Nel documento di avvio del suo ultimo dibattito congressuale l’Associazione Nazionale dei Dirigenti Scolastici (Andis) ha svolto un’analisi molto critica dell’attuale situazione della scuola italiana, caratterizzata dall’attuazione assai parziale e continuamente contraddetta dell’autonomia scolastica. La progressiva riduzione delle risorse strutturali professionali e finanziarie, che ne è una delle cause principali, è certamente il frutto della crisi generale dei conti dello Stato, ma occorre risolutamente contrastare l’idea secondo cui più autonomia per le singole istituzioni scolastiche significhi necessariamente più spese per lo Stato. Al contrario, l’autonomia didattica, organizzativa e finanziaria delle scuole, insieme alla responsabilità dirigenziale e ad una valutazione seria e rigorosa di sistema, rappresenta la via maestra per rendere più equa ed efficace la distribuzione delle risorse investite nel sistema formativo.
Dal punto di vista delle risorse, il decreto 104 in corso di approvazione in Parlamento rappresenta un primo, sia pur timido, segno di inversione di tendenza ma non basta certo a modificare il segno pesantemente negativo degli ultimi anni. “Evoca”, piuttosto, una serie di temi cui non sembra corrispondere una visione organica di insieme su cui fondare la necessità di ritornare a investire nella scuola. Facciamo qualche esempio.
1. Dimensionamento e concorsi per dirigenti – Un elemento sicuramente positivo è la corretta conferma dell’individuazione della Conferenza Stato-Regioni come sede in cui effettuare la scelta dei parametri per il dimensionamento. A noi sembra essenziale che si confermi l’idea di lasciare alle Regioni la responsabilità sulla localizzazione delle autonomie, purché sulla base di una quota nazionale fondata su parametri chiari e definiti. Speriamo si faccia presto e che su questi numeri si bandiscano annualmente i concorsi per i dirigenti scolastici su tutti i posti realmente vacanti, come è detto nel decreto.
Le situazioni veramente drammatiche che si sono venute a creare a seguito del contenzioso sugli ultimi concorsi hanno rivelato l’ingestibilità del meccanismo attuale. Non si tratta solo della tradizionale litigiosità italica: è evidente che se le opportunità di partecipare a un concorso costituiscono finestre sempre più rare nella vita di un docente, il contenzioso non potrà che aumentare. Se poi aggiungiamo il fatto che i vari tribunali amministrativi si pronunciano in maniera diversa sulla stessa tematica, e che il Consiglio di Stato si pronuncia con tempi inaccettabilmente lunghi, la frittata delle numerose e interminabili reggenze è fatta. La conseguenza inevitabile è il cambiamento di fatto del profilo professionale del dirigente, ridotto a mero garante delle procedure.
Bene quindi, anzi fondamentale, che si indicano concorsi annuali. Però… quel che manca è l’individuazione delle responsabilità amministrative da colpire nel caso di mancata esecuzione di questo impegno! E non è una carenza da poco, viste le esperienze del passato.
Bene anche – forse non in assoluto perché ci sono rischi reali di ri-centralizzazione in questa soluzione sicuramente migliorativa rispetto alla situazione vergognosa degli ultimi anni nelle diverse regioni – l’affido alla scuola della pubblica amministrazione del corso-concorso, ma a due importantissime condizioni: che nel corso sia inserita una parte relativa allo sviluppo delle competenze relazionali e di organizzazione della didattica; che l’accesso al corso stesso sia regolato non da improbabili meccanismi pre-selettivi casuali, ma valorizzando le concrete esperienze di coordinamento didattico ed organizzativo dei candidati. E non sarebbe davvero male che si fissasse un limite di età, per evitare il reclutamento di neo-dirigenti alle soglie della pensione.
Positivo – rispetto alla situazione data – anche il riconoscimento del diritto all’esonero dei collaboratori vicari in tutte le scuole interessate alla reggenza: una richiesta che l’Andis aveva giudicato già nel luglio scorso come la sola immediatamente praticabile senza creare situazioni inestricabili sul piano legale. Certo, a condizione che non sia pagata dai dirigenti medesimi con una decurtazione sul loro fondo della retribuzione di risultato!
2. La “stabilizzazione” del personale − Una questione legata a quella delle modalità di assunzione dei dirigenti è quella relativa al reclutamento dei docenti. Sgombrato il campo dall’insopportabile polemica di chi continua a sostenere che la stabilizzazione del personale sia una vergogna nazionale perché amplia i “posti” pubblici (come se queste cattedre sparissero se occupate da personale non di ruolo!), e quindi considerata equa la scelta della “stabilizzazione” di una quota di docenti precari (in modo particolare quelli di sostegno), manca purtroppo una scelta netta ed esplicita per il doppio canale, per la non riapertura delle graduatorie permanenti e per l’attivazione del secondo ciclo di Tfa. Occorre invece escludere ogni ipotesi di riapertura delle graduatorie permanenti (che significherebbe perpetuare l’attuale situazione di attese lunghissime che producono solo frustrazione), decidendo tempi certi e brevi dei bandi.
Almeno questo sarebbe necessario subito, in attesa di una riforma globale del sistema di reclutamento che porti le procedure concorsuali il più vicino possibile alle scuole o alle reti di scuole e che consenta alle scuole di procedere direttamente alla copertura delle supplenze brevi.
3. La formazione dei docenti − Molti si sono scandalizzati per la scrittura un po’ “ruvida” della parte del decreto che prevede la formazione obbligatoria per i docenti i cui allievi ottengano nelle prove Invalsi risultati inferiori alle medie nazionali. Effettivamente, la stesura può far pensare a qualcosa di punitivo. Ma francamente ci sembra che il principio di intervenire in termini di formazione sulle situazioni che fossero (ovviamente in termini di valore aggiunto e non di risultati grezzi) troppo distanti rispetto alla media di quelle che si trovano nelle stesse condizioni di contesto non ci sembra davvero un’ipotesi persecutoria, quanto un’opportunità per migliorare la qualità degli apprendimenti e quindi un dovere da parte dell’amministrazione.
Il problema, piuttosto, è quello di ri-creare una filiera della ricerca educativa nel nostro paese: dopo la scomparsa degli Irrsae e degli ispettori tecnici, nella situazione attuale della ricerca universitaria chi deve fare la formazione?
L’associazionismo − quello dei dirigenti e dei docenti in primo luogo – dovrebbe essere certamente più e meglio valorizzato, ma al momento le famose tre gambe del servizio nazionale previsto dal regolamento sulla valutazione sono ancora di là da venire.
Anche in questo caso, dunque, più una positiva suggestione che una misura concreta.
4. La sicurezza e l’edilizia scolastica − Dovrebbe rappresentare il fulcro del decreto e uno dei perni della politica per la ripresa economica del paese. Però non appaiono chiari i meccanismi di funzionamento, tanto che molti amministratori locali si sono chiesti se i comuni potranno ristrutturare e costruire scuole utilizzando anche risorse proprie in deroga al patto di stabilità.
Se è così, come speriamo e pensiamo, un emendamento al decreto potrebbe (dovrebbe) essere chiarificatore, poiché si tratta di una questione assolutamente cruciale.
5. Il problema delle coperture − Il tema dell’edilizia, del resto, non è il solo terreno su cui il decreto presenta dei punti interrogativi rispetto alla copertura finanziaria. In modo particolare, sarebbe dirimente che fossero esclusi recuperi dei fondi dal Fondo di istituto. Allarmante, da questo punto di vista, la previsione che gli interventi sull’orientamento siano sostenuti proprio nell’ambito di queste risorse, già decurtate e spalmate su una molteplicità di azioni didattiche, quando sarebbe sicuramente più utile destinare risorse alla formazione di orientatori, figure professionali in grado di svolgere questa funzione con competenza all’interno delle scuole.
Da dirigenti abbiamo dovuto registrare un progressivo scivolamento della politica salariale da un riconoscimento – sia pure parziale e quantitativamente insufficiente – del maggior impegno (del “merito” famoso) alla faticosa copertura degli scatti di anzianità. A parte le spesso insuperabili problematiche che ciò crea per la contrattazione integrativa di istituto, non è chi non veda quanto contraddittoria sia una scelta di tal genere con lo sviluppo delle capacità imprenditive del singolo istituto scolastico e con lo sviluppo di una leadership diffusa per l’apprendimento che fa capo al dirigente scolastico.
Sia chiaro: non stiamo parlando della “premialità una tantum” di brunettiana memoria, ma della costruzione di una carriera docente legata alla valutazione, che è la condizione indispensabile di ogni formazione di qualità.
Anche in questo caso, perciò, la chiarificazione delle coperture è decisiva per indicare la direzione di marcia che si vuole intraprendere.
6. Il diritto allo studio e la questione dei libri di testo − È positivo che riappaia il concetto costituzionale dell’aiuto ai capaci e meritevoli ed è davvero importante che riappaiano risorse in questa direzione. Quantitativamente non è molto, ma sicuramente c’è un segnale importante in questa direzione.
Per quanto riguarda la riduzione del costo dei libri di testo, l’Andis ritiene che la spinta ad utilizzare strumenti diversi dal testo/manuale per la didattica vada sostenuta in maniera più esplicita nel regolamento attuativo, perché è difficile che l’affermazione del solo principio basti a modificare una prassi diffusa, per cui spesso il libro di testo sostituisce di fatto la progettazione e diventa l’unico percorso proposto, malgrado le nuove tecnologie sempre più diffuse.
7 . Quello che non c’è − È ovviamente tantissimo: per non citare che la mancanza più grave, il decreto tralascia il settore della scuola d’infanzia (in gravissima sofferenza in questi giorni a Milano) e dedica pochissimo alla primaria e alla secondaria primo grado.
Anche in materia di secondo ciclo, le discussioni in corso al ministero del lavoro per rendere più semplici sul piano burocratico, più efficaci ed incisivi i meccanismi di alternanza e le intraprese di imprese formative simulate appaiono un po’ troppo sullo sfondo, quando per i nostri giovani si tratta dei problemi essenziali e quando si tratta del veicolo più incisivo di attuazione della didattica “laboratoriale” senza di cui nessuna linea guida può ottenere risultati positivi.
La ripresa di attenzione nei confronti del sistema educativo di istruzione e formazione esige un ripensamento complessivo delle politiche scolastiche nel quadro recentemente ribadito dell’accoglimento del Quadro Europeo delle Qualifiche come ambito entro cui collocare le nostre certificazioni di competenze.
Sul queste pagine il tema dell’attenzione per la formazione professionale e per una riorganizzazione complessiva dell’apprendistato a partire dalle intese raggiunte in alcuni contratti di lavoro è stato ampiamente trattato e non ci ritorniamo. Vorremmo solo sottolineare che si tratta, prima ancora che di una linea di politica scolastica, di recuperare il grande tema del rapporto – ormai inestricabile – tra cultura professionale e cultura generale, superando una idiosincrasia tutta italiana alla comprensione del lavoro come “giacimento culturale”, come è stato autorevolmente definito, e prendendo atto del drammatico gap tra offerta e domanda di lavoro qualificato, certo sul versante della formazione ma anche sul versante delle imprese, spesso incapaci di utilizzare le competenze dei giovani.
Questo è il tema centrale di una seria politica di diritto allo studio per tutti.
Forse proprio questa incomprensione, del resto, sta alla base dell’ultimo posto occupato dall’Italia nelle classifiche Ocse delle competenze degli adulti e dell’inaccettabile ritardo con cui si sta affrontando la questione dell’avvio dei Centri provinciali istituiti nel 2007, di cui ancora oggi non sono chiari competenze, ambiti territoriali e modalità di gestione.
In conclusione − II decreto Carrozza va preso per quello che è: un segnale di buone intenzioni che però può avere un effetto positivo solo se – oltre a chiudere con la stagione dei tagli lineari – servirà a rilanciare il dibattito pubblico sulle questioni più controverse, di ordinamento e di attenzione per la qualità umana e professionale di chi frequenta, insegna e dirige le nostre scuole.
Proprio per questa ragione al centro del nostro congresso ci sarà la riflessione su come oggi un dirigente scolastico vive il suo mestiere in bilico tra terminale periferico di uno stato poco credibile e rappresentante di una comunità scolastica sempre più complessa. Proveremo a parlare dell’immensa mole di responsabilità che su di lui incombe e della sua solitudine istituzionale e professionale e, per questa via, delle reali necessità cui non solo l’amministrazione ma l’intera opinione pubblica deve essere capace di rispondere.