Sono salve le scuole paritarie d’infanzia messe in ginocchio la scorsa settimana dall’annuncio di tagli considerevoli: il vicesindaco di Como e assessore alle politiche educative Silvia Magni ha infatti ufficializzato la decisione di una retromarcia sulla decisione improvvisa, ad anno scolastico da poco iniziato, caduta come una mannaia che avrebbe cancellato dalla mappa dei servizi scolastici per l’infanzia ben 15 asili, con 40 sezioni e circa mille utenti. Scongiurato il pericolo della riduzione del 40% in meno su un contributo di 11.300 euro annuali per ogni sezione, il che vuol dire una riduzione a 7mila euro, le famiglie che si erano ritrovate senza scuola per i figli – dato che le statali già sature non sarebbero state in grado di rispondere alla domanda – hanno sicuramente tirato un sospiro di sollievo. Ma non hanno del tutto smaltito l’umiliazione e l’ingiustizia subita e sottovalutata dagli amministratori del comune che fra le righe tradiscono una prassi e una visione del servizio pubblico ancora inficiata di pregiudizi ideologici, poco al passo con i tempi, oltre che con le leggi dello stato.
Non può sfuggire, insomma, che la “buona notizia” – e lo è certamente dato che si è evitato di far chiudere scuole consolidate e apprezzate da centinaia di utenti – sia giunta con gli accenti di una concessione, più che di un diritto riconosciuto. E in questo senso non sia stata colta come occasione per un passo avanti.
“Incontrerò personalmente i presidenti delle diverse realtà perché voglio conoscere nel dettaglio le diverse situazioni” ha affermato l’assessore alle politiche educative del comune Silvia Magni proponendo la creazione di “un tavolo con rappresentanti per ogni tipologia di asilo. Metteremo a punto un nuovo accordo“, ha annunciato, “che tenga conto delle singole esigenze, ma anche delle ristrettezze economiche del Comune“. E il giorno precedente aveva provveduto l’assessore ai servizi sociali Bruno Magatti a ribadire in tono paternalistico una breve lezione di welfare post moderno alle mille famiglie lasciate “a piedi” riguardo alla scuola dei bambini. “Forse si è capito poco che il governo sta aggiustando i conti dello Stato, che qualcuno ci ha lasciati in condizioni disastrose, tagliando soprattutto sui fondi con destinazione sociale“, è intervenuto Magatti puntando l’attenzione su un ventaglio di bisogni che ogni singola fascia di utenti è incline a considerare prioritaria. “Ma se è giusto che ognuno rimarchi il proprio problema, chi amministra deve invece avere sotto controllo tutto lo spettro della domanda dei bisogni“, ha proseguito, “ci sono persone rimaste fuori del servizio degli asili nido comunali e anche quello non va bene. Addirittura non siamo più in grado di garantire il trasporto ai disabili” ha affermato seminando grani di agguerrita competizione fra categorie sociali – e relativi interessi – che potrebbero sentirsi indotte a tirare la famosa coperta corta dalla loro parte.
In conclusione, con la garanzia del contributo alle scuole paritarie dell’infanzia, che per quest’anno sarà erogato senza decurtazioni, è stata cantata anche l’antifona della “ridistribuzione dei costi”, ovvero la futura prospettive di un contributo che può essere chiesto all’utenza che beneficia del servizio, in questo caso alle famiglie. La previsione che si legge fra le righe dovrebbe quindi portare i gestori degli istituti paritari a valutare una revisione delle rette sulla base del reddito e soprattutto delle scarse risorse nelle casse comunali.
Neppure viene sfiorata l’amministrazione comunale di Como dall’eventualità di considerare le scuole paritarie (gestite da soggetto privato) e quelle statali, a gestione diretta dello Stato, sullo stesso piano, entrambe chiamate a svolgere un servizio pubblico, riconosciute parte del sistema nazionale di istruzione (vedi legge 62/2000 comma 1) e quindi da supportare in una logica complessiva che porterebbe a calibrare diversamente i costi e i benefici.
E proprio su un orizzonte più vasto ha portato l’attenzione Armando Zuliani, presidente Agesc (Associazione genitori scuole cattoliche) della provincia di Como, portavoce delle famiglie da anni penalizzate nella loro scelta educativa con ricaduta economica che pesa prevalentemente sulle loro spalle. “L’intero sistema nazionale beneficia dalla presenza delle scuole paritarie poiché le famiglie, pagando le rette, assumono i costi diretti dell’istruzione per i propri figli producendo un corrispondente risparmio economico a favore delle casse dello stato, situazione che, nel perdurare della grave crisi che stiamo vivendo, costituisce una possibile fonte di spending review che un amministratore pubblico dovrebbe prendere in attento esame” ha suggerito Zuliani insinuando indirettamente una pista che può incrociare gli assilli degli amministratori preoccupati per la scarsità di risorse finanziarie.
“E’ stata tamponata la falla per questo anno scolastico 12-13, ma non dobbiamo fermarci a questo risultato dettato per altro anche dall’emergenza da gestire” ha commentato il presidente Fism (Federazione italiana scuole materne) Claudio Bianchi, alludendo alla mancanza di alternative per il migliaio di bambini che rischiavano di veder chiuso il loro asilo. “Ora il tavolo di confronto che si è concordato per un necessario aggiornamento della convenzione, mi auguro possa aprire il confronto anche considerando la valenza educativa e sociale delle nostre realtà scolastiche, spesso ultracentenarie, che sussidiariamente operano con notevole risparmio per le casse statali, ma anche comunali“.
“Perché non potenziare le scuole che funzionano con costi enormemente inferiori, invece di affossarle?” è tornato a domandare provocatoriamente Zuliani riferendo i dati di una ricerca condotta da Luisa Ribolzi dell’Università di Genova e da Tommaso Agasisti del Politecnico di Milano con un’indagine svolta nelle maggiori città italiane. “E’ risultato che il 17,4% delle famiglie in procinto di scegliere la scuola per i propri figli opterebbero per una scuola paritaria se lo Stato concedesse loro un contributo oscillante tra i 500 ed i 1000 euro. Alla scuola statale un alunno costa enormemente di più” .Non potrebbe partire da questi concreti rilievi la risposta al rompicapo che affligge l’amministrazione: “Ci dite dove andiamo a prendere i soldi? Dove possiamo tagliare?“