La decisione del ministro Profumo di bandire un nuovo concorso per il reclutamento degli insegnanti ha suscitato notevoli polemiche, soprattutto da parte dei sindacati: questi ultimi avrebbero preferito che si continuasse ad attingere esclusivamente alle graduatorie ad esaurimento, così come fatto negli ultimi anni, prescindendo da qualunque altro criterio di selezione che non fosse la sola anzianità di servizio. Per lo stesso motivo, invece, la decisione del ministro è da apprezzare, perlomeno per l’intento (più dichiarato che effettivo come si vedrà…) di affiancare alle graduatorie una selezione in qualche modo meritocratica.
Va subito detto che il ministro non sta compiendo nessuna “rivoluzione”, ma semplicemente applicando ciò che è previsto dalla normativa vigente la quale, a fronte di una stima di circa 23mila posti disponibili per le assunzioni nel prossimo biennio, impone di attingere equamente il 50% dalle graduatorie e il 50% tramite concorso. Tutt’altro discorso sarebbe invece quello di una vera riforma del reclutamento dei docenti che metta al centro l’autonomia degli istituti scolastici e la professionalità dei docenti. Detto questo, rimangono però alcune importanti zone d’ombra sull’operazione messa in atto dal Miur. Oltre alle perplessità già segnalate in un recente intervento su questo giornale circa il contenuto e le modalità delle prove selettive, vorrei provare a mettere in luce alcuni nodi tuttora irrisolti.
Il primo: le tempistiche e i Tfa (tirocinio formativo attivo). Uno degli errori più gravi riguarda la scelta, infelice, delle tempistiche. Il concorso viene bandito, dopo 13 anni, proprio nel bel mezzo del primo anno di partenza, tra mille difficoltà, dei Tfa e dell’ormai prossimo (?) avvio dei Tfa speciali. Anche il Consiglio nazionale della pubblica istruzione (Cnpi), nel suo parere fornito al ministro il 21 settembre 2012, ha sottolineato come non sia “condivisibile la scelta di bandire il concorso in un momento in cui non sono stati ancora attivati il Tfa che coinvolge le istituzioni Afam e i percorsi relativi alla scuola dell’infanzia e primaria (cfr. art 15, comma 16 DM 249/2010) e non è stato ancora completato l’iter per l’indizione del Tfa riservato a coloro che hanno determinati requisiti di servizio“. Inoltre, rincarando la dose, lo stesso organo ha evidenziato come, “perdurando le attuali regole di accesso, risultano esclusi i più giovani in quanto nell’ultimo decennio, nonostante il possesso del titolo di laurea, in molti casi, non hanno avuto l’opportunità di conseguire l’abilitazione“. Quindi uno dei motivi principali che stavano alla base della decisione del ministro, ossia quello di svecchiare la scuola e favorire un ricambio generazionale tra i docenti, non potrà verificarsi in alcun modo.
Secondo punto. Ulteriori interrogativi sorgono tra i tanti aspiranti giovani insegnanti, esclusi senza motivo da questo concorso. Il ministero infatti ha più volte annunciato l’avvio di un secondo concorso per la primavera 2013 che permetta anche agli attuali abilitandi del Tfa la possibilità di concorrere. Sarà davvero così o assisteremo all’ennesima beffa? E se il concorso davvero ci sarà, per quali anni saranno banditi i posti, visto che fino all’a.s. 2014/2015 i posti disponibili sono già stati tutti assegnati? Sembra che nelle intenzioni del ministro ci sia quella di bandire un nuovo concorso per 5mila posti entro il 2013 per le immissioni in ruolo dell’anno scolastico 2015-2016: ma chi potrà parteciparvi? E queste intenzioni resisteranno anche al termine, ormai prossimo, della legislatura?
Terzo e ultimo. Infine, sorge spontanea una domanda: concorso farà rima con ricorso? Per scongiurare quella che sembra ormai una prassi consolidata e visti i precedenti poco felici dei test preselettivi per il Tfa e del concorso per dirigenti scolastici della scorsa estate, c’è da augurarsi che questa volta la gestione del Miur sia più attenta e precisa… E anche se tutto, come si spera, dovesse andare per il verso giusto, rimane forte la perplessità per la messa in moto di una complessa e costosa macchina organizzativa (circa 1 milione di euro) per assegnare in alcuni casi solamente una manciata di cattedre (per esempio per la classe A051 in Lombardia saranno solo 3 i posti disponibili). Tutti elementi che dovrebbero essere presi in considerazione dal governo e dal parlamento per avviare una seria riforma del sistema, che miri al superamento di modalità concorsuali costose, inefficaci e spesso farraginose.
In queste procedure amministrative, che rischiano di trasformare l’insegnante in un burocrate statale, si rischia di dimenticare che cosa c’è in gioco: come sottolineato in un recente documento della Compagnia delle Opere, “non è (appena) il destino lavorativo e professionale di migliaia di persone, ma la possibilità che i nostri ragazzi abbiano di fronte a sé, accanto a docenti con esperienza e maturità, insegnanti giovani, preparati, motivati e appassionati, introducendo così un equilibrio generazionale che ci avvicini agli altri Paesi europei: solo così la scuola italiana potrà tornare ad essere un luogo di educazione alla libertà e non essere più considerata come un semplice ammortizzatore sociale“.
Per questo un concorso è meglio delle sole graduatorie. Ma la strada verso una reale autonomia delle scuole e una effettiva valorizzazione della professione docente è tutt’altro che cominciata.