50 anni di scuola media unica. Non l’ho frequentata da allieva, ma l’ho studiata per la mia tesi sperimentale di laurea, l’ho vissuta da giovane docente e poi da dirigente.

Quanta speranza e convinzione per quel modello che, allora, prometteva di superare le divisioni fra i ragazzi destinati al latino e alla conoscenza teorica e quelli che, dopo tre anni di avviamento professionale, avrebbero cercato un lavoro manuale!



La legge istitutiva voleva garantire risposta al bisogno di socializzazione dell’Italia del ’62, nell’ipotesi di promuovere, anche per i ragazzi disagiati, un miglioramento delle conoscenze e soprattutto delle competenze necessarie per vivere da cittadini consapevoli.

Il riferimento esplicito era all’articolo 34 della Costituzione, con la connessa speranza che potesse finalmente trovare attuazione, in una scuola unica e gratuita, l’istruzione per tutti. Istruzione come volano di sviluppo personale e possibilità di mobilitazione sociale. Fu una folata d’aria nuova per il paese e per noi, allora giovani studenti di scuola superiore.



Anche la possibile successiva iscrizione a tutte le facoltà, senza i vincoli provenienti dalla scuola frequentata e dalle scelte precoci, fatte più dai genitori che da noi, e operate più per le contingenze economiche e sociali che per il rispetto delle aspirazioni e delle doti personali, fu giocoforza conseguenza di quella rivoluzionaria idea di scuola, unica e uguale per tutti. La scuola uguale doveva renderci uguali!

Il tempo ha mostrato invece, nell’esperienza dei docenti e degli studenti, che le diseguaglianze erano più profonde e difficili da superare. Non bastava mettere insieme ragazzi diversi, in possesso di strumenti spesso sproporzionati di comprensione della realtà e quindi di opportunità diverse di successo personale e sociale. 



Frequentare la stessa scuola e la stessa classe non era sufficiente perché tutto cambiasse. È stato necessario comprendere che la voluta socializzazione si doveva coniugare con la personalizzazione dell’insegnamento, con un’attenzione al singolo per garantire il rispetto di ogni ragazzo e di ogni contesto.

Allora, come adesso, è stato poi evidente il necessario coinvolgimento di ogni singolo docente perché si realizzasse l’opportunità di promuovere l’uomo e il cittadino.

La Lettera a una professoressa della Scuola di Barbiana, il desiderio di novità del ’68 sono stati conferma, per la mia generazione, del fatto che entrare nelle classi della nuova scuola richiedeva non tanto la ripetizione dei modelli professorali cui eravamo abituati, ma l’invenzione e la creatività di strumenti didattici, veri per noi e corrispondenti alle nuove esigenze personali e sociali di quella numerosa generazione che frequentava la scuola media unica. 

Oggi la socializzazione è un’esigenza sempre molto presente nella formazione, anche se spesso la si cita e la si pensa come necessaria soprattutto per i ragazzi più difficili e più fragili, individuati fra i diversamente abili o fra i portatori del disagio dovuto ai bisogni speciali di apprendimento o ai bisogni particolari di comportamento. Troppo spesso, infatti, ci si accontenta per loro di una frequenza scolastica finalizzata a garantire soltanto una piccola socialità, invece di cercare e mettere in campo ogni occasione capace di  promuovere le opportunità di formazione e di sviluppo di ogni persona. 

Oggi come allora, l’accoglienza dei bisogni educativi di ciascun allievo necessita di adulti capaci di offrire ipotesi di cultura e conoscenza della realtà che favoriscano la costruzione di un progetto personale di presenza nel mondo e la ricerca di un senso per la vita.  

L’idea che la media sia inadeguata e in crisi è ampiamente condivisa da docenti e genitori. È difficile infatti garantirvi apprezzabili e diffusi livelli di apprendimento e adeguate modalità di comportamento.

Troppo diverse sono le esigenze di ragazzi che, in tre anni, passano dalla semplicità e unitarietà del mondo infantile alla complessità e drammaticità di quello adolescenziale. Nei primi due anni regge ancora la dimensione elementare della conoscenza e una visione unitaria della realtà, ma al terzo anno esplode, con l’età, un’esigenza vigorosa di protagonismo e di essere e fare in proprio, senza le mediazioni degli adulti, dentro la complessità del vasto mondo.

Diviene difficile così la convivenza dentro la scuola e questo spinge qualcuno a ipotizzare che sia necessario un ripensamento del modello. Qualcuno pensa che possa essere una soluzione collegare maggiormente la terza classe al biennio della scuola superiore, anch’esso sottoposto all’obbligo scolastico. Ciò sposterebbe in avanti anche la scelta degli studi successivi, oppure anticiperebbe la scelta di un anno, in seconda.

Certamente ciò chiama in causa l’orientamento, come dimensione fondamentale per aiutare i preadolescenti a scoprire se stessi e le proprie attitudini. Un orientamento fatto non tanto da attività aggiuntive e da specialisti, ma da un’offerta formativa che sappia contemperare le conoscenze teoriche nelle discipline di base con le abilità pratiche e laboratoriali, possibili attraverso le Educazioni. Perché ciò accada è necessario chiamare in causa i docenti, cui è richiesto di lavorare in comune, nella scuola e nella classe, per definire percorsi equilibrati e tenuti sotto controllo, e cui è richiesto di aggiornare e approfondire la propria professionalità attraverso la formazione e l’esperienza.

Gli allievi infatti hanno bisogno di insegnanti che abbiano consapevolezza del loro ruolo e degli strumenti didattici adatti a ragazzi preadolescenti segnati dalla trasformazione di sé e del mondo. 

Questo permette di guardare ad ognuno non come a chi è definito dall’essere parte di un insieme indiscriminato caratterizzato dall’età, ma come a persone in crescita che hanno particolari caratteristiche, doti, attitudini da scoprire e potenziare, anche dentro la scuola.

L’attenzione al singolo allievo, la ricerca di percorsi personalizzati richiede un grande lavoro ai docenti, ma è la condizione per favorire la promozione di ciascuno dentro una convivenza sociale che porti prospettive di sviluppo civile e umano.

La nostra scuola media ha un compito importante e utile. Chiedersi come renderla migliore è un’opportunità per la nostra riflessione e per il nostro tempo.

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