Caro direttore,
dopo un’assenza di quattro anni di qualsiasi canale abilitante all’insegnamento a causa della travagliata genesi del Tfa (tirocinio formativo attivo, DM 249/2010), alle soglie di queste feste natalizie si sono finalmente ultimate le selezioni per il Tfa ordinario, percorso lungo e arduo che ha portato ad avere, alla fine delle prove orali, un numero di ammessi considerevolmente inferiore ai posti dichiarati disponibili, manifestando una severità per alcuni versi inedita. Poco tempo prima dell’inizio delle selezioni, tuttavia, il Miur aveva annunciato di voler intraprendere l’iter di modifica del DM 249/2010 per l’istituzione di un Tfa speciale a numero aperto per i docenti con servizio. 



Decisione inaspettata, visto che il Tfa ordinario aveva già concesso il riconoscimento di un punteggio illimitato in ingresso per  i possessori di almeno 360 giorni di supplenza, che avrebbero così potuto, previo superamento delle tre prove, balzare davanti ai candidati privi di tale requisito. Molti di questi docenti si sono comunque sottoposti alla selezione e l’hanno superata con successo, molti altri non l’hanno superata (spesso reduci anche degli insuccessi per l’ingresso nelle ex Ssis), ma attendono fiduciosi di poter usufruire della sanatoria annunciata. Alla fine, tutti i futuri abilitati, sia i vincitori del Tfa ordinario che quelli ope legis, potranno partecipare ai futuri concorsi e saranno inseriti nella stessa graduatoria per le supplenze in virtù del proprio punteggio, sia di abilitazione che di servizio.



La decisione di attivare i Tfa speciali è venuta dopo stringenti pressioni da parte dei sindacati e di alcune associazioni di docenti che si sono dapprima opposte all’emanazione del DM 249/2010 e che sostengono che il loro “saper fare”, ossia la loro esperienza professionale, sia già di per sé garanzia del “sapere”, cioè delle conoscenze professionali, che pertanto non necessiterebbero di alcuna verifica. Ma si tratta davvero di saper fare? Piuttosto di un diritto acquisito, a loro dire, dall’aver lavorato, dall’essere in una graduatoria a cui si può accedere col solo titolo di studio e da cui i presidi, per coprire cattedre vacanti o maternità/malattie, hanno attinto il loro nome in assenza di docenti abilitati. Liste basate esclusivamente su criteri anagrafici di anzianità di servizio e sulla casualità di nomina derivante dalla scelta di sole 20 scuole in cui inserirsi. Queste supplenze, dunque, non vengono attribuite in base al merito o alle capacità e permettono di maturare punteggio e stipendio indipendentemente dalla qualità del lavoro svolto. Ecco perché, per conseguire l’abilitazione all’insegnamento, ossia la certificazione che chi entra in classe possiede tutti i requisiti necessari, occorre una selezione. Tutti i professionisti, prima o poi, ci devono passare e chi non ci riesce non può esercitare a pieno titolo la professione.



Invece la scuola no, è un mondo a parte, in cui la forza demagogica della politica, dei sindacati e  dei propugnatori dell’ope legis ha concesso a migliaia di docenti, nel corso degli ultimi decenni, il privilegio di entrare in ruolo nella scuola pubblica senza aver mai superato una selezione in vita loro, grazie a percorsi abilitanti riservati. Tutto ciò con buona pace di chi, negli stessi anni, ha vinto concorsi e conseguito l’abilitazione attraverso regolari selezioni.

Quest’anno la storia si ripropone. Nonostante la recente sospensione del parere del Consiglio di Stato, chiamato a concedere il nulla osta alla modifica del DM 249/2010, il quale sottolinea la difficile conciliazione dei docenti di ruolo in esubero con il previsto folto numero di abilitati tramite i corsi riservati; nonostante la recente caduta del governo, la principale preoccupazione del Miur e delle commissioni parlamentari sembra essere quella di approvare i Tfa speciali, provvedimento di natura essenzialmente politica, anche a camere sciolte. Alla luce di tutto ciò, l’illuso aspirante docente che crede ancora che la scuola sia il naturale albergo del merito, stordito tra il confuso rimbombo del “largo ai giovani” e del “mettiti in fila”, capirà che per diventare un docente a pieno titolo, in Italia, non contano né il sapere, né il saper fare. Gli basterà fare una lucida autoanalisi e scoprire a quale delle quattro seguenti categorie appartiene:

1. se è un docente con almeno tre anni di servizio, non ha voglia di sottoporsi alle selezioni o magari non le ha mai superate, non avrà nulla di che preoccuparsi: potrà comunque abilitarsi, scavalcare chi ha vinto il Tfa ordinario e avere la sicurezza di continuare a lavorare. Non solo: potrà avere anche un bell’avanzamento di carriera, perché gli basterà aver lavorato anche poche ore a settimana nelle elementari, sul sostegno o in una scuola paritaria per vedersi promosso ad insegnante di latino o chimica alle superiori.

2. Se invece possiede quell’anzianità di servizio ma si è comunque sottoposto alle selezioni superandole, forse continuerà a lavorare, ma dovrà vedersela con la foltissima schiera dei suoi pari che hanno aspettato il condono. La sua scelta legittima di dimostrare la sua preparazione non lo avvantaggerà, ma sarà valutato allo stesso modo del collega che è stato bocciato a tutte le selezioni.

3. Se sfortunatamente non possiede tale anzianità (perché si è laureato negli ultimi 4 anni, cioè quelli del vuoto normativo sulle abilitazioni e dei tagli che hanno impedito agli ultimi arrivati di maturare un congruo punteggio, o semplicemente perché ha scelto di inserirsi nella graduatoria della provincia “sbagliata”), allora dovrà necessariamente rientrare nel numero chiuso del Tfa ordinario e dopo un anno di tirocinio gratuito, esami e tesi finale (per la modica somma di 2.500-3.000 euro circa più spese), molto probabilmente i sacrifici per conseguire l’abilitazione saranno vani, poiché si ritroverà davanti in graduatoria un numero di docenti di gran lunga superiore al fabbisogno previsto.

4. Se invece si tratta di un neolaureato, o se lo sarà nei prossimi dieci anni, allora farà bene a cambiare strada: anche lui, ovviamente, dovrà rientrare nel numero chiuso, ma una volta inserito in graduatoria, senza alcun servizio, non avrà alcuna possibilità di lavorare, poiché gli  aventi diritto al Tfa speciale sono circa 100mila e molti di loro vantano un decennio di punteggio, senza contare che si vocifera di un ulteriore ampliamento della platea a coloro che hanno solo 360 giorni di supplenze.

Lungi dal ritenere che chiunque non abbia svolto o superato un test sia un cattivo docente, appaiono tuttavia chiari l’abuso del concetto di “diritto acquisito” e l’assoluta illogicità della contemporanea presenza di due percorsi per il conseguimento della stessa qualifica, uno a numero programmato e fortemente selettivo, l’altro assolutamente permissivo e incontrollabile, con uno scandaloso favoritismo di una categoria a scapito di un’altra. 

 

Ciò è giustificato dal Miur dal dovere di applicazione della direttiva europea 2005/36 CE (recepita in Italia con il d.lgs. 9/11/2007 n. 206). In base a questa bizzarra interpretazione, sventolata come vessillo dai sostenitori degli ope legis e, guarda caso, pienamente accolta dal Ministero (cfr. www.istruzione.it/web/ministero/focus_080512), lo Stato Italiano, che di fatto possiede già una regolamentazione in materia di abilitazione all’insegnamento, sarebbe obbligato dall’Europa a legiferare in favore di alcuni soggetti in modo tale che essi possano, in virtù dell’ esperienza lavorativa svolta nello stesso Stato, eludere quella regolamentazione.

Naturalmente la situazione sopra descritta è molto più complessa e varia a seconda della provincia e della classe di concorso, ma è chiara la strategia di fondo di un simile provvedimento: affossare il merito, svalutare la professionalità del docente, favorire il radicamento di una già purtroppo diffusa concezione di tale lavoro non in senso qualitativo, bensì quantitativo, come accumulo di punteggio finalizzato al raggiungimento di una qualifica “facile”. Inoltre, esso costituisce un incentivo allo sfruttamento dei docenti da parte di quelle scuole paritarie (troppe) che illegalmente offrono un lavoro non retribuito.

Siamo ragazzi laureati con l’obiettivo di fare gli insegnanti, abilitandi tramite il tirocinio formativo attivo e abilitati tramite le ex Ssis; tra noi vi sono anche molti docenti esperti in servizio da anni.

La politica non si è ancora resa conto che rappresentiamo una grossa fetta di opinione pubblica, fatta di docenti, studenti, famiglie, e di persone che contano sulla sola forza del proprio impegno per farsi strada.  Le nostre istanze sono portate avanti anche da importanti realtà come l’Associazione Docenti Italiani, che da tempo si batte per un reclutamento rigoroso e selettivo, contro la prassi tutta italiana delle deroghe e delle sanatorie (http://www.adiscuola.it/adiw_brevi/?p=9522).

Vogliamo venga fatta luce su quest’ ennesima prova di irresponsabilità da parte delle istituzioni, incapaci di conciliare il diritto al lavoro di tutti con i principi del merito ed della selezione, come invece avviene negli  altri Paesi europei.

Gruppo Facebook “No al Tfa speciale per i 360 giorni”  
Gruppo Facebook “Riconoscimento diritti- studenti Tfa ordinario”

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