Caro direttore,
ho letto con interesse l’articolo del collega Mereghetti a commento dei punti salienti relativi alla scuola presenti nell’Agenda Monti. Premetto che non è mio interesse difendere o attaccare l’Agenda Monti, ma guardo con interesse di elettore a qualunque programma parli di scuola e, al suo interno, di valutazione delle scuole. Elettore che è anche padre e insegnante.



L’articolo di Mereghetti è in parte “mio”. Come non condividere l’ottica di rivalutare la professione docente e le richieste di chiarimenti relative a “parità, TFA e reclutamento”? Ma su un punto non secondario il mio disaccordo con Mereghetti è netto, in quanto mi sembra che l’impostazione che egli dà al problema sia viziata all’origine e, conseguentemente, la soluzione proposta giunga addirittura a rendere difficoltoso il raggiungimento di obiettivi quali la valutazione della scuola, pur teoricamente affermata.



Da anni mi occupo di valutazione, soprattutto a livello statistico, e ho girato in parecchie regioni d’Italia a trattare l’argomento, avendo la possibilità di parlare con centinaia di colleghi. Ogni inizio di lavoro mi ha visto “confessare” che la spinta ad interessarmi di valutazione della scuola era nata in me da una preoccupazione: volevo e voglio che la nostra “produttività” non sia valutata come si valuta la produttività in una fabbrica di bulloni. Sarebbe terribile, perché noi non abbiamo a che fare con bulloni, ma con persone. Ma questo non esime dal giungere a poter formulare un giudizio preciso sul valore di una scuola, anzi, guai se esso fosse preso come alibi per non “rendere conto” del lavoro svolto.



Non ci si può nascondere dietro un dito: da decenni ad affermazioni teoriche sulla necessità di valutare la scuola, firmate anche nei contratti, nessun sindacato ha proposto atti conseguenti, anzi ad ogni proposta governativa (in senso lato) si è sempre obiettato “ma bisognerebbe fare in altro modo”, ovviamente mai dicendo quale fosse l’altro modo e così lasciando tutto inalterato, compresa la sempre maggior frustrazione di chi vede remunerato il proprio lavoro – soprattutto economicamente – in base a una sola variabile: l’anzianità di servizio.

La scuola non si può andare avanti così, ma non per l’Europa che ce lo chiede o per solidarietà all’occupazione dei lavoratori dell’Invalsi. Non si può andare avanti così perché questa è la direzione opposta – cito Mereghetti – rispetto alla “valorizzazione della sua funzione sia educativa sia istruttiva” e alla “promozione dell’imprescindibile caratterizzazione culturale che la professione insegnante deve avere”.

Come fa Mereghetti a dire che “nell’Agenda Monti questi sistemi valutativi più che essere il punto di verifica e di correzione dell’azione educativa finiscono per diventare i fattori che decidono l’impostazione culturale delle scuole che così dallo Stato non trovano più la loro promozione, bensì ne sono indirizzate”?

Ad oggi l’Invalsi aiuta a misurare gli apprendimenti e più volte ho sentito i dirigenti scolastici auspicare che, oltre alla restituzione di numeri, l’Invalsi stessa si pronunci su quale direzione far prendere alla scuola in base ai risultati ottenuti. Non è la sede per verificare la fondatezza e l’opportunità di questa richiesta, ma mi serve per affermare che non ho mai visto scuole la cui “impostazione culturale” è stata determinata dai risultati Invalsi. Altra cosa è quel che indirettamente propongo ai vari consigli di classe: ad esempio, constatate rispetto al livello regionale, grazie ai risultati Invalsi, lacune nella 2A in algebra e nella 2B in geometria è opportuno che la scuola programmi per l’anno successivo in modo da insegnare meglio in  2A algebra e 2B geometria. Ma questa non è un’impostazione-imposizione culturale, bensì un aiuto!

Anche perché – e anche questo lo si dimentica troppo spesso − c’è l’obbligo nel nostro Stato di un Esame conclusivo (questo sì “di Stato”!) che fornisce un diploma spendibile in tutta Italia, ma si sa che 80/100  ha un contenuto diversi da regione a regione e da scuola a scuola. Come rendere meno eclatante il divario fra il messaggio numerico 80/100 e il contenuto dello stesso? Magari spingendo più a fondo l’analisi dei risultati Invalsi, non eliminandoli per un rischio totalmente teorico. E decidendo in piena autonomia quali strumenti utilizzare al fine di colmare le lacune evidenziate dalle rilevazioni esterne. 

Mereghetti scrive “Bisogna valutare le scuole, bisogna saper dire ciò che va e ciò che non va, ma come verifica dell’impegno ad istruire ed educare”. Non capisco: segnalare come va la 2A in Algebra pare andare bene, ma c’è il rischio che questo non sia una “verifica dell’impegno ad istruire ed educare”? In che senso? Si teme una specie di Invalsi che stabilisce il “piano quinquennale” dello Stato per le Scuole? A me pare vero l’opposto: io a scuola rivendico la piena autonomia nell’impostare il mio lavoro e mi impegno a mostrare a tutta la società che raggiungo negli apprendimenti i risultati che tu mi chiedi (l’algebra in 2A). Ma come farei a sapere che ho una lacuna nell’algebra, se non ci fosse un’indagine seria in questa direzione? L’autoreferenzialità è impossibile e spesso ingannevole.

Non è vero che “La valutazione viene ad essere lo Stato che dice alle scuole ciò che devono fare per essere tenute in considerazione, per essere promosse”: la valutazione esterna dice “tu scuola non hai raggiunto un livello sufficiente in algebra” e niente di più. Se non lo dicesse che valutazione sarebbe?! C’è il rischio che poi lo Stato imponga… ma certo, il rischio teorico c’è sempre, ma lo si affronta quando questo diventa reale (e ora non lo è), non lo si usa per evitare di avere informazioni precise sul livello di algebra appreso in 2A! Per un malato il rischio di un pericoloso effetto collaterale non rende a priori ragionevole evitare l’assunzione di un farmaco, a meno che la malattia sia di poco conto e destinata comunque alla guarigione: non mi pare proprio il caso della scuola in Italia. Fra l’altro, per stare all’esempio, ad oggi l’Invalsi non propone un farmaco, ma fornisce solo gli esiti degli esami del sangue e la scuola decide se e come tenerne conto.

Valutazione significa andare a vedere se il sistema liberamente scelto risponde al bisogno educativo incontrato. Nell’Agenda Monti i sistemi valutativi diventano discriminanti e così rischiano di portare la scuola all’omologazione, mentre dovrebbero essere la garanzia e il potenziamento della sua libertà.” Discriminanti? In che senso? Se i sistemi valutativi riuscissero a dire con maggior chiarezza cosa si nasconde dietro un 80/100 di un diplomato in informatica, ovunque egli si diplomi, avrebbero fatto un ottimo lavoro, discriminando fra un 60/100 e un 100/100. Perché il bisogno educativo comprende, per un informatico, la possibilità di uscire dalla scuola con un bagaglio tecnico preciso e aggiornato. Ed è conoscendo a che livello la mia scuola si situa nel riuscire a trasmettere, ad esempio, questo bagaglio tecnico che potrò potenziare la mia libertà sfruttando i margini di autonomia – ancora troppo vincolati − che la legislazione mi permette. L’omologazione c’è adesso, laddove un 80 o un 60 o un 100, se non accompagnati da informazioni aggiuntive, del tipo “ma è un 80 della scuola tal dei tali…”, rischiano di non fornire alcuna segnalazione precisa sul livello dello studente.

A me pare che sia molto più in pericolo la libertà della scuola rifiutando sdegnosamente i sistemi di valutazione per il rischio che essi debordino il loro compito, piuttosto che accettandoli e tenendone in dovuto conto i risultati, ben conoscendone i limiti, ma anche le potenzialità.

PS. Mi è venuto un dubbio: forse che Mereghetti abbia letto con attenzione l’Agenda Monti e abbia visto cose che giustifichino il suo giudizio? Riporto allora integralmente le parti di essa relative alla valutazione scolastica: “Da subito occorre completare e rafforzare il nuovo sistema di valutazione centrato su Invalsi e Indire, basato su indici di performance oggettivi e calibrati sulle caratteristiche del bacino di utenza e dei livelli di entrata degli studenti. Occorre inserire con gradualità meccanismi di incentivazione dei dirigenti scolastici basati sulla valutazione del rendimento della struttura ad essi assegnata, e degli insegnanti, ad esempio attraverso un premio economico annuale agli insegnanti che hanno raggiunto i migliori risultati”. 

Confermo perciò il mio giudizio: è sbagliato urlare “al lupo” adesso, anzi è dannoso, perché permette che la posizione culturale di chi ha una visione di scuola con fini opposti a quelli auspicati da Mereghetti (e me) si affermi come vincente.