Mercoledì rivedrò le mie insegnanti e insieme riprenderemo l’avventura educativa che ci porterà ad incontrare nuovi bambini e nuovi genitori e a riprendere ad intrecciare vecchi e nuovi legami di corresponsabilità educativa.

Ci introdurremo alla progettazione di nuovi spazi e di nuove attività per permettere a ciascuno di fare un’esperienza di bellezza che lo introduca nella realtà delle cose. E poi… e poi? È tutto qui il lavoro educativo? È questo essere sempre fuori da sé, proiettati verso un altrove che non ci dice nulla? Educare è fare per o stare con?



Ecco, queste sono le domande che mi hanno riempito il cuore e la mente in questi giorni nei quali sto cercando di immaginare il primo collegio docenti.

Così mi sono detto che il punto fondamentale – archimedico – sul quale far leva non può che essere la persona, perché non c’è luogo – il collegio – oppure volti – i maestri – che tengano, se non ci sono io come persona. Con la mia coscienza di chi sono, di ciò che mi interessa, di ciò che mi corrisponde perché ne ho fatto esperienza.



Ecco: partirò dall’esperienza che ciascuno ha fatto delle sue vacanze, per scoprire qualcosa che dia gusto, sapore e significato alla vita. Lo farò non perché mi interessa fare la collezioni delle cartoline dei “luoghi delle vacanze” da appendere alla bacheca, ma per aiutare le mie insegnanti a capire in che cosa consiste un’esperienza e reperire in essa il modo con il quale il nostro io si muove; normalmente. Quando non siamo altrove, con la testa proiettata alle prossime vacanze o alle occupazioni quotidiane. Solo così si può trasformare la scuola in un luogo dove si vive intensamente la realtà e non nel solito, scontato spazio del déjà vu.



A partire da questo racconto cercherò di far vedere alle mie insegnanti quel qualcosa di bello e quel qualcosa di nuovo che muove me a riprendere – anche se fosse solo per un istante – il lavoro educativo insieme a loro, ai genitori, con i bambini. Racconterò quell’esperienza di gratuità e di intraprendenza costruttiva che ho visto e ho incontrato al Meeting di Rimini.

Poi farò vedere loro due video che una mia carissima amica, Rosi Rioli, mi ha suggerito porgendomeli come un dono prezioso. 

Il primo è un video che propone ciò che accade in un grande magazzino dove Charlie Chaplin e la sua amica sognano di poter usare a modo loro  una struttura che contiene cose belle. Però le regole della struttura sono troppo strette; allora la usano di nascosto. Non rompono, non distruggono nulla, non rubano, si divertono, ma “evadono” dalla realtà sognando qualcosa che non c’è. Accanto a loro intervengono nel magazzino dei ladri: sono anch’essi attratti dalla struttura, ma in modo violento. Vogliono il contenuto del magazzino per “rubarlo” e, tendenzialmente, vorrebbero eliminare i testimoni – Chaplin e l’amica – che per caso li incrociano. Un video che mette in luce due rischi che corriamo a scuola: vivere sognando la scuola perfetta che probabilmente non avremo mai e che per questo ci distrae perché, pensiamo, solo così possiamo essere veramente noi stessi. Il secondo rischio è quello di vivere cercando di rubare il tempo, piegandolo alle nostre pretese e alle nostre voglie.

Il secondo video invece è “Il circo della farfalla” dove si racconta la storia, vera, di un uomo affetto da una grave menomazione fisica che apprende dall’esperienza che non ci si può accontentare della “pietà” degli altri uomini. Per essere felici occorre dire “io” e mettere le mani in pasta, intraprendere e mettersi in movimento per maturare, diventare fattore di crescita per sé e per tutti, fattore di costruzione di un modo nuovo di fare le cose. Non le circostanze sono determinanti, ma la coscienza di sé che nasce e si costruisce dentro il rapporto con altri che ti guardano stando attenti alla statura della tua dimensione umana.

Farò questo e, di conseguenza, come di slancio affronterò insieme alle insegnanti tutte le questioni che ci saranno sul tappeto: l’accoglienza dei nuovi iscritti, il rinnovarsi dell’incontro con i bambini e i genitori che già conosciamo, la preparazione degli spazi, i contenuti e le proposte da realizzare, tenendo comunque vigile lo sguardo sulle questioni istituzionali (le nuove Indicazioni, la funzione docente, gli organi collegiali, …). Non dimenticando mai che il collegio docenti è il luogo che nella scuola permette la saldatura tra la vita e la professione, tra la persona e la funzione. La frattura è vinta se il collegio diventa il luogo dove la persona è continuamente sostenuta e rinvigorita nell’adesione alla forma educativa nella quale opera e agisce. In questo orizzonte si può dire che il collegio è una comunità, un luogo di espressione della persona, della libertà personale; che ci sia io o un altro non è la stessa cosa, e l’altro è in qualche modo parte della definizione di me come insegnante e come persona. Dato che la persona per esprimersi deve comunicare, cioè donare qualcosa di sé all’altro, possiamo dire che l’azione libera è essenzialmente determinata dall’amore che nutro per l’altro. Così le condizioni che l’io trova nella sua azione (leggi, vincoli, regole, …) non sono subìte e tollerate come un nemico o un estraneo con cui venire a patti per delimitare il campo dell’azione; esse sono accolte, fatte proprie come se fossero nate dalla volontà stessa dell’io e come condizione e strumento per vivere in pienezza la propria libertà come responsabilità (cioè una libertà che sa a chi deve rispondere). L’ideale della comunità non è l’equilibrio, ma l’apertura, la comprensione dell’altro e l’immedesimazione in lui.

Tuttavia la parola “luogo” non basta a descrivere il collegio; quest’ultimo è, e deve essere, anche un luogo guidato: senza questo aspetto si ridurrebbe ad un ambito con funzioni meramente organizzative oppure burocratiche. A questo livello la funzione e la responsabilità di chi guida è fondamentale. Il collegio pertanto è il luogo in cui, lentamente, chi guida cura il passaggio da collettività a comunità. Le persone con cui lavoriamo, come noi stessi, sono persone in carne e ossa con le loro rigidità, a volte molto forti, ma anche con le loro aperture e con la disponibilità a fare un passo per cambiare se si sentono accolte e abbracciate nella loro reale umanità. Occorre che qualcuno ponga uno sguardo attento e benevolo su questo movimento e che lo accompagni.

Se questo accade, accade un “miracolo”, una cosa dell’altro mondo perché normalmente questa idea che il collegio possa servire ad un’educazione reciproca è assolutamente estranea; al massimo, se c’è equilibrio, può essere vissuto come un luogo dove si decidono delle iniziative comuni o condivise, ma mai come luogo dove tutto di noi è esaltato alla massima potenza.