimi 5 anni, e compaiono – salvo rare eccezioni – solo autori dell’Europa orientale.  Per il Gruppo di lavoro dell’Anvur, la rivista Inzinerine Ekonomica ha rilevanza scientifica pari a “Lancet” e “Nature”. Non so chi siano gli esperti interpellati che hanno caldeggiato tale rivista; l’unica spiegazione che riesco a darmi è che forse sia un modo di favorire l’integrazione europea…

Infine qualche osservazione più tecnica. In una recente intervista apparsa su IlSussidiario.net, per spiegare cosa sia la mediana, viene presentato il seguente esempio. “Prendiamo in considerazione tutti i professori di matematica dell’università italiana, poniamo siano 100, vediamo quanti articoli hanno scritto negli ultimi 10 anni, chi 2 chi 5 chi 7, li mettiamo in ordine e li dividiamo esattamente in due: 50 professori staranno sopra questa linea e 50 sotto”. L’esempio in questione evidenzia un po’ di confusione sul concetto di mediana. La mediana – che viene introdotta nelle prime ore di lezione dei corsi di statistica di base – è un indice descrittivo basato sulla posizione dei valori osservati, una volta che questi siano stati ordinati in ordine non decrescente. Per intenderci, consideriamo un semplicissimo esempio su pochi casi. Supponiamo che dieci professori abbiano i seguenti numeri di pubblicazioni in riviste di fascia A: 0, 0, 1, 1, 1, 1, 1, 1, 2, 2 (in ordine non decrescente). La mediana è il valore che divide tale gruppo in due parti aventi la stessa numerosità. Nel caso in esame,  viene calcolato  come la semisomma dei due valori centrali (cioè il 5° ed il 6°), e quindi la mediana è (1+1)/2=1. Dire che la mediana è 1 significa affermare che almeno il 50% possiede una o più pubblicazioni in riviste di fascia A. E quindi, tornando all’esempio di prima, è sbagliato affermare che 50 professori avranno un numero di pubblicazioni maggiore della mediana e 50 un valore inferiore. L’interpretazione corretta è che “almeno il 50% dei professori avrà un numero di pubblicazioni maggiore o uguale al valore mediano”.

Nel mio semplice esempio, solo 2 professori su 10 presentano un numero di pubblicazioni superiore alla mediana. Pertanto, scegliere una soglia di ammissibilità superiore alla mediana, significa considerare non il 50% ma un insieme di unità che non supera il 50% (nei fatti, potrebbe risultare molto inferiore). Questo potrebbe andare anche bene, l’importante è riconoscere che il cosiddetto “criterio della mediana” può selezionare una percentuale anche molto più bassa del 50%.

In conclusione, mentre dobbiamo tutti riconoscere che l’Anvur ha il compito di svolgere un ruolo importante e decisivo per lo sviluppo del nostro sistema universitario, è giusto che i colleghi dell’Anvur riconoscano che tante delle critiche che vengono mosse verso il loro operato hanno un fondamento concettuale e che, anziché procedere a tappe forzate pur di rispettare i tempi programmati, potrebbero essere prese utilmente in considerazione. Dispiace che tali critiche vengano spesso liquidate come interventi  di baronie e gruppi di potere  che vogliono frenare il processo di valutazione, quasi a voler chiedere di non disturbare il manovratore (è forte il dubbio che, in realtà, attraverso questo processo di “valutazione oggettiva” nuove baronie e gruppi di potere vogliano sostituirsi ai precedenti).

Nel gennaio del 1986, lo Space shuttle Challenger  fu distrutto dopo qualche minuto di volo. La commissione di indagine, di cui faceva parte anche fisico Richard P. Feynman, premio nobel nel 1965) evidenziò che disastro  venne causato da un guasto a una guarnizione e che la Nasa – al fine di rispettare i tempi del proprio programma di voli – non aveva prestato la necessaria attenzione ad avarie rilevate nei voli precedenti. Le considerazioni di Feynman sulle ragioni del disastro sono state raccolte in bel saggio di cui, purtroppo per esigenze di spazio, non posso che riportare la frase conclusiva: “Perché la tecnologia abbia successo, la realtà deve prevalere sulle pubbliche relazioni, perché la natura non può essere ingannata”.