Caro direttore,
nell’Agenda Monti lo spazio per la scuola, anche se limitato, c’è, ed è uno spazio importante dal punto di vista qualitativo perché si chiede un cambiamento di rotta e lo si fa puntando su una nuova concezione della professione docente. “Serve rompere uno schema culturale – si legge nell’Agenda Monti – per cui il valore dello studio e della ricerca e il significato della professione di insegnante sono stati mortificati. Gli insegnanti devono essere rimotivati e il loro contributo riconosciuto, investendo sulla qualità”. È questo un punto decisivo per il futuro della scuola e va riconosciuto a Monti di averlo colto, tanto che c’è da augurarsi che faccia seguito una nuova considerazione della professione docente, una valorizzazione della sua funzione sia educativa sia istruttiva e una promozione dell’imprescindibile caratterizzazione culturale che la professione insegnante deve avere, perché solo con una cultura si incide nella formazione delle nuove generazioni.
Ciò che non convince è che l’Agenda Monti, dopo aver detto che la questione centrale sta in una nuova valorizzazione dei docenti, innazitutto poggia questa prospettiva su un nuovo modello organizzativo, e in secondo luogo afferma che questo modello fondato su autonomia e responsabilità deve avere come fattore trainante il sistema di valutazione, ossia Invalsi e Indire.
È qui che Monti deve rimettere a posto la sua Agenda, perché su questo è difettosa, anche se non in modo determinante: i margini di una correzione ci sono, basterebbe far tesoro dell’esperienza reale della scuola. È un sistema di cultura della scuola quello che deve cambiare; solo così si può produrre una novità reale dentro il mondo dell’istruzione.
Monti tocca giustamente la questione del modello organizzativo della scuola, e lo fa perché intelligentemente non si può concepire la professione docente se non come risposta ad un bisogno che studenti e famiglie portano. È questo bisogno di educazione, di conoscenza e di cultura che sta alla base della vita della scuola; non c’è l’insegnante e poi il bisogno cui risponde, è vero l’opposto: poiché un bisogno di conoscenza strugge nella vita dell’essere umano, si forma l’insegnante e vi tenta una risposta, e rispondendo impara a diventare più consapevole del bisogno. La storia attesta che all’origine dell’università vi sono gruppi di studenti che si rivolgono a maestri e non società di maestri che si impongono ai discepoli.
Bisogna tornare, come principio ispiratore, a questa origine, una origine che valorizza pienamente la funzione docente, la promuove, le offre prospettive nuove e più consone alla funzione che esercita. Solo così si potrà trovare la collocazione adeguata dell’insegnante e promuoverne la funzione come decisiva dal punto di vista culturale; solo così si potrà riattualizzare il suo segno distintivo fondamentale che è e rimane la missione educativa.
Da questo punto di vista l’Agenda Monti è in difetto: se la scuola nasce come risposta ad un bisogno e se gli insegnanti contribuiscono a rispondervi, c’è un solo modello che può essere adeguato in questa prospettiva e la legislazione scolastica italiana ce l’ha già! È il modello scolastico poggiante su parità e autonomia, che prevede scuole gestite dallo Stato sempre più autonome e scuole che nascono libere e alle quali lo Stato deve garantire un riconoscimento della funzione pubblica fino ad attuare una piena parità, secondo tutte le accezioni che questa comporta: da quelle didattiche a quelle economiche a quelle professionali.
Il ragionamento dell’Agenda Monti va in corto circuito in quanto chi stabilisce il valore delle scuole non è chi se ne serve, non chi le frequenta, ma i sistemi di valutazione messi in campo dallo Stato. Bisogna valutare le scuole, bisogna saper dire ciò che va e ciò che non va, ma come verifica dell’impegno ad istruire ed educare, mentre nell’Agenda Monti questi sistemi valutativi più che essere il punto di verifica e di correzione dell’azione educativa finiscono per diventare i fattori che decidono l’impostazione culturale delle scuole che così dallo Stato non trovano più la loro promozione, bensì ne sono indirizzate. La valutazione viene ad essere lo Stato che dice alle scuole ciò che devono fare per essere tenute in considerazione, per essere promosse, mentre valutazione significa andare a vedere se il sistema liberamente scelto risponde al bisogno educativo incontrato. Nell’Agenda Monti i sistemi valutativi diventano discriminanti e così rischiano di portare la scuola all’omologazione, mentre dovrebbero essere la garanzia e il potenziamento della sua libertà.
A seguire Monti dovrà poi lavorare per uscire dalla genericità per quanto riguarda la professione docente e ha due nodi importanti da sciogliere: la questione del Tfa, su cui ci vogliono indicazioni chiare, soprattutto dopo i disastri combinati lo scorso anno, e un nuovo sistema di reclutamento degli insegnanti, per i quali nella scuola autonoma come in quella paritaria è la libera chiamata da parte della singola scuola la modalità che sembra ad oggi essere più ragionevole. Non si può comunque fare una Agenda senza toccare queste due questioni cruciali su cui si gioca il futuro dell’istruzione.
Presentare alle elezioni un programma che non si pronunci su queste problematiche è tenere nascosto all’elettorato quello che realizzerebbe un futuro governo del paese, e questo non sarebbe un gesto di democrazia. Per questo è decisivo che Monti chiarisca nella sua Agenda come intende procedere su parità, Tfa e reclutamento, perché senza entrare correttamente nel merito di questi aspetti non si costruirà una nuova scuola, moderna, all’altezza del bisogno dei giovani.