“Ca’ Edimar è una scuola semplice e ragionevole”. Non avevo mai sentito, in tanti anni, una definizione più bella e meno scontata della scuola di cucina e di panificazione di Ca’ Edimar, il “villaggio degli adolescenti” aperto a Padova più di dieci anni fa. L’ha data uno dei 150 ragazzi su cui nessuno scommetterebbe nulla. E per quei 50 nuovi, è stato un modo “strano” di iniziare il primo giorno di scuola a Ca’ Edimar: non un semplice appello di rito prima di entrare in classe, ma un essere “chiamati per nome” per stringere la mano a ogni docente e sentirsi dire da ognuno “benvenuto tra noi”. E i docenti c’erano tutti, eccetto chi, avendo più scuole di insegnamento, doveva essere da un’altra parte; non era per loro orario di servizio, era un’ora “non pagata”, ma hanno accolto l’invito di essere presenti, per dare anche loro il benvenuto. Anche le donne di pulizie si sono presentate e hanno dato il loro benvenuto, perché anche loro “insegnano” in questa scuola, perché il primo modo di insegnare è la testimonianza della propria posizione umana nell’impegno con la realtà. Mario ha detto ai ragazzi “quando vi viene da buttare per terra anziché nel cestino una carta o l’involucro di una merendina, pensate a questi volti che ora avete visto e chiedetevi se è ragionevole che loro puliscano anche dove voi potreste, se ponete attenzione, non sporcare. Ognuna di loro potrebbe essere vostra madre; pensate come vorreste che fosse trattata nel lavoro”.
Mentre noi adulti stringevamo le mani di questi nuovi 50 ragazzi e ragazze accolti in questi giorni a Ca’ Edimar per iniziare il percorso della scuola di cucina e di panificazione, pensavo alla frase che don Luigi Giussani disse all’amico Enzo Piccinini: quando guardi i tuoi figli pensa “che ne sarà del loro destino”? Non è un’affermazione che getta nello sconforto della non conoscenza, perché è la frase più ragionevole che un uomo possa dire quando vuole veramente bene a qualcuno. Se non fosse per questa innata verità una madre non metterebbe al mondo una creatura, non saremmo nati. Se non fosse per questa inarrestabile certezza non ci sarebbe Ca’ Edimar e stringere quelle mani sarebbe solo un atto di gentilezza già pieno del cinismo di chi dice “tanto non accadrà nulla di nuovo”. Senza questa certezza non avrebbe senso accettare la sfida della libertà dell’altro, i suoi tempi, i suoi passi. Senza questa certezza quel padre della parabola del figliol prodigo non sarebbe stato in attesa del figlio senza muoversi di lì.
Ho stretto le mani a ragazzi e ragazze che mi hanno guardato un po’ stupiti e impacciati, ad altri che tenevano gli occhi bassi, come per dire “non ci sono ancora”… Occhi stupiti e occhi bassi: la stessa sfida. Ma da dove nasce questa certezza? Come fa un educatore a farne lui esperienza per poter guardare chi educa con questa certezza addosso? A Ca’ Edimar non si trova una risposta prefabbricata, ma, per chi vuole, un cammino perché questa domanda rimanga veramente aperta.