Caro direttore,
le scuole italiane si sono attrezzate per celebrare la Giornata della Memoria, spesso coadiuvate dalle amministrazioni comunali, e lo hanno fatto in modo positivo, con una apertura alle diverse tematiche che la questione implica, anche superando la visione che ha dominato in questi anni e che ha visto nella Shoah l’orizzonte di questo gesto di memoria.



Bisogna riconoscere che in questi anni sono stati fatti notevoli passi in avanti nella capacità di una memoria sempre più legata alla realtà. Quella che una volta era il gesto di una nicchia, una minoranza che non trovava nemmeno tanta credibilità oggi è una pratica diffusa, tanto da generare una situazione opposta: una sorta di stanchezza della memoria perché si soffre della sua meccanicità, col risultato che si ha a che fare con un atto dovuto che fatica a prendere la ragione. Per questo siamo ad una svolta nella memoria: tutte le strade sono state percorse e ripercorrerle sarebbe inefficace, come vedere uno spettacolo di cui si conosce già la conclusione.



La memoria ha fatto quanto era dovuto e si presenta alle giovani generazioni con il suo carico di negatività e di positività, e oggi conosciamo l’efferatezza del male, come conosciamo le finestre di bene che si sono aperte dentro i sistemi di sterminio che il nazismo ha costruito con tanto orrore. Mi sono trovato con questo carico di memoria a dover affrontare questo nuovo appuntamento, e ho sentito urgere una esigenza di cambiamento perché tutto mi sembrava già saputo: ci voleva una scossa per portare dentro la scuola qualcosa di nuovo.

Me ne sono accorto quando sono scattati i meccanismi della celebrazione, un film, un’opera teatrale, e qualche riflessione con un po’ di valori, così che siamo tutti attenti a impedire che simili tragedie si ripetano. Un lavoro sulla memoria viene sentito astratto, è evidente che si debba fare memoria, è evidente che si debba alzare un muro di fronte a tanti crimini, ma bastano un film e un paio di riflessioni?



Così, dopo anni in cui ho lottato per fare memoria, mi sono sentito ingabbiato nella sua rete, paralizzato da un veleno mortale, quello che irrigidisce la ragione. Ho cercato allora di tenere viva la domanda, capire perché fare oggi un lavoro sulla memoria, che cosa cercare oggi; e mi sono lanciato in questa sfida pur nella solitudine.

E’ in questa terra di mezzo che ho trovato un punto interessante, un punto da cui ripartire. Me l’ha offerto Sophie Scholl. Aver partecipato con la classe quinta ad una rappresentazione teatrale della Compagnia del Teatro di Bolzano è stato decisivo: nel confronto tra la giovane Sophie e l’ispettore Mohr è esplosa la questione della memoria. Cioè che l’uomo deve decidere se stare ad un meccanismo, e quindi sopravvivere, oppure se vivere! E’ una decisione che porta a scegliere se vivere o sopravvivere (e Sophie Scholl avrebbe potuto aver salva la vita!), una decisione che ha come origine la coscienza, che dipende tutta dalla coscienza.

Per questo la Giornata della memoria è la giornata della coscienza: e la coscienza di Sophie Scholl sceglie la vita e non la sopravvivenza, perché è rapporto con il Signore della vita, come lei stessa testimonia rivolgendosi al crocifisso: «Io Ti supplico dal profondo del mio cuore, e mi rivolgo a Te, mi rivolgo a Te che sei uno solo… In Te soltanto trovo la mia salvezza. Non abbandonarmi, non abbandonarmi, ti prego, mio buon Dio, mio glorioso Padre. Amen».

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