“Per scongiurare il declino del sistema Italia occorre puntare su due riforme: nuovi metodi di reclutamento e di valutazione nel mondo della scuola e formazione continua nell’impresa”. Lo rimarca Irene Tinagli, onorevole di Scelta civica, dopo che il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, intervenendo al Forum del Libro “Passaparola” di Bari ha parlato dell’incapacità italiana di crescere e competere. Per Visco, il nostro Paese è preda di un “analfabetismo funzionale” con livelli formativi “ancora distanti da quelli degli altri Paesi avanzati”. Una situazione “particolarmente grave” cui si può rispondere soltanto destinando ingenti risorse al “capitale umano”.



Onorevole Tinagli, è solo un problema di soldi?

Esiste sicuramente una questione di limitazione delle risorse, ma c’è un problema più profondo. Un’indagine dell’Ocse ha fissato le capacità matematiche e letterarie nella popolazione dei vari Stati, e ne è emerso un quadro desolante per l’Italia. Le nostre capacità sono giudicate scarse anche nelle persone che hanno frequentato il sistema scolastico negli anni pre-crisi. Carenze ereditate dal passato fanno sì che gli italiani siano poco istruiti rispetto ai loro stessi titoli di studio. L’Italia rimane inoltre uno dei Paesi con la forza lavoro meno qualificata in termini di raggiungimento dei titoli di studio. Ma è soprattutto a un livello più sostanziale che noi italiani non possediamo quelle competenze che oggi occorrono per concorrere sul mercato del lavoro.



A che cosa si riferisce nello specifico?

In primo luogo al fatto che occorre intervenire sul sistema dell’istruzione nel suo complesso, per quanto riguarda i programmi e i metodi di reclutamento e di valutazione sia dei docenti sia delle competenze acquisite dai ragazzi. Inoltre va ridiscussa la formazione continua anche al di fuori dei percorsi scolastici.

In che modo?

Le persone adulte dovrebbero avere maggiori occasioni per rinfrescare le conoscenze apprese a scuola. Basterebbe iniziare e esercitarle, essendo più stimolati ad aggiornarsi sul lavoro e a leggere i giornali. Anche queste attività aiutano a mantenere le competenze vive. Eppure da questo punto di vista scontiamo delle gravi carenze, in quanto in Italia si fa poca formazione e ciò non contribuisce a stimolare i lavoratori a tenersi aggiornati.



Quanto conta il fatto che in Italia ci sono più laureati in materie umanistiche e meno ingegneri rispetto al resto d’Europa?

Si tratta indubbiamente di un limite e ad alimentarlo non è stata innanzitutto una predisposizione innata degli italiani, ma un sistema economico-istituzionale che incoraggiava determinate scelte. Per molti anni le opportunità lavorative più attraenti riguardavano la pubblica amministrazione. Ciò compensava una situazione tale per cui il sistema delle imprese non assorbiva tanti lavoratori con alte competenze tecnico-scientifiche come negli altri Paesi. Questo fatto ha influenzato le scelte degli italiani canalizzandole verso determinati tipi di facoltà anziché altre. Valorizzare questo patrimonio di competenze umanistiche è possibile soltanto se, come avviene nella Silicon Valley, vi si iniettano delle competenze aggiuntive.

 

Il sistema Italia sarà in grado di riprendersi o è destinato al declino?

Mi piace pensare che l’Italia non sia inevitabilmente condannata al declino. Il vero problema è se davvero siamo pronti e vogliamo imprimere un cambiamento radicale a questo Paese. Pensando alla scuola, sono anni che si parla della necessità di un miglioramento qualitativo, attraverso l’introduzione di merito e valutazione. Ogni volta però che si tenta di muovere un passo in questa direzione succede il finimondo. Diventa cioè estremamente difficile sviluppare qualsiasi iniziativa e ciò che ne viene fuori spesso sono dei provvedimenti insufficienti, inefficaci, pasticciati, che non portano i risultati sperati. E’inutile invocare grandi riforme quando poi non siamo pronti ad affrontarle fino in fondo.

 

(Pietro Vernizzi)