Un occhio alla scuola reale, in questo inizio d’anno scolastico. Prendiamo il tema dei trasporti scolastici. Questione ogni anno da dirimere per tante scuole superiori sparse nel nostro territorio nazionale. Con ulteriori aggravanti, visti i tagli dei trasferimenti agli enti locali, quindi, per conseguenza, alle aziende di trasporto.
In tempi di “vacche grasse”, era più facile per le scuole rivendicare la propria autonomia, con l’invito alla politica di riconoscere il valore primo della scuola nella nostra vita sociale.
Oggi, invece, è chiesto a tutti di condividere, per le “vacche magre”, decisioni e sacrifici. Cercando il più possibile di andare all’essenziale: il comune impegno verso “servizi pubblici” adeguati, come la scuola, i trasporti, l’assistenza, la sanità, deve cioè coinvolgere tutti. Solidarietà significa che ci si salva assieme, non pensando ognuno a se stesso. Non è più possibile pensare, cioè, solo a se stessi. E solo assieme si possono trovare le soluzioni meno complicate per tutti e per ciascuno.
Il che significa, per il mondo della scuola, valorizzare al massimo le “reti” locali di collaborazione, per opzioni condivise intorno ai comuni problemi. Per gli enti locali, invece, ai quali fanno capo le aziende di trasporto, si tratta di dire la verità su bilanci e prospettive, per scelte oculate e sostenibili.
L’unica salvezza oggi, dunque, è fare squadra. Le scuole, dal canto loro, devono uscire dal proprio guscio autoreferente; gli enti locali, nel contempo, devono dimostrare in modo concreto che stanno cambiando rotta sul proprio servizio alla città: seguendo una logica di campus, di strutture condivise, di priorità da far emergere.
E’ ovvio che le scuole non possono subordinare il proprio servizio ai trasporti, per i tanti vincoli, compreso quello delle lezioni di 60 minuti, senza più le antiche “furbate” di lezioni da 45-50 minuti per ipotetiche “cause di forza maggiore” (giustificate da una vecchia Circolare Falcucci).
L’unica salvezza è la logica di “rete”. Il rischio del caos, cioè dello scaricabarile, è dietro l’angolo. Con conseguenze, in termini di sicurezza per i nostri studenti, facilmente immaginabili. A meno che qualcuno non voglia scaricare sul costo dei biglietti, cioè sulle famiglie, la difficoltà di una condivisione.
Il sabato libero potrebbe essere una soluzione? Il fatto è che ad oggi, per gran parte delle strutture scolastiche, vista l’assenza delle strutture adeguate, non è possibile pensare al sabato libero. Cosa ovvia invece in altri Paesi europei. Ma gli stessi enti locali dovrebbero, lo ripeto, individuare un percorso di realizzazione di opere a tal fine, in modo da garantire in pochi anni queste strutture di accoglienza (mense, centri per studenti, ecc.). Una logica di “campus”.
Io sono sempre più dell’idea che chi ha la responsabilità deve assumere anche il compito di individuare delle possibili soluzioni. Non basta limitarsi alla sola rivendicazione, alle solite manifestazione autunnali, a diritti più dichiarati che praticati, visto il contesto individualistico del nostro vivere sociale. Non possiamo affidarci nemmeno al caos del “tanto peggio, tanto meglio”, cioè alla sola protesta come unica ragion di vita. Chi ha la responsabilità, lo ripeto, ha anche l’onere e l’onore di individuare, mediando tra le sempre legittime richieste, una soluzione. Il rischio è che l’anno scolastico si avvii senza sapere come potranno essere garantiti alcuni servizi, compresa la stessa offerta formativa delle scuole.
“Giusta misura” e “bene comune” amavano ripetere i nostri padri costituenti. Parole vuote? Diamoci tutti una mano. Il momento di difficoltà che tutti stiamo vivendo richiede un surplus non di pretese “di principio”, ma di responsabilità condivisa. Allora le solite criticità: tagli delle corse, sovraffollamenti delle linee, rispetto delle coincidenze, zone di scambio, fasce orarie, orari di ingresso e uscita, avranno modo di essere affrontate e risolte, perché c’è la comune buona volontà.
E’ vero: pochi conoscono, purtroppo, la complessità delle scuole, la fatica di conciliare vecchi e nuovi quadri orario delle lezioni, gli incroci vari di indirizzi e piani di studio. Ma le scuole non sono delle isole staccate dal tessuto sociale. Anzi. Sanno, o dovrebbero sapere, che l’unica garanzia che hanno e che avranno sarà, sempre più, quella di diventare “scuole delle comunità locali”, inserite in un contesto condiviso di offerta formativa (POF di rete), aperte al coinvolgimento, attraverso “comitati tecnico-scientifici”, di tutti i principali attori sociali ed istituzionali di un determinato comprensorio.
In gioco ci sono tante cose. Per il bene dei nostri ragazzi, dei nostri figli. Scuole, dunque, attente alle complessità del nostro momento storico, ai fini del bene delle future generazioni. Perché dobbiamo, ancora una volta, scaricare sui giovani, sui nostri figli, le nostre contraddizioni? Fatte di corporativismo, al di là della facciata, e di immobilismo. Di pretesi diritti perché non accompagnati dalla responsabilità.
Ciò che sinceramente temo, anche per questo nuovo anno scolastico, è che, come già in altri Paesi, esploda anche da noi la protesta giovanile contro una società adulta che sta penalizzando, per mille motivi, il futuro dei nostri ragazzi. Una società che garantisce i garantiti e penalizza i non-garantiti. Una società che non vuole riconoscere il primato di merito e valori. Se a questa protesta si sovrappongono le polemiche nostrane su scuole fatiscenti,su strutture inadeguate, su trasporti caotici, sarà un autunno davvero caldo.
Per tutti questi motivi, le scuole dovrebbero condividere dei tavoli di lavoro con i decisori politici, con gli enti locali e con tutti i titolari dei servizi logistici. Un modo per darsi una mano.