Caro direttore,
in questi giorni in cui la Chiesa milanese ha accompagnato il cardinal Carlo Maria Martini nel suo ultimo viaggio mi sono venute spesso in mente le sue sfide ad educare, quelle che hanno caratterizzato la sua pastorale a fine anni 80, ma che in realtà sono sempre state un tratto significativo del suo sguardo di apertura che ha sempre avuto nell’educazione un perno forte, incrollabile e dinamico. Per questo, anche vista l’incombenza del nuovo anno scolastico alle porte, vorrei riproporre alcuni punti fermi della posizione educativa del cardinal Martini, certo che sono quanto mai attuali e sarebbe interessante che ogni educatore li riprendesse, li assumesse di fronte alle sfide dell’oggi.
Il primo punto fermo del cardinal Martini è di aver trovato Chi educa lui, in questo sta l’originalità della sua posizione educativa. Nella lettera pastorale per gli anni 1987/88 il cardinal Martini scriveva: «Perché Tu, o Signore, mi hai educato, Tu mi hai condotto fin qui: Tu hai messo in me la gioia di educare “più gioia di quando abbondano vino e frumento” (Salmo 4, 8). Sei Tu, o mio Dio, il grande educatore, mio e di tutto questo popolo. Sei Tu che ci conduci per mano, anche in questa nuova fase del nostro cammino». La sfida del cardinal Martini a partire da sé è la sfida che sta alla base di ogni avventura educativa: solo chi trova uno sguardo che lo educa può proporsi come educatore. Una sfida quanto mai attuale e decisiva in un mondo che invece pensa di poter rispondere all’emergenza educativa trovando nuove tecniche pedagogiche oppure, e questo oggi è dominante, individuando un insieme di regole che possano tracciare una strada sicura. Nulla di tutto ciò, perché l’educazione è una vertigine e non un meccanismo, e tale vertigine regge su un punto di saldezza unico, la certezza di aver incontrato uno sguardo che educa perché apre alla vita e al suo senso.
Questa certezza, la certezza del cardinal Martini, di aver trovato in Dio, nella sua tenerezza l’educazione di sé, porta ad un secondo punto, anch’esso di grande originalità. E’ la coscienza che “l’opera educativa non è nostra”, ma è opera di Dio, tanto da poter affermare come lui stesso scrisse «noi impariamo da lui, lo seguiamo, gli facciamo fiducia ed egli ci guida e ci conduce». Educare non è un progetto che l’educatore pensa e applica alla realtà, e non lo è neanche se fosse un progetto buono e intelligente, educare è tutt’altro, è seguire ciò che il Mistero suscita, è imparare da quello che fa accadere nell’altro o negli altri.
Questo fa capire la posizione di apertura e di dialogo del cardinal Martini, la sua coscienza di poter trovare in ogni uomo una traccia di verità e di poterla seguire per arrivare alla verità intera. È affascinante questa posizione, diversa da quella che spesso si incontra negli educatori di oggi che invece si accaniscono ad affermare un proprio progetto, l’immagine che loro si fanno del bene di ogni ragazzo o ragazza con cui stanno. Il cardinal Martini propone un’altra direzione dello sguardo: è l’umano la via che il Mistero sceglie per educarci e per educare. In questo senso si capisce come guardare alla realtà abbia il fascino di imparare dalla realtà, perché in essa e non nelle nostre immagini c’è il solco con cui Dio si imprime nell’umano. Potersi mettere in questo solco, questo è educare, e non tracciare un proprio solco! Una sfida all’educatore di oggi, che invece vuole tracciare forzosamente un proprio indiscutibile solco.
Che cosa, e si arriva al terzo punto, rende sicura questa strada? Il cardinal Martini lo ha indicato a chiare lettere sempre nella lettera pastorale del 1987/88, dove ha scritto: «Il rispetto per l’educando non viene dato con un atto di fiducia cieco, ma confidando nel “maestro interiore”, che muove e attira ciascuno; ogni manipolazione educativa viene esclusa dalla certezza che è nel santuario della coscienza, nel “cuore”, che ciascuno assume le decisioni definitive. Mettendo al centro l’azione di Dio si pone in più chiara luce l’attività sia dell’educatore che del soggetto da educare: l’educando viene stimolato a collaborare con la forza interiore che è in lui, di cui la comunità educante è alleata. Predomina dunque il rispetto per il processo di autotrascendenza morale, intellettuale e religiosa dell’adolescente in cammino verso il proprio io autentico, quello che “è stato fatto per mezzo della Parola” e che ora è evento mediato dalla stessa Parola».
È il cuore l’alleato dell’educatore, questo maestro interiore che vibra dentro ogni essere umano. Qui sta il nucleo della sfida che il cardinal Martini ci lancia, quella di non affidarsi ad una propria pedagogia, né ad una propria capacità o di trasmettere conoscenze o di rapportarsi con l’altro, non sono questi i fattori dell’educazione, che pur ci debbono essere. E’ il cuore il terminale di ogni proposta educativa, è che batte per il bello e il vero, è che porta dentro di sé ciò per cui si inizia a conoscere, il desiderio di essere felici, e di esserlo per sempre. Senza toccare il cuore non inizia l’educazione, senza intercettare le sue esigenze tutto rimane inerte, senza arrivare alle esigenze di senso che pulsano dentro i suoi gangli vitali l’educazione rimane intenzionale.
È per questo che educare è cercare la libertà dell’altro, è attendere che si muova, è sorprendersi del suo improvviso sussultare, in questa apertura sta il fascino dell’educazione, una attenzione alla realtà da rilanciare ad ogni attimo, certi che è la realtà che risponde e lo farà secondo una modalità migliore di quella che l’educatore immagina.
Ad una società e ad una comunità educante che chiede sempre più regole, sempre più tecniche pedagogiche il cardinal Martini risponde oggi come rispondeva vent’anni fa, risponde mettendo al centro la persona. La questione seria dell’educazione è una sola, è che ci sia la persona. Una sfida quanto mai attuale, e val la pena tenerla presente in questo anno scolastico che sta per prendere il via.