Già in articulo mortis della legislatura, il ministero, inteso come apparato ministeriale, ha prodotto un ultimo sforzo agonico: una Bozza di “Schema di Decreto del Ministro dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca recante Regolamento concernente il reclutamento degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado, a norma dell’articolo 2, comma 416, della Legge 24 dicembre 2007, n. 244”. È stata inviata al Consiglio nazionale della Pubblica istruzione (Cnpi), competente per il parere. Solo che, nel frattempo, la Legge di stabilità ha indotto il coma artificiale del destinatario, facendogli mancare l’ossigeno dei finanziamenti per il funzionamento, senza tuttavia avocare le competenze. Tuttavia, scripta manent. Si tratta di una bozza, in fondo alla quale sta, sotto la parola Roma, una serie di puntini-lineetta, in attesa della data, e sotto la parola “Ministro” la serie dei puntini-lineetta in attesa della firma del ministro, attuale o prossimo venturo. 



Il Decreto è ancorato alla sterminata Legge finanziaria-omnibus, approvata alla fine del 2007, a valere sul 2008, anno della caduta del Governo Prodi II. I commi dal n. 411 al n. 428 spaziavano nel campo dell’istruzione; il n. 416, in particolare, riguardava il reclutamento dei docenti. Su questo tema, dal 2008 ad oggi, molte parole e molti eventi sono entrati nella corrente del “panta rei”: un lungo e, alla fine, inconcludente dibattito culturale, politico e parlamentare sulle autonomie scolastiche e sulla governance delle scuole, a partire dal ddl 953, a firma dell’on. Valentina Aprea, che riprendeva e rinominava il ddl 2292 del 22 febbraio 2007; il Regolamento per la formazione iniziale dei docenti; il Concorso per dirigenti, non ancora terminato e funestato da ricorsi e sospensioni, che rimbalzano tra Tar e Consiglio di Stato; il Concorso per il Tfa tuttora in itinere. 



Tutti questi eventi sono stati accompagnati da articoli e dibattiti sui giornali e sulle riviste specializzate, da commenti e dichiarazioni a caldo, da interviste del ministro, dei sottosegretari e, persino, di figure apicali dell’apparato – anche su questo giornale – che promettevano non soltanto una ripresa periodica del reclutamento, ma, soprattutto, una revisione radicale delle procedure, sia per la loro macchinosità e inefficienza – che ha causato una valanga di ricorsi e controricorsi, elevando impropriamente i Tar a piccoli ministeri dell’istruzione – sia per la loro inefficacia rispetto alla scopo – quello di reclutare docenti competenti – sia per la necessità di tener conto delle leggi e dei Decreti relativi alle autonomie scolastiche e del Nuovo Titolo V, universalmente esaltati come la nuova frontiera. 



La bozza che abbiamo letto, viceversa, fa un clamoroso salto all’indietro o, per essere più precisi, non modifica essenzialmente le procedure in vigore dal 1859, mutuate dal modello accademico. Vediamo. “I concorsi per titoli ed esami, ai fini del reclutamento nei ruoli del personale docente ed educativo, hanno cadenza biennale e si espletano in ambito regionale”. Sempre stato così; una volta l’ambito era provinciale. Il Titolo V è fuori da questo orizzonte; la dimensione regionale è semplicemente strumentale rispetto ad esigenze organizzative. Non basterebbe, infatti, lo stadio di Roma per contenere, ad es., gli aspiranti concorsisti al Tfa. Perciò si decentra su 20 stadi… regionali! 

“Essi sono indetti in base alla previsione della disponibilità, nella regione e nel biennio di riferimento, di posti comuni e di sostegno nella scuola dell’infanzia e primaria, di posti di personale educativo nelle istituzioni educative statali e di posti nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado nelle relative classi di concorso, ivi compresi i posti di sostegno”. Regola di buon senso, non rispettata tuttavia per il concorso sul Tfa: il raggio di estensione della partecipazione al concorso è definito dall’offerta, non dalla domanda, così da evitare l’accumulo di precariato “avente diritto” e pertanto la formazione di graduatorie permanenti “informali”. Con un’esagerazione, non si sa quanto costituzionalmente incontestabile: “Il mancato superamento di una procedura concorsuale non consente la partecipazione a quella indetta nel biennio successivo per lo stesso posto o classe di concorso”. Ciò detto, l’intera procedura è quella classica: gli scritti, gli orali, i titoli. Il soggetto reclutante? Il ministero, via uffici scolastici regionali. Tuttavia, poiché il numero di aspiranti potrebbe essere comunque altissimo – come si è visto per la partecipazione al Tfa: più di 300mila aspiranti per circa 11mila posti – si prevedono prove di pre-selezione “volte all’accertamento delle capacità logiche, di comprensione del testo, delle competenze digitali nonché delle competenze linguistiche in una delle lingue comunitarie”.  

Eppure, le esperienze europee e americane di selezione del personale prevedono e praticano altro. In primo luogo, un’esplicitazione delle tavole delle competenze-chiave professionali degli insegnanti. Per quanto formulate in pentaloghi o decaloghi, queste tavole distinguono tra le conoscenze, le capacità relazionali di tipo pedagogico e professionale/istituzionale, le esperienze. Quanto alla conoscenza delle discipline da insegnare e dei fondamentali della psico-pedagogia, il loro possesso è/deve essere certificato dall’università, che ha conferito la laurea abilitante; perciò non è più necessaria un’altra prova scritta e orale successiva. Chi per età è stato costretto alla trafila dell’antico reclutamento, si è trovato assurdamente a fare lo “stesso” scritto e lo “stesso” orale all’università, all’abilitazione, al passaggio in ruolo. Una volta che hai superato lo scritto/orale, nessuno può già dire se sei un insegnante. Perché nessun esame scritto e orale è in grado di proclamarti tale. Serve l’indagine sulla pratica di insegnamento. 

Ora, il nuovo Regolamento per la formazione iniziale, benché assegni alla dimensione conoscitivo-disciplinare, sub specie accademica, un primato rilevante – ma allora la frequenza di 5 anni di università a cosa serve? −, concede uno spazio di 475 ore al tirocinio pratico. È qui che si vede se uno ha la vocazione o no. Per accertare la quale non ci sono prove scritte/orali che tengano: occorre colloquiare con l’aspirante e con la scuola presso il cui l’aspirante docente ha fatto il Tfa. Certo, in vista di questo tipo di colloquio, bisognerebbe che l’aspirante fosse stato osservato attivamente. È previsto un tutor. In Svizzera il tutor, ma anche videocamere. Ma la questione dirimente è: chi recluta chi? È il sistema nazionale di istruzione o è quella scuola particolare, che insiste in un territorio particolare (centro o periferia, campagna o montagna, area in sviluppo o zona “depressa”…)? Perciò qual è il Pof in nome della cui attuazione si recluta? 

Questa domanda, cui il ddl 953 originario rispondeva affidando a reti di scuole l’indizione di concorsi a cattedra, è stata cancellata dalla formulazione finale del ddl 953, poi comunque definitivamente affondato dal Pd al Senato. Perciò, coerentemente e senza colpe proprie, la bozza qui esaminata non la prevede neppure. Così, la latitanza della ragione politica rigenera sempre di nuovo i mostri burocratici del centralismo inefficiente e inefficace. Il risultato certo è che selezioneremo persone perfettamente a conoscenza di ciò che devono insegnare, ma le cui capacità di insegnare, di educare, di collaborare con i colleghi, di parlare con i genitori e con l’intera comunità circostante continueranno a risiedere nel noumeno. Le sperimenteranno i ragazzi – ma anche i docenti − sulla propria pelle. 

Del resto, è ciò che è accaduto finora a tutte le generazioni di insegnanti fin qui succedutesi. E, infatti, i risultati sono lì da vedere. Si dirà: niente paura! È solo una bozza, destinata al cestino. Ahinoi, no! Perché i prodotti dell’apparato ministeriale, in cui si deposita una sapienza amministrativa ormai secolare, fanno i loro percorsi carsici e appena possono riemergono nella corrente del fiume, pronti ad approdare sulla scrivania del prossimo ignaro, Dio non voglia!, ministro dell’Istruzione. In ogni caso, già si fissano le date: il primo concorso è indetto dalla Bozza entro il 31 dicembre 2013 sui posti disponibili per il biennio 2015/2016 – 2016/2017. Il secondo concorso è indetto entro il 31 dicembre 2016 sui posti disponibili per il biennio 2017/2018 – 2018/2019. Saremmo già oltre la prossima legislatura, nell’ipotesi che durasse cinque anni.

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