Cara ragazza, che c’è di male se in una calda serata d’estate, in cui saresti stata sola, vai a casa di un amico fidato “di buona famiglia” a cui i suoi genitori hanno lasciato libera la loro casa, una bella casa con piscina? Che c’è di male se, insieme a loro, si beve qualche cocktail, di quelli belli potenti che dopo un po’ non danno più il senso della realtà: non ci deve essere nulla di male se la stragrande maggioranza di ragazzini e ragazzine minorenni lo può bere tranquillamente in un locale pubblico anche se ci sarebbe il divieto… 



Ma poi all’improvviso il male arriva, la violenza arriva con tutta la sua forza, e ti umilia in modo impressionante. Non so se il dolore che provi non ti permette ancora di capire che il male non è nato lì, in quei terribili momenti; il male, il “vuoto di bene” c’era prima, prima ancora che beveste tutti superalcolici a gogò. Si è annidato nella risposta sbagliata ad un tuo desiderio giusto di stare in compagnia, di divertirsi, di stare allegri, di non stare soli. 



Ora sai, avendo pagato sulla tua pelle, che una compagnia qualsiasi, anche se con il curriculum a posto, non è la risposta al tuo desiderio di amicizia, di verità, di bellezza. Allora, cercala una compagnia diversa, amica cara! Cerca sguardi e volti che non ti ingannino, che non ti giudichino per come appari, che non si rendano complici del male che ci insidia da tutte le parti, che siano incollati a qualcuno che li aiuta a vincere le loro debolezze, le debolezze di ogni adolescente. Io conosco centinaia e centinaia di ragazzi che erano così, ma hanno trovato amici all’altezza di loro desideri e delle loro aspettative. Non un luogo che ti protegge, che ti risparmia la fatica del vivere, ma che ti aiuta a tirar fuori da te stessa la risorsa per affrontare la vita, quella risorsa che ti serve anche ora, che è di più del coraggio, pur ammirevole, di denunciare i tuoi aguzzini. 



Mi viene in mente la preghiera che dico con i miei ragazzi accolti a Ca’ Edimar al mattino, conoscendo bene quanto è alta per loro la tentazione di scappare dalla realtà. Dice: “Creatore dell’universo e di ognuno di noi, all’inizio di questo nuovo giorno scolpisci il nostro cuore e ridesta tutto il nostro desiderio di verità e di bellezza e tutte le nostre capacità per non tradirlo. Che la fatica non ci scoraggi, che il positivo che vedremo anche oggi ci dia più certezza ancora nel cammino della vita“. 

Cerca! Probabilmente i tuoi genitori o i tuoi amici non ti sanno indicare questi luoghi, perché forse mancano anche a loro. Ma, se vuoi, qualcuno che ti indica la strada c’è. La certezza che ci testimonia papa Francesco è tutta qui. Ciao. Mario

Cari ragazzi “per bene”, ciò che avete fatto alla vostra amica sedicenne, forse sotto i fumi dell’alcool, è grave, vergognoso e umiliante. Ma ancora più grave e umiliante è che non possediate un ideale adeguato a comprendere ciò che è un bene per la vita propria e altrui e ciò che è un male. Ve ne potete fregare di tutto, rifugiandovi dietro il “fan tutti così” o dietro il “non l’abbiamo picchiata” o, come è successo altre volte, “in fondo in fondo ci stava”. Ma non potete fregarvene di voi stessi, del vostro desiderio di diventare grandi davvero e non usare la vita come si usa un’utilitaria. 

Forse non vi è stato proposto niente di così potente e affascinante da sfidare il falso potere − compreso quello di essere in grado di divertirsi come pare e piace con il corpo degli altri, il fascino menzognero dell'”usa e getta”, la sicurezza di una vita agiata e senza rischi. Non è la condanna − che in questi giorni, come sapete, si leva da tutte le parti − a farvi cambiare. È solo l’incontro con un ideale credibile perché c’entra con un modo più umano di vivere, di bere, di divertirsi, di usare del corpo o dei soldi, così che valga la pena non evitare la vita in salita e non scappare più. 

Sono addolorato per quello che vi manca più che del gesto che avete fatto. Questo mio dolore spero vi faccia percepire almeno una timida speranza di una diversità possibile, come il dolore di Semea (l’insegnante di Edimar, ragazzo-bandito e “menino de rua” del Brasile) ha fatto percepire a lui, Edimar, che a quindici anni aveva commesso tutto il male possibile, la speranza del cambiamento: “Anche i miei occhi che sono neri diventeranno azzurri come il cielo?” Leggete la vita di Edimar (cercate su Google e la trovate): non è una favola, è una realtà vittoriosa rispetto alla realtà mortale in cui siete inciampati. “Restate affamati, restate folli” scriveva Steve Jobs. Cioè restate desiderosi di un cambiamento che oggi vi sembra impossibile. Folli non della follia che deriva dall’alcool e dagli shottini, ma della follia che nasce dal non sentirsi mai tranquilli, pieni di un desiderio del vero e del bello. Vi abbraccio. Mario

Cari genitori, i giornali definiscono i vostri figli, coinvolti direttamente o spettatori passivi, come provenienti da “famiglie per bene”. 

L’esperienza accaduta dimostra che ormai questa è una definizione senza senso, dice che i nostri figli possono stare dentro famiglie tranquille e non imparare più nulla, se non una buona educazione che fa sentire a posto. Quello che vi è capitato non è facile da accettare perché penso non fosse prevedibile. Ma è una realtà da guardare, senza paura. Quanti genitori conosco che non sapevano più guardare i figli, perché, come dice il mio amico Antonio Polito, «siamo la prima generazione di padri nella storia ad aver elaborato una complessa e altamente egoistica strategia di sopravvivenza attraverso la captatio benevolentiae dei nostri figli. Fingiamo di farlo per il loro bene, ma in realtà lo facciamo per il nostro» (A. Polito, Contro i papà). 

Se li guardate con lealtà, oggi non potete non dire “Ma cosa conosco veramente di mio figlio?” Così vi potete accorgere di quanto è facile non lanciarli verso la scoperta del loro cuore, del desiderio di un Destino buono che non sia in balia delle false sicurezze. Ai figli oggi si può dar tutto e non proporre più niente e non sfidare più la loro libertà. Così si cresce senza identità. Aveva ragione Eugenio Scalfari quando sosteneva: «La ferita [in questi giovani] è stata la perdita dell’identità e della memoria  […] e la ferita è stata il silenzio dei padri troppo impegnati nella conquista del successo e del potere. […] La ferita è stata la noia, l’invincibile noia, la noia esistenziale che ha ucciso il tempo e la storia, le passioni e le speranze. […] Non vedo quella profonda melanconia che c’è nei giovani volti del Rinascimento dipinti dal Lotto e dal Tiziano. […] Io vedo occhi stupefatti, estatici, storditi, fuggitivi, avidi senza desiderio, solitari in mezzo alla folla che li contiene. Io vedo occhi disperati. […] Eterni bambini. […] La loro salvezza sta soltanto nei loro cuori. Noi possiamo soltanto guardarli con amore e trepidazione» (Repubblica, 5 agosto 1999). 

Allora aiutiamoci a uscire dalla confusione. Diventiamo figli se vogliamo essere padri. “I nostri figli sono forse l’ultima occasione che abbiamo per cambiare” ci ha detto una volta don Luigi Giussani, l’uomo che mi è stato padre per poter essere padre di mia figlia Anna, handicappata grave dalla nascita.

Faccio mio, per concludere, il grido di Concita De Gregorio: «Verrà il giorno in cui capiremo l’abisso in cui siamo precipitati?» (Repubblica, 21 ottobre). Sarà un “bel giorno”. Per molti uomini e donne, di tutti i tempi e di tutte le razze, è accaduto.

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