“Si tratta di un’esperienza che dovrebbe diventare un modello da replicare in tutta Italia anche per la scuola pubblica“. Lo ha detto il ministro Carrozza parlando di una scuola di Brescia, ed è diventata una notizia. È interessante capire perché, anche se le motivazioni, in chi scrive e in chi legge, potrebbero essere differenti se non opposte.
Occorre una premessa. Per il mondo della formazione nel suo complesso, ma in primis soprattutto per il mondo della scuola, le odierne difficoltà, di prospettive e di risultati prima che di risorse, potrebbero diventare una preziosa occasione per quel ridisegno dell’offerta formativa contenuto nella riforma dei cicli proposta da Berlinguer e dalla Moratti, nonostante il riordino della Gelmini del 2010. L’aspetto paradossale è che tale riassetto potrebbe rispondere concretamente a quelle criticità da tutti denunciate, ma di fatto da tutti ignorate.
Analisi dei saperi essenziali, didattica laboratoriale, una governance che riconosca il valore dell’etica delle reciproche responsabilità, un sistema di valutazione a tutto tondo, la valorizzazione sussidiaria delle autonomie regionali in termini gestionali e di programmazione, un nuovo stato giuridico e, non da ultimo, una didattica delle competenze che porti a certificazioni in uscita, oltre il valore legale, in vista delle prove d’ingresso al mondo del lavoro come agli studi superiori, per tutti gli indirizzi.
Ma questo ridisegno, però, una sorta di nuova soglia d’ingresso, sarebbe monco senza la maturità a 18 anni, come per buona parte dei Paesi avanzati.
Si possono fare, a questo punto, delle scelte parziali, senza un disegno complessivo? Berlinguer e la Moratti ci hanno provato, cioè hanno tentato un disegno complessivo. Ma sappiamo come è andata a finire.
Visto il clima italiano attuale, potrebbero esserci le condizioni non semplicemente per riforme settoriali, magari richieste dall’Ue, come il decreto sul sistema di valutazione, ma riforme di struttura. Un ridisegno complessivo, o almeno scelte che lo prefigurino.
Sarebbe bello se l’autorizzazione del ministro Carrozza su una sperimentazione liceale con la maturità a 18 anni si inserisse in questa logica. Parlo del Liceo internazionale per l’impresa, con sede a Brescia, intitolato a Guido Carli, a lungo governatore della Banca d’Italia e infine ministro del Tesoro. Un vero liceo economico, dunque, oltre il simmetrico istituto tecnico, e ben più consistente del liceo economico-sociale, mera opzione del liceo delle scienze umane.
Si tratta di una scuola paritaria, sostenuta da Confindustria, ed è un chiaro segnale a tutta la scuola italiana. Perché, ad esempio, non consentire delle sperimentazioni anche per le scuole statali? Un tempo si chiamavano “sperimentazioni assistite”, un momento di ricerca-azione innovativo.
Già il fuoco di fila ideologico di alcune sigle non solo sindacali non si è fatto attendere. Un filo legato o, come è noto, non alla domanda “quale migliore scuola per i giovani d’oggi”, ma solo alla preoccupazione sulle conseguenze per gli organici. Quasi a dire che nessuna riforma è possibile, se prima non vengono garantite le rendite di posizione sindacali.
Basta dare un’occhiata ai progetti della Delivery, voluta da Fioroni è confermata dalla Gelmini, sulla riforma degli istituti tecnici e professionali e gli articolati di legge finali, confluiti nel riordino della Gelmini del 2010, poi ricopiati anche nel riordino dei licei: alla fine, la vera cruna dell’ago di qualsiasi proposta è stata la gestione degli organici. Ancora oggi considerati una forma di ammortizzatore sociale, basti pensare alla sanatoria prevista nel decreto Carrozza attualmente in via di conversione, se confrontata col tour del force previsto, per i docenti migliori, nei concorsi ordinari. Due pesi e due misure.
Dalle scuole paritarie può arrivare oggi nuova linfa alle scuole statali?
È una domanda non banale, se consideriamo, come mi ha ricordato di recente un collega, che è stata l’esperienza di una scuola privata-privata (nemmeno cioè paritaria) come quella di don Lorenzo Milani ad imporre a tutti importanti riflessioni pedagogiche. Un chiaro invito a riscoprire, potremmo aggiungere, il vero valore del “servizio pubblico” scolastico. Nei termini di una scuola non centrata sui presidi e sui docenti, ma per gli studenti, per il loro futuro, come per il futuro del nostro Paese.
Una nuova scuola con una maturità però a 18 anni, senza i vincoli del valore legale, oggi obsoleto, perché non contano le prove d’uscita, ma quelle in entrata. Questo potrebbe produrre quel ripensamento da tutti invocato, visti gli esiti delle comparazioni nei test non solo italiani.
Una sana accelerazione, dunque. Oltre i corporativismi e gli assistenzialismi, quel “tutto uguali” che è uno dei mali endemici del nostro sistema formativo.
Avrà il ministro Carrozza quel coraggio che fu di Berlinguer? Anche se poi sappiamo come fu dimesso di forza dai suoi compagni di partito, allora guidati da Veltroni, nel marzo 2000!
In un incontro avuto con una delegazione di quel liceo, la Carrozza ha ammesso: “se ci fosse stata quando ero studentessa, anch’io mi sarei iscritta a una scuola come la vostra“. Aggiungendo quella cosa fatidica: “Si tratta di un’esperienza che dovrebbe diventare un modello da replicare in tutta Italia anche per la scuola pubblica“. Vediamo allora se il ministro ha il coraggio di proporre una sperimentazione “assistita”, o se sono solo parole.
Come ai tempi di Berlinguer, la discussione potrebbe ora concentrarsi su: le superiori a 4 anni, o nuove “scuole medie”, con un anno in meno, integrate in un vero “primo ciclo”?
Già ad oggi, a legislazione invariata, la riforma Gelmini del 2010 consentirebbe il passaggio ai 4 anni, essendo strutturata in due bienni e in un anno finale. Basterebbe togliere, oltre al vincolo obsoleto del valore legale, l’ultimo anno. E la maturità a 18 anni sarebbe già pronta.
Ma vedrete che le polemiche si concentreranno solo sul taglio delle cattedre.