In questo intervento a proposito delle imprese dell’Anvur vorrei iniziare proponendo una questione generale: che cos’è uno scandalo? Trattasi di un evento infausto e ingiusto che colpisce tutta o quasi tutta una popolazione? E può dirsi che scandalo non vi sia se soltanto una piccola parte della popolazione, addirittura solo qualche unità di essa, ne viene colpita?
No, non può dirsi. Anzi, lo scandalo più clamoroso è quello che colpisce alcuni individui e che nella sua somma, stridente ingiustizia mette in luce il marciume di un sistema. Un innocente che viene giustiziato a dispetto di ogni evidenza e senza che ci si “scandalizzi” è il sintomo di un sistema corrotto. Casi come quello di Enzo Tortora sono lo scandalo per eccellenza.
In verità, il meccanismo di valutazione messo in atto dall’Anvur – un meccanismo unico al mondo per quanto è pervasivo e perché interviene a valutare a monte anziché a valle, come sarebbe stato giusto fare e come si era promesso di fare – è in realtà scandaloso in un senso molto ampio, perché troppe sono le falle e le assurdità di cui è disseminato. Ma se le illimitate risorse della sofistica possono celare parte di queste falle, vi sono alcune vicende scandalose nel senso detto all’inizio: e cioè dei casi indiscutibilmente clamorosi che svelano l’ingiustizia del sistema messo in atto.
Certo, la sofistica non conosce limiti e può spingersi a negare persino l’evidenza. Per esempio, nel documento di accompagnamento delle mediane, l’Anvur ricorre alle seguente ineffabile prosa:
«Un’analisi delle tabelle ne rivela la sostanziale ragionevolezza. Vi sono pochi casi di apparente inversione dei valori, vale a dire casi nei quali i valori per i candidati all’abilitazione a professore associato sono più alti di quelli per i candidati all’abilitazione a professore ordinario. Tali casi sono indice non già di anomalie degli indicatori o delle procedure di calcolo (peraltro ripetutamente testate e oggetto di confronti indipendenti), ma bensì di caratteristiche particolari delle categorie di docenti di quei particolari settori concorsuali».
Una prosa ineffabile che è indice del rigore “scientifico” e del controllo della logica di chi l’ha prodotta. La realtà si ribella agli indicatori e alle procedure di calcolo? È colpa della realtà che non si adegua al modello, visto che questo è stato “testato”… Ma il metodo “scientifico” non insegna forse che quando un “test” contraddice una teoria occorrerebbe porsi il problema se la teoria non sia errata, anziché prendersela con i fatti ribelli? Niente da fare: la colpa è delle “caratteristiche particolari” di “quei particolari docenti”. Hanno voluto essere speciali tanto da non rientrare nel modello? Peggio per loro. Potevano pensarci prima… D’ora in poi chi è difforme dai criteri anvuriani è destinato a essere soppresso come una fastidiosa anomalia.
«Pochi» casi di «apparente» anomalia… Ma che vuol dire «apparente»? Se l’anomalia c’è, c’è, punto e basta. E che i casi siano pochi non vuol dire nulla. Chi abbia un’idea minima di cosa sia non dico la scienza, ma la logica, sa che, per dimostrare che una teoria, un algoritmo, un modello sono falsi, basta un caso, uno soltanto. Un solo caso di inversione basta a far crollare tutto. E non vale cavarsela con quell’impagabile «apparente».
Hanno voluto costruire l’oggettività sulla numerologia e siccome i numeri si ribellano decretano una nuova concezione del loro ordinamento: se, applicato ai fatti, il modello produce il risultato 3 < 2, ciò è irrilevante perché si tratta di un solo caso. Il potere dell’Anvur è enorme e presto verrà esteso a quello di ridefinire le proprietà dell’ordinamento dei numeri, ma aspettiamo almeno che vi sia un decreto in tal senso.
In verità, questa bizzarra visione dell’oggettività scientifica e lo scartare come un fastidioso accidente l’anomalia rappresentata da qualche gruppo di “particolari docenti” appartengono a un’unica visione. Un membro del gruppo incaricato dall’Anvur di stabilire la graduatoria delle riviste nel settore non bibliometrico ha di recente prodotto in un sito web la seguente dichiarazione: «Facciamo mobbing su quelli giovani ma mediocri o peggio per farli andare in pensione (p. es. tagliamoli fuori dalle commissioni di concorso e facciamone degli zombies). Quando poi i nostri colleghi avranno imparato ed il clima sarà cambiato, allora i soldi saranno ben spesi. In questo processo ci saranno delle ingiustizie? Purtroppo sì».
Questo ineffabile personaggio è stato lasciato al suo posto sebbene sia inaudito che chi è incaricato di una funzione istituzionale di valutazione “oggettiva” la viva come una missione rivoluzionaria, addirittura come un “mobbing”, come un’azione volta a ridurre a zombies i colleghi che lui ha deciso essere non meritevoli, come un’opera volta a far “imparare” i colleghi, in cui pur di “purificare” il sistema vale la pena ghigliottinare senza pietà, a costo di far cadere teste innocenti. Sono le “anomalie”, i “docenti particolari” che si sono trovati in una terra di mezzo tra la palingenesi giacobina e la “reazione”. Le loro teste cadranno nella mischia? Pazienza… Quel che conta è conseguire il fine rivoluzionario.
Come diceva il noto dirigente comunista Giancarlo Pajetta, «tra la verità e la rivoluzione, scelgo la rivoluzione». È il motto del totalitarismo di ogni tempo e di ogni latitudine. Quel che conta è il programma, il modello, i parametri e poi se qualcuno ci rimette, pazienza: la purificazione sociale richiede le sue vittime. “Les Dieux ont soif”… (dall’omonimo romanzo di Anatole France, una grande opera letteraria, anche se non menzionata nei database Scopus e Isi).
Siamo quindi ricondotti alla categoria della scandalo. I “docenti particolari”, le “anomalie” sono lo scandalo: non per l’Anvur, a quanto pare, ma certamente per chi pensa che la scienza e la conoscenza non siano il campo di battaglia di una crociata.
Di uno di questi scandali voglio parlare e posso farlo senza tema di un conflitto di interessi, visto che sono stato graziato di un “semaforo verde” dalle valutazioni bibliometriche Anvur, ovvero potrei essere membro di una commissione di abilitazione, anche se non mi avvarrò di tale facoltà. Sono l’unico “semaforo verde” di tutto il mio gruppo di colleghi ordinari storici della matematica: gli altri sono tutti “semafori rossi”. E come mai? Sono forse tutti degli inetti, a differenza del sottoscritto? Figurarsi. La storia della matematica italiana ha una lunga tradizione che risale a personalità come Aldo Mieli e Federigo Enriques e che ha la virtù di essersi sviluppata in un contesto prettamente interdisciplinare: ovvero di aver praticato ricerche di carattere umanistico in un contesto scientifico, quello dei matematici − come del resto accade per gli storici della fisica, della biologia o della medicina.
Una collocazione al crinale e tanto più importante perché collega la competenza scientifica specifica con un approccio di tipo umanistico. Non a caso a queste ricerche hanno contribuito valenti matematici, come Enrico Giusti, le cui opere sia matematiche che storiche sono note a livello internazionale. La comunità degli storici della matematica italiani è scientificamente molto attiva, ha costituito una società che promuove un congresso ogni anno, pubblica da tempo una rivista prestigiosa.
È un torto essersi messi sul crinale tra scienze “dure” e “molli”? Certamente sì nella logica dell’Anvur, che ha diviso in due la conoscenza, tra settori bibliometrici e non bibliometrici, avverando i peggiori timori di C. P. Snow circa il divorzio tra le due culture. È uno spartiacque che piace agli scienziati “duri” che considerano chiacchiere tutto ciò che non è strettamente tecnico, e piace agli umanisti ancora intrisi di crocianesimo. Si sperava che, dopo tanti anni, il divorzio tra le due culture sanzionato dall’attacco violento del neoidealismo crociano a Federigo Enriques stesse ricomponendosi: ci ha pensato l’Anvur ha dare la mazzata finale. O di qua o di là. E naturalmente gli storici della matematica non stanno né di qua né di là. Sono “docenti particolari”, un’”anomalia” e, siccome sono pure pochi, chi se ne importa se finiscono sotto la lama della ghigliottina. L’ineffabile commissario di cui sopra è stato facile profeta: “vi saranno delle ingiustizie? purtroppo sì”. E peggio per loro.
È lecito chiedersi: come mai gli storici della matematica sono finiti sulla ghigliottina? Perché la loro produzione è di tipo umanistico: libri, articoli in libro, edizioni critiche, ecc. e per giunta spesso in italiano, soprattutto quando (ma guarda un po’ che pretesa) si occupano della storia della scienza italiana. Ora, per i database usati dall’Anvur e dalla bibliometria in generale questo tipo di pubblicazioni semplicemente non esiste. Quindi, non conta che tu abbia pubblicato decine di libri, centinaia di articoli, edizioni critiche sofisticate, insomma che abbia svolto un lavoro per cui sei apprezzato all’estero e per cui ti invitano da ogni parte: per i parametri bibliometrici non esisti. Basti dire che chi scrive è bensì passato sotto le forche caudine, ma non si sa per quale miracolo bibliometrico: difatti, sebbene abbia pubblicato in inglese, e presso una casa editrice accademica di prestigio come MIT Press, un libro che è ormai un riferimento nella letteratura concernente la storia della matematizzazione dell’economia, esso semplicemente non esiste, bibliometricamente parlando.
E così una piccola, ma attiva e prestigiosa comunità di studiosi sarà spazzata via assieme alla loro disciplina e agli allievi che ha coltivato in questi anni. Personalmente la cosa non mi tocca e non soltanto perché ho ricevuto il “semaforo verde”, ma perché me ne andrò in pensione anticipata. Ma mi duole profondamente per quel che significa una vicenda come questa. È uno scandalo sufficiente a far intendere quale disastro culturale si stia abbattendo sull’università. Fra l’altro, ci avviamo alla fine di ogni ricerca interdisciplinare. Verrà ridisegnata una nuova struttura di potere accademico-politico dell’università basata sul controllo delle pubblicazioni scientifiche e delle carriere da parte dei gruppi più consistenti mediante “le mediane” opportunamente modulate. Cosa ha a che vedere tutto ciò con il progresso della conoscenza e della scienza?
Nulla, ovviamente. Anzi, siamo al principio della cristallizzazione assoluta, in cui non c’è spazio per l’innovazione, per le ricerche fuori dai quadri. In un sistema conformista come quello che si profila Einstein non avrebbe neppure potuto pubblicare. Difatti, non è per nulla vero che la bibliometria funzioni nel campo delle scienze “dure”. Si accumulano le testimonianze degli effetti demenziali che essa ha anche in questo campo. Ricercatori di scienze “dure” che hanno pubblicato ottimi articoli in un periodico di prestigio come i Rendiconti dell’Accademia dei Lincei sono bastonati perché i Rendiconti sono indicizzati soltanto dal 2008 in poi… Viceversa gente che fa ricerche di infima qualità ha numeri altissimi per il semplice motivo che si autocita o si cita a vicenda. Ma, come si diceva, chi se ne importa. Perché è troppo allettante la prospettiva di fondare sulla statistica scientometrica nuovi assetti di potere ancor più “baronali” delle vecchie “baronie”. Rileggere Il Gattopardo.