Non è l’inizio dell’anno solare a richiedere un bilancio della gestione del Miur da parte del governo Monti – nella scuola notoriamente si va ad anni, appunto, scolastici – ma l’imminente fine della permanenza del ministro Profumo in via Trastevere. Come succede a tutti i kamikaze che vengono catapultati su quella poltrona, il bilancio nell’immediato non sembra positivo. In futuro si vedrà.



C’è tuttavia un settore in cui è il caso di fare subito un bilancio. È quello relativo alla risposta –  sollecitata dalla domanda n. 13 della Lettera dell’Unione Europea, la vera elettrice di questo governo – che il governo doveva fornire. Che fare con le scuole che vanno male? Domanda che, ovviamente, postula che le scuole vengano valutate su base attendibile.



Alcuni la pensano come la Ue e cioè che nel grande circo di concorsi, contratti, idee balzane o demagogiche che ha dato spettacolo in questa annata, l’unica cosa che in prospettiva conta è la valutazione. Il carro della valutazione sembra, scricchiolando e cigolando, andare lentamente avanti. Anche se più per motu proprio che per impulso delle alte sfere politiche: non c’è voluta la crisi di governo per far smarrire nelle nebbie il Regolamento sulla valutazione. Ed il ministro è parso troppo attento a tante, troppe cose; a meno che non si sia trattato di un’indifferenza apparente, astutamente utilizzata per sviare l’attenzione. Del resto, è così che è andata avanti la valutazione nei suoi 10 anni di vita nel nostro Paese.



Un primo bilancio dei fatti. Le prove del Servizio nazionale di valutazione (Snv) e la Prova nazionale nell’esame di III media sono proseguite, nonostante il notevole battage pubblicitario di opposizione dei giornali e la sostanziale contrarietà o indifferenza del quadro dirigente intermedio della scuola. Le opposizioni dirette nelle scuole, tuttavia, sono state decisamente minoritarie. Piuttosto, è stato largamente adottato il metodo del “muro di gomma”; non tutti i dirigenti scolastici – che avevano il monopolio delle informazioni – hanno scaricato i dati ed ancor meno li hanno studiati per operazioni di miglioramento. Del resto era illusorio – anche se è stato autorevolmente sostenuto – che ciò avvenisse naturalmente e spontaneamente; mancavano le convenienze e la scuola non è il regno dei puri angeli.

Le modalità di analisi e di restituzione dei risultati (nonostante notevoli ritardi) si sono di molto perfezionate. Oggi le scuole possono disaggregarli in modo molto articolato, ottenere un quadro complesso delle prestazioni degli studenti nelle diverse aree di competenza e farsi un’idea dell’influenza dei fattori di contesto. 

Rimane aperto il problema di una classificazione ordinata della complessità delle prove e della realizzazione delle analisi longitudinali, che darebbero un’immagine anche della evoluzione degli allievi e della scuola. Invalsi ha anche per la prima volta realizzato dei momenti di confronto sui contenuti e sull’impostazione delle prove con settori di specialisti, in collegamento via streaming con le scuole.

Il problema della pubblicizzazione dei dati è stato affrontato in modo indiretto. Nessuna graduatoria né alcuna obbligatoria messa in chiaro dei dati. Piuttosto, le scuole possono esporre i loro risultati sul loro sito in “Scuola in chiaro” e l’arco dei destinatari delle informazioni si è allargato fino a comprendere il presidente del consiglio di istituto.

Resta irrisolto il problema dell’esame di Stato finale, per il quale la normativa varata in Parlamento all’unanimità prevede una parte standardizzata esterna come nel caso dell’esame di III media. La prospettiva delineata dalla Direttiva triennale sembra per il momento diversa: realizzare una prova come quelle delle altre annualità, senza ricaduta immediata sulla valutazione degli allievi e sul voto di esame. Una decisione prudente probabilmente, il cui risultato potrebbe essere quello di depotenziare ulteriormente il valore dell’esame di maturità, contrariamente a quello che possono pensare i suoi difensori ad oltranza.

In effetti, tutte queste attività sono inquadrate dalla Direttiva triennale emanata in ottobre ed in una prospettiva più ampia dal Regolamento per la valutazione presentato nell’agosto scorso.

Ma qui, dove solo la politica può arrivare, le cose non sembrano essere andate troppo avanti; dopo la presentazione, sembra che l’attenzione del ministro sia stata catalizzata dalle fantasmagoriche vicende dei concorsi o dai trappoloni sugli orari di lavoro degli insegnanti. Del Regolamento non si è più sentito parlare. Il progetto Vales, che potrebbe prefigurare un modello accettabile di valutazione delle scuole, essendo stato adeguatamente edulcorato con una dose significativa di indicatori di processo e di autovalutazione, sembra procedere anch’esso molto lentamente e faticosamente.

E l’orizzonte politico non è chiaro e sereno. Le possibili future maggioranze che faranno? Qualcuno ha già cominciato a parlare della necessità che le prove non siano di prodotto, ma di processo (cosa significa?) e che pertanto, essendo tale tipo di prova molto complesso, sia più utile passare dal censuario al campionario… Chi si rivede! Speriamo in bene.