La risposta dell’on. Maria Coscia alla domanda circa i rapporti scuola/lavoro esclude che i ragazzi a 15 anni possano assolvere l’obbligo di istruzione con un contratto di apprendistato.
Questa risposta significa solo che la sinistra sta perdendo (o ha perso?) il contatto con la società italiana e con le giovani generazioni. La realtà ci consegna dei ragazzi, che per mille cause – dovute alla struttura e alla troppo lunga durata del curriculum, al numero esorbitante e alla parcellizzazione tayloristica delle materie, a un distacco sempre più avvertito tra tempo di vita e tempo scolastico, tra l’universo scolastico e quello del lavoro – arrivano alla crisi di rigetto dell’istruzione formale, già dopo uno/due anni di scuola media. Un numero crescente di ragazzi non riconosce nel sistema scolastico, così come è oggi strutturato, un ambito di crescita e di autorealizzazione. Hanno voglia di uscire, di incontrare il mondo, di attivare tutte le loro facoltà, non solo quelle cognitivo-astratte, e tutti i loro tipi di intelligenza.
Studiare e lavorare, studiare fino a una certa età e poi lavorare e poi tornare a studiare sono opzioni e diritti della persona – non obblighi – che un sistema scolastico al servizio dei ragazzi dovrebbe garantire. La visione classica gentiliana, che la sinistra discepola di Concetto Marchesi continua a condividere, prevede, viceversa, che la concreta e presente antropologia dei ragazzi debba curvarsi sul sistema di istruzione così com’è. Al fondo, inconfessata, sta la convinzione che l’antropologia giovanile sia malata, troppo cedevole rispetto alle sirene del mercato e del consumo immediato, troppo esposta ai ricatti del sistema economico e produttivo.
Se quella è la malattia, la clinica di cura è esattamente il sistema scolastico. Il ragazzo deve stare lì dentro almeno fino a 16 anni e possibilmente fino a 19. La sinistra trasforma la causa della malattia nella sua cura.
L’istituto dell’apprendistato è certamente migliorabile. Definito dal Decreto legislativo n. 276 del 2003, prevede tre livelli: apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione, che consente di conseguire una qualifica professionale ed è diretto ai più giovani, in particolare a giovani e adolescenti che abbiano compiuto 15 anni (prevalentemente la fascia d’età tra i 15 e i 18 anni); apprendistato professionalizzante, che consente di ottenere una qualifica attraverso una formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico-professionale; apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione, che consente di conseguire un titolo di studio di livello secondario, universitario o di alta formazione e per la specializzazione tecnica superiore.
L’affermarsi di questo nuovo canale di istruzione si muove in mezzo a mille ostacoli politici, culturali e economici, spesso frapposti dalle stesse aziende, che tendono a “fare uso” dell’apprendista, senza offrire in cambio un’autentica formazione al lavoro. Ma un conto è fare una battaglia per la migliore realizzazione di questo canale di istruzione/lavoro, un altro tentare di amputarne la base. Un salto a Bolzano dalla lontana Irpinia mi permetterei di consigliare all’on. Coscia, se non avesse tempo di arrivare fino in Austria o Germania. Scoprirebbe, parlando con giovani apprendisti e con coloro che lo sono stati, quanto siano stati umanamente e professionalmente soddisfatti dalle esperienze di formazione/lavoro compiute.
Né bastano le giaculatorie sulla necessità di una didattica innovativa. Sarebbero credibili, se in questi anni si fosse fatto qualche passo in avanti verso il cambiamento del curriculum. Alla fine, la difesa politico-sindacale degli interessi dei “lavoratori della scuola” ha bloccato ogni riforma. La sinistra dovrà scegliere se stare o no dalla parte dei ragazzi. Finora sta dalla parte del sistema gentiliano di istruzione.