Ieri sera c’è stato l’atteso incontro tra il premier Mario Monti e il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera. I due hanno parlato di redditometro, che tante polemiche ha sollevato nei giorni scorsi. “Si è trattato di uno dei periodici incontri per fare il punto sull’evasione fiscale e sull’andamento delle entrate”, dice il comunicato. Redditometro al via nel marzo 2013, dunque, sulla base delle dichiarazioni dal 2010 (redditi 2009) in poi. Lo strumento verificherà lo scostamento tra reddito dichiarato dal contribuente e capacità di spesa.
Rimangono, nella lista delle nelle voci di spesa che costituiscono la base imponibile, le rette scolastiche. “La scuola deve tornare ad essere considerata un investimento, non solo un costo o, addirittura, una voce del redditometro. In un paese civile si dovrebbero poter dedurre le spese per l’educazione dei figli”. Così il sottosegretario all’Istruzione Elena Ugolini in una lettera al Corriere della Sera di pochi giorni fa. Appunto, un paese civile. Come i tanti, europei e non, nei quali la libertà di scelta educativa è sostenuta dallo Stato, attraverso contribuzioni dirette o indirette alle famiglie o alle scuole non statali.
Ma siamo un paese civile? Da noi tutto sembra funzionare a rovescio: della scuola in generale non interessa a nessuno – se andiamo al di là di eventuali proclami elettorali -, della famiglia ancor meno, e la scuola paritaria in particolare rappresenta la sintesi del disinteresse nazionale verso l’educazione.
Così, già stretta all’angolo dalla cronica e crescente esiguità dei contributi statali, non solo si decide di costringerla a pagare l’Imu nonostante le scuole statali e comunali nulla debbano (alla faccia della Legge di parità scolastica), ma si inserisce anche la voce “istruzione privata” fra gli indicatori di ricchezza presenti nel redditometro.
Per quanto concerne l’Imu, sappiamo che tanti istituti hanno deciso di non pagare perché non hanno i soldi. Si parla di cifre tra 15mila e 40mila euro all’anno, le scuole non possono permetterselo e qualcuno ha spiegato che doveva decidere tra pagare tredicesime e stipendi oppure la tassa. Si vedrà come andrà a finire, sono in atto proteste di varia natura e persino ricorsi al Tar, ma temiamo il peggio.
Sul redditometro, invece, il problema sta a monte, cioè nel fatto che le scuole non statali implicano il pagamento di una retta e questa incide più o meno pesantemente sul tenore di vita della famiglia. Per quelle davvero benestanti probabilmente incide poco o nulla, pertanto non può rappresentare un indicatore significativo di ricchezza.
Per tante altre famiglie, invece (la stragrande maggioranza) pagare una retta di scuola paritaria significa rinunciare ad altri beni, e dunque deprimere altri consumi. Teniamo presente che stiamo parlando della famosa “classe media”, quella che normalmente vive di stipendio fisso, paga tutte le tasse ed è disposta a fare sacrifici per consentire ai figli un futuro migliore. Quali evasori potrà mai scovare, l’Agenzia delle Entrate, in questo bacino di contribuenti? E per quali cifre?
Ci sono poi tanti casi, purtroppo, in cui nonostante tutti gli sforzi e le borse di studio messe a disposizione dagli enti gestori, le famiglie non hanno le risorse per sostenere lo sforzo e l’unica alternativa possibile è la scuola statale. Se le scuole paritarie fossero paritarie fino in fondo, questo non dovrebbe accadere e tutti, davvero tutti, dovrebbero potervi accedere senza difficoltà. Contestualmente, non ci sarebbe un costo della retta da prendere in considerazione ai fini del tenore di vita della famiglia.
Insomma, alla fine l’aver inserito la voce “istruzione privata” fra gli indicatori di ricchezza del nuovo redditometro per individuare qualche potenziale evasore e recuperare fondi per lo Stato, si risolverà probabilmente nel doverne spendere molti di più per pagare il costo degli allievi delle famiglie che, spaventate dal redditometro stesso e dal rischio di possibili (e sempre fastidiosi!) accertamenti, non iscriveranno più i loro figli nelle scuole non statali. Non dimentichiamo che lo Stato risparmia oltre 6 miliardi di euro l’anno grazie alle paritarie, e che un alunno di scuola primaria statale costa allo Stato oltre 7mila euro, a fronte degli 800 di un alunno di scuola paritaria!
Sorge ancora una volta il sospetto che a monte di questa operazione vi sia, anziché la lotta all’evasione, solo l’antico – e ormai tutto italiano, almeno in Europa − “vizio” ideologico della lotta di classe e del conseguente sospetto verso tutto ciò che non è statale. Si chiama(va) comunismo, ma non si può dire.