Elena Ugolini, sottosegretario uscente all’Istruzione, non si candida. Nondimeno in una lettera pubblicata venerdì scorso sul Corriere della Sera, ha detto quali sono secondo lei i punti di una «agenda comune» della scuola italiana. «Abbiamo a disposizione tutto per avere un sistema educativo di qualità, ma non abbiamo ancora avuto il coraggio di usare le leve più opportune per migliorare questa realtà» scrive Ugolini. Una di queste è la valutazione, che in Europa viene fatta da tempo, mentre per una certa parte della scuola italiana evoca ancora le ombre più cupe. La conferma? È bastato il dibattito (natalizio) suscitato dall’Agenda Monti – nella quale si legge che «occorre completare e rafforzare il nuovo sistema di valutazione centrato su Invalsi e Indire, basato su indici di performance oggettivi» – per lanciare l’allarme. Il resto lo ha fatto la legge di Stabilità varata il 24 dicembre, con le novità riguardanti il fondo di funzionamento, di cui ha dato conto la stampa con l’efficace sintesi “più soldi alle scuole migliori”. E così la valutazione ha cominciato male il 2013, finendo subito sotto il fuoco di fila dei sindacati.
«Appoggio l’Agenda Monti» dice Elena Ugolini a Ilsussidiario.net «perché va nella giusta direzione, che è quella europea. Non bisogna però fare demagogia. Un’Agenda come quella, al pari di ogni programma di governo, va dettagliata, spiegata, integrata. Non è esaustiva, né può dar conto del lavoro fatto, che pure va nella direzione tracciata».
A che cosa si riferisce?
Allo Schema di regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione approvato in prima lettura dal Consiglio dei ministri il 24 agosto 2012. Quel Regolamento ha avuto il parere favorevole della Conferenza Unificata e del Cnpi e ora è stato esaminato nella seduta del 20 dicembre del Consiglio di Stato, di cui è atteso il pronunciamento a giorni. Esso disegna un sistema complesso, in cui la valutazione non è lo scopo, ma uno strumento finalizzato a un obiettivo preciso: migliorare ogni singola scuola, per dare al più grande numero di studenti, la possibilità di crescere da tutti i punti di vista.
Qual è la filosofia di fondo?
La possibilità per ogni singola scuola di poter migliorare da subito, riflettendo sui propri punti di debolezza e di forza, sulla base di benchmark esterni, in grado di fornire alle scuole elementi per rendersi conto meglio dell’efficacia del proprio lavoro. Lo scopo è di mettere a frutto tutto il potenziale che c’è in ogni singola scuola: al centro ci sono in primis i dirigenti e i docenti – non altri – i quali hanno il compito di pensare come migliorare i risultati.
All’articolo 6 si parla di quattro azioni: autovalutazione, valutazione esterna, azioni di miglioramento, rendicontazione sociale. Prendiamo la prima.
L’autovalutazione non può essere la semplice «narrazione» che una scuola produce di se stessa. Il rapporto di autovalutazione, che le scuole sono tenute a pubblicare, è costruito su un quadro di riferimento, secondo indicatori forniti a livello nazionale, che prenderanno in considerazione indicatori diversi: ad esempio il tasso di assenze di docenti e studenti, turnover, numero delle ore di recupero, esiti scolastici, inserimento nel mondo del lavoro per gli istituti professionali, e altro ancora.
Dunque l’autovalutazione ha già un quadro di riferimento esterno.
Sì, perché senza un quadro di riferimento comune e senza benchmark nazionali un paragone non è possibile. Aggiungo, anche per dissipare le polemiche più recenti, che fare un rapporto di autovalutazione solo sui dati delle rilevazioni Invalsi di italiano e matematica sarebbe assolutamente fuorviante. Sono indicazioni preziose, che vanno lette con attenzione, dentro un quadro più ampio che tiene in considerazione altri elementi che richiedono il contributo dei singoli istituti, anche perché rilevano le grandi differenze esistenti all’interno di scuole dello stesso ordine (ad esempio primarie) e dello stesso territorio. Sono dati che hanno fatto emergere diversità di risultati anche del 50% tra scuole primarie della stessa zona.
E la valutazione esterna?
L’idea di base che presiede alla valutazione esterna è che per valutare realisticamente una realtà complessa come una scuola, occorre vederla dal vivo. La carta, anche in formato elettronico, non basta. Rispetto alla legge 10/2011, che fa da base al nuovo Regolamento, ora c’è un passo in avanti importante, perché i nuclei di valutazione sono coordinati da ispettori, ma al loro interno ci sono esperti, che potranno essere selezionati in un albo, per le loro competenze acquisite sul campo: non solo nell’ambito della scuola e della pubblica amministrazione, ma anche con competenze in diversi settori, proprio per rispecchiare in sede di valutazione l’estrema varietà di problemi che una scuola si trova ad affrontare, da quelli economici a quelli prettamente educativi.
Ma siamo sicuri che tutte queste azioni non interferiscano né con l’autonomia, né con la libertà di insegnamento dei docenti?
L’autonomia senza valutazione si traduce inesorabilmente in autoreferenzialità. Io sono la più grande fautrice dell’autonomia, ma l’autonomia deve avere degli obiettivi. Funzionali ad uno scopo: la costruzione di una scuola di qualità. Ed è chiaro che, per questo motivo, gli obiettivi sono profondamente diversi a seconda che si parli di un liceo classico nel centro di Venezia o di Napoli, oppure di un istituto professionale a Tor Bella Monaca. Non c’è una ricetta per tutti ed un unico metro di giudizio. Ogni scuola dovrebbe pensare a come migliorare e ogni dirigente responsabile dovrebbe essere capace di guidare un percorso di miglioramento.
C’è la rendicontazione finale. Non è una parola dal sapore un po’ aziendalistico?
La rendicontazione non è nient’altro che il resoconto del lavoro svolto, in modo trasparente e, come dice il Regolamento, «comparabile». Non esistono al mondo delle istituzioni a cui vengono date delle risorse della collettività, senza che ne debbano rendere conto. D’altra parte, chiedere a ogni singola scuola di pensare ad un piano di miglioramento, vuol dire domandarle di essere in gara con se stessa, non con quella a fianco. In ciò, come si vede, non c’è nessun aziendalismo.
Ma rendere conto a chi?
Alle famiglie, agli stessi studenti, al territorio in cui vivono, ma anche ai contribuenti. Chi ha paura della valutazione ha paura della libertà. Capisco la preoccupazione di fondo di tante obiezioni, cui ho cercato di rispondere nella mia lettera al Corriere. Lo scopo della scuola non può essere arbitrariamente deciso da nessuno. La scuola è un bene di tutti e ha uno scopo: la crescita umana, culturale e professionale dei giovani.
Anziché spingersi a valutare le singole scuole, perché non fare una valutazione «di sistema»?
Perché non basta. Dobbiamo essere preoccupati che tutti i giovani abbiano delle buone scuole, ma ogni studente non è «il sistema», è se stesso e basta. E quindi dobbiamo mettere tutte le scuole nella condizione di lavorare al meglio possibile. Ecco perché ogni scuola deve avere strumenti efficaci per mettersi alla prova. Certo, e su questo sono d’accordo, deve esistere un quadro di riferimento talmente ampio, da non scalfire la libertà di iniziativa.
Torniamo al miglioramento. Chi stabilisce qual è la ricetta? Il Miur? L’Invalsi?
No, le scuole. Il piano di miglioramento viene predisposto dal nucleo di valutazione esterna, ma solo là dove la singola scuola non è in grado di farlo. La novità di questo Regolamento è che le azioni di miglioramento sono tutte in capo alla singola scuola, che può decidere di farsi aiutare non più soltanto dall’Indire, come indicato nella precedente legge, ma anche «attraverso la collaborazione con università, enti di ricerca, associazioni professionali e culturali». Aggiungerei anche: altre scuole.
Intanto il progetto Vales è in corso di sperimentazione. Cosa può dirci in proposito?
Il progetto Vales coinvolge attualmente 300 scuole. Nasce per mettere a punto strumenti, protocolli, profili professionali necessari a realizzare quanto indicato nell’articolo 6 del Regolamento. Sta andando avanti bene. In più, sono in corso attività di formazione destinata agli 800 dirigenti scolastici di nuova nomina entrati in ruolo il 1° settembre 2012 (selezionati sulla base del concorso indetto dal ministro Gelmini, ndr). Saranno i primi a fare un piano di autovalutazione della loro scuola e a predisporre un piano di miglioramento: come tali sono, diciamo, la «frontiera» del nuovo Regolamento.
Il nuovo Snv ha conseguenze in termini di merito e di retribuzione per i dirigenti scolastici?
Sì, perché il rapporto di autovalutazione, la valutazione esterna e il piano di miglioramento saranno gli strumenti con cui il direttore dell’Ufficio scolastico regionale potrà costruire un contratto ad hoc ad ogni dirigente scolastico e valutarlo, come peraltro previsto dal contratto. Ad oggi, l’unico contratto che prevede un meccanismo premiale è quello da dirigente, ma dal 2001 i premi sono stati dati a tutti indistintamente per il semplice motivo che nessun dirigente è mai stato valutato e nessun direttore di Usr aveva elementi riferiti alle scuole assegnate. In passato si è pensato di premiare gli insegnanti, ma questo non è evidentemente possibile, se lo stato giuridico e il contratto dei docenti conservano il profilo attuale. Si deve invece cominciare dai presidi, figure-chiave in grado di fare la differenza. Un bravo dirigente è la fortuna della sua scuola, uno poco capace, invece, può essere in grado di affossarla.
(Federico Ferraù)