Eravamo alla fine del ’900. Avevo ripreso da poco ad insegnare, faticavo a trovare una logica nei bizantinismi della scuola. Non era la cosa in sé che mi turbava, anche in azienda si fanno tante scartoffie, quanto lo scarso se non inesistente rapporto costi/benefici, la mancanza di una correlazione tra la carta sprecata ed i risultati ottenuti.



Una delle cose più inspiegabili era il “pagellino intermedio”, curiosa invenzione grazie alla quale la frenesia di verifiche e contabilizzazioni, già ridotta del 33 per cento col passaggio da trimestre a quadrimestre dando più respiro alla didattica, viene riaumentata del 100 con l’inserimento di due “giorni del giudizio” interquadrimestrali. 



Come spesso capita, un bel giorno gli studenti della mia scuola ritennero di entrare in autogestione; come spesso capita, prima era venuta la decisione della cosa, poi ci si era messi a cercare qualche motivo plausibile per giustificarla. Tra questi, uno l’avevo decisamente appoggiato: l’abolizione del pagellino e delle conseguenti tornate di massacranti verifiche. Sua sostituzione con un libretto dei voti che l’insegnante dovesse aggiornare in tempo reale e i genitori controfirmare, così da garantire che per gli aspetti “contabili” della faccenda ci fosse totale trasparenza, e che le famiglie potessero dialogare con la scuola su aspetti più sostanziali. Proposta accettata, pagellino abolito, protesta finita. Wow. 



Poi, però, passando negli anni tra altre scuole, ho visto il moloch burocratico rendere copresenti sia il pagellino, sia il periodo trimestrale, sia il libretto dei voti, sia i moduli di comunicazione e di convocazione delle famiglie… e qualcuno dice che lo scopo primario della macchina scolastica è diventato quello di produrre verbali a prova di Tar e di tenere occupato il personale in sovrannumero in un perenne facite ammuìna. Rubando sempre più alla didattica sia il tempo, sia soprattutto l’attenzione di chi vorrebbe una scuola dignitosa, positiva, vitale.

Ho sempre sognato un registro on-line, che faccia risparmiare gli esercizi calligrafici di appelli e giustifiche, dei voti/mezzivoti/quasivoti, che metta i genitori (me compreso) in grado di sapere in tempo reale se i nostri figli sono a scuola o no, se gli insegnanti li valutano un numero adeguato di volte e con che risultati. Così che scuola, famiglie e studenti si scarichino le testa dalle scartoffie e si concentrino su ciò che davvero importa. Ok, c’è qualche difficoltà nel costruire le piattaforme hardware e software (e nel cambiare le abitudini di chi è rimasto alla penna d’oca), ma persino il più remoto ufficio postale deve gestire ogni giorno una quantità ben superiore di dati con massimi standard di affidabilità.  

Tra i non troppi atti pienamente condivisibili del governo uscente c’è stata proprio l’obbligatorietà della dematerializzazione ed il passaggio ai registri elettronici. Magari si sono dimenticati di fornire alle scuole dettagli come i soldi, le strutture, gli standard dei protocolli sw e altre cosette, ma finalmente qualcosa di positivo.

Ora, leggo su Repubblica dell’altro ieri un articolo di Mariapia Veladiano, che si strappa le vesti di fronte agli aspetti disumanizzanti di tutta questa tecnologia. Uno dei temi forti è quello delle assenze o dei ritardi, che diventerebbero un dramma se comunicati in tempo reale ai genitori. “Una tecnologia che sostituisce la relazione con la connessione… un vuoto di parole dette, di fiducia conquistata… un terreno di ambigua trasparenza… una fondamentale vita di relazione che si perde”. Per arrivare a “sarebbe indecente bocciare un ragazzo attraverso una comunicazione via web”. 

Ma scusi, di cosa stiamo parlando? stiamo ancora una volta scambiando il mezzo (e la nostra in/capacità di usarlo) con il fine (e la nostra in/adeguatezza a perseguirlo)? 

E poi, in che contesto viviamo? Sono anni che le scuole sono impegnate a chiamare i telefonini dei genitori di chi fa assenze o ritardi frequenti o sospetti, con tempi e costi spropositati. Non è ormai vincolante far precedere la pubblicazione del tabellone (cartaceo e in pdf) da altre telefonate, fatte da qualcuno della segreteria, con toni e modi spesso trasandati per la calura estiva e la fretta, accompagnate magari dal fastidio di dover andare a ritirare una raccomandata? O forse il web è più freddo e crudele della teleselezione, dei francobolli e dei tabelloni stessi?

È vero, come dice l’autrice, che “più avanza il possibile della tecnologia, più bisogna custodire la materialità delle relazioni”. Ma il rapporto umano, il dialogo fatto di parole e di sguardi, di presenze ed assenze, non può che diventare più ricco nel momento in cui gli aspetti meramente formali, da fureria, passano in secondo piano. 

Nessun registro elettronico sostituirà mai la discussione di una correzione, un dialogo in corridoio a tu per tu, lo scambio di sguardi che accompagna un voto bello o brutto. E men che meno l’incontro con un genitore: a volte arrogante ma altre con le lacrime agli occhi. Ma chi mai pretende che debba succedere? Anzi, tutto funziona meglio se “noi” e “loro” abbiamo più tempo per la sostanza e meno cartellini da timbrare.

Il software calcola automaticamente la media: già, e dov’è il problema? Non ho mai letto da nessuna parte che il voto debba essere la media aritmetica di quelli assegnati. Guai se lo fosse. Sono io, con coscienza e professionalità, che decido che voto devo proporre, in modo che poi il consiglio di classe lo deliberi, come vuole la norma e non certo da oggi. Un valore medio mi aiuta, e non vedo perché disprezzare il software che me lo aggiorna in tempo reale: dovrei vietare le calcolatrici e fare le divisioni a mano? Semmai, vorrei che allo scrutinio (oltre che in corso d’anno) il software permettesse di vedere quanti e quali voti sono stati assegnati da ogni docente, anche per distinguere chi compila i registri “ad capocchiam”, corregge i compiti con settimane di ritardo e valuta un tanto al chilo, da chi invece la sua parte la fa costantemente ogni giorno.

 

Non penso solo a questo articolo (posso anche aver frainteso le intenzioni dell’autrice, chissà) ma anche a tanti analoghi pareri che mi è capitato di leggere. Magari espressi da qualche premiato giovin scrittore, amante dei bei tempi andati, oh cavallina storna… 

Di fronte all’idea dell’iscrizione via web, anziché brindare per tutte le code e ore di lavoro risparmiate, si pensa solo a qualcuno che può avere delle giustificate difficoltà − ma può sempre rivolgersi allo sportello, sperando che le difficoltà non le abbia anche lì. Mi viene il dubbio che sia come per quelle autogestioni: prima decidiamo che le innovazioni non ci piacciono, poi cerchiamo un motivo plausibile. Rifiutiamo il nuovo per partito preso, salvo poi lamentarci che i giovani ritengono la scuola un luogo fuori dal mondo, popolato da personaggi strani, a cui carpire in qualche modo un “sei meno meno” e il pezzo di carta. 

Detto francamente, cercherei poi di togliere quel dolciastro senso di indulgenza per cui dobbiamo sempre riservare la simpatia a chi bigia, copia o se ne frega “ma in fondo non è cattivo”, anziché pensare un po’ di più a chi vive la scuola in modo responsabile e positivo, cresce ed impara anche dagli errori. E che le famiglie che trascurano i figli, per ignoranza o peggio per snobismo radicalchic, non vengano poi a dirci a giugno “non potevo sapere”.