Caro direttore,
Continua il processo di informatizzazione delle classi che il ministro Profumo vuole realizzare prima di dover cedere ad altri il governo della scuola; sono di ieri, martedì 18 settembre, gli accordi stipulati al Miur tra il ministro e gli Assessori all’Istruzione di dodici Regioni italiane. Con questo accordo da parte del ministero e delle regioni si è voluto ribadire l’impegno a diffondere dentro le scuole le nuove tecnologie, così da trasformare radicalmente l’insegnamento. Che cosa si ottiene infatti con l’introduzione della Lim in numerose classi e con i tablet consegnati a studenti e professori?
Inutile rassicurare tutti che non cambierà nulla, che si permetterà solo a studenti e insegnanti di avere a disposizione strumenti utili a compiere quello che già si fa oggi nelle classi; inutile anche fare e rifare dichiarazioni in cui si sostiene che non è intenzione del ministero sostituire l’insegnante con il computer. Non è questo il problema. Lo sappiamo bene che l’insegnante rimarrà ben saldo attaccato alla sua cattedra, come ben sappiamo che Lim e tablet sono e rimangono strumenti. Ma non si può far finta di nulla. Con questo processo di informatizzazione si va a trasformare l’insegnamento. Questo è un dato di fatto, per cui urge che studenti, insegnanti e genitori capiscano cosa sta accadendo.
Questo è il problema serio di oggi: che si sta facendo una riforma della scuola sotto le spoglie di una innocente introduzione di strumenti informatici all’avanguardia. Che ogni classe abbia la Lim, che studenti e insegnanti abbiano computer o tablet in classe, che si possa far lezione collegandosi ad internet è certamente un dato positivo, come è augurabile che tanta carta e tanta burocrazia scompaiano dalle classi e dalle segreterie delle scuole. Bisogna però chiedersi che tipo di cambiamenti produce questa rivoluzione informatica dentro l’insegnamento. Senza un giudizio a questo livello della questione l’insegnante non verrà sostituito dalle nuove tecnologie, ma ne sarà umiliato, verrà di fatto ad assumere una funzione di cinghia di trasmissione di una cultura debole e mediocre.
Lim e tablet infatti porteranno dentro le classi una notevole quantità di informazioni e velocizzeranno acquisizione e uso, ma ad un prezzo elevatissimo, quello di ridurre al minimo l’affronto critico delle conoscenze. Questo è quanto potrebbe succedere se si assumeranno passivamente le nuove tecnologie, se ci si piegherà alla semplificazione della comunicazione che portano. Il rischio forte è quello di ridurre la scuola a luogo di informazione, di pura descrizione degli oggetti, senza capire che senso abbiano e a che cosa servano.
Ma la scuola non può essere solo informazione, neppure quella veloce e precisa che le nuove tecnologie rendono finalmente possibile. Scopo della scuola è quello di mettere ogni studente nelle condizioni di un affronto critico di ogni contenuti, di una personalizzazione delle conoscenze. L’insegnante non verrà sostituito dai computer solo se si prenderà tutto lo spazio possibile per tentare con i suoi l’avventura della critica.
Ben venga quindi la Lim o il tablet, ma perché con più informazioni diventa più affascinante lavorare alla rielaborazione critica dei contenuti. Per questo sarebbe più ragionevole che il ministro, al posto di inutili rassicurazioni, parlasse chiaro, dicendo a tutti che questo bombardamento di strumenti informatici può portare in due direzioni opposte. Una è quella di ridurre la conoscenza a informazione, il che significherebbe la fine della scuola in quanto luogo di educazione. L’altra è quella di affrontare la svolta prodotta dalle nuove tecnologie come occasione per una più intenso e determinato approccio critico ad ogni contenuto scolastico.
Le Lim e i tablet entreranno in classe, il problema non è che l’insegnante uscirà, ma come userà queste nuove tecnologie, se avrà ancora a cuore che i suoi studenti imparino a giudicare tutto, oppure se si accontenterà di vederli impegnati a comporre le informazioni. Per questo a tutte le classi che saranno occupate dalle nuove tecnologie, suggerisco che, prima di usarle, leggano e riflettano su questo brano di Andrej Siniavskij: “La quantità delle nostre nozioni e informazioni è enorme, ne siamo sovraccarichi, senza che esse cambino qualitativamente. In pochi giorni possiamo fare il giro del pianeta – prendere un aereo e viaggiare senza profitto spirituale, allargando soltanto il nostro raggio informativo. Confrontiamo adesso questi pretesi orizzonti con lo stile di vita dell’antico contadino, che non si spingeva mai al di là del suo praticello e camminava tutta una vita nelle tradizionali ciabatte, fatte a casa. Il suo orizzonte a noi pare ristretto; ma, in verità, com’era grande questa serrata compagine, concentrata in un solo villaggio. Perfino il monotono rituale del pasto… faceva parte di una cerchia di nozioni dal significato universale. Osservando il digiuno e le feste, l’uomo viveva secondo il calendario di una storia comune che cominciava da Adamo e finiva col Giudizio Universale… Il contadino manteneva un legame permanente con l’immensa creazione del mondo, e spirava nelle profondità del pianeta, accanto ad Abramo. Invece noi, scorso il giornale, moriamo solitari sul nostro divano angusto e superfluo… Prima di impugnare il cucchiaio, il contadino cominciava col farsi il segno della croce e con questo solo gesto riflesso si legava alla terra e al cielo, al passato e al futuro“.