Sembra che le scuole dei Länder della ex Ddr (Deutsche Demokratische Republik) producano buoni risultati e siano migliori di quelle dei Länder occidentali. Alcuni non se ne meravigliano: vi colgono un lascito positivo del socialismo reale. Oltrecortina, dal secondo dopoguerra fino al termine degli anni ottanta, vigeva un sistema che in Occidente era molto stimato da buona parte dell‘intelligencija accademica, come pure da ampi settori (forse maggioritari) delle istituzioni scolastiche statali. Oggi dobbiamo concludere che avevano ragione: sono passati più che vent’anni e le tradizioni sovietiche di ordine, serietà e impegno klassenbewusst (“animato dalla coscienza di classe”) ancora influiscono in modo benefico nei “cinque nuovi Länder” che formavano la Ddr e decisero nel 1990 di entrare a far parte della Bundesrepublik



Peraltro, l’effetto si avverte tuttora anche negli altri paesi che parteciparono a tale grandioso esperimento. Ancora oggi, dalla Mitteleuropa e dai Balcani giungono in Occidente giovani capaci di leggere, scrivere, ma soprattutto fare di conto. Saranno poco creativi e ignari o diffidenti del costruttivismo socio-psico-pedagogico, ma è certo che sono capaci di costruirsi una bella carriera e, spesso, un’ingente fortuna.



Merito del socialismo reale o della metodologia didattica mitteleuropea, in parte ripresa sotto il potere sovietico? L’abitudine mentale all’ordine e alla precisione era la cifra della Mitteleuropa nella fase epigonica (nemeckaja akkuratnost’, “precisione tedesca”, è un’espressione russa che molto rivela dell’ammirazione per la Germania). Tale abitudine disciplinò la passione per lo studio di matematica e scienze naturali, digerite e applicate alla realtà empirica. 

Sotto il potere sovietico, la dedizione ai saperi tecnici era anche una via per sottrarsi all’occhio indagatore del regime. Generazioni di insegnanti nei paesi socialisti furono allevate e allenate secondo criteri antichi, ma sempre attuali, perché adeguati a suscitare l’interesse degli allievi. Nell’attività didattica si univa teoria e pratica. La spiegazione era poi verificata nell’esperimento guidato in classe. Non restava molto all’immaginazione: quella era la realtà, quello si doveva imparare. Non bastava aver occhieggiato o leggiucchiato: bisognava proprio sapere e saper ripetere, per filo e per segno.



Oltrecortina le materie si dovevano assimilare così come venivano presentate dall’insegnante: prima di consentire la “creatività”, si esigeva l’apprendimento del sapere entro schemi tradizionali. A dire il vero, avveniva così ovunque, fino a qualche decennio fa. Nei paesi del socialismo reale, tale impostazione era ribadita e rafforzata da esigenze ideologiche: ciò che a scuola si insegnava era la realtà “oggettiva” e ogni “soggettivismo” era bandito come manifestazione di una mentalità borghese ritenuta pericolosa. 

Tali metodi, oggi, sono ritenuti inadeguati dagli ideologi della nuova scuola EU-ropea. Ora, però, giungono dati strabilianti dalla Germania. Numerosi commenti precisi e “akkurati” sono pubblicati dal quotidiano più documentato e autorevole del mondo civile (cioè la Frankfurter Allgemeine): gli scolari tedeschi riescono meglio in matematica e scienze quando hanno insegnanti formati sotto la Ddr. Costoro diffondono una sapere non problematico, che non richiede elaborazione autonoma, ma è semplicemente da assimilare e da verificare nell’esperienza pratica: una manna, per chi si appassiona a imparare e a ripetere ciò che ha appreso. Può darsi che tale approccio semplifichi e riduca la complessità del mondo. Ma funziona e pare che i tedeschi, gente pratica che ammira il sapere tecnico, non se ne vogliano privare.

Il metodo va bene anche perché gli insegnanti appassionati trasmettono agli allievi l’entusiasmo di imparare. Ma questo entusiasmo non si coltiva facilmente, quando la società intorno è distratta, abulica e incapace di educare all’ordine. In Italia non funzionerebbe, insomma. Ah, se avesse vinto Togliatti, quel 18 aprile 1948! Ai bei tempi di Walter Ulbricht e poi di Erich Honecker, il sistema della Ddr forgiava allievi umili e docili e l’autorità dell’insegnante era indiscussa. Si filava dritto, tanto più che gli allievi ribelli erano segnalati da qualche docente a chi di dovere. L’apparato interveniva e l’autorità era ribadita. Vi era un timore diffuso di essere denunciati da qualcuno, per qualche cosa che avrebbe comportato qualche condanna. Non solo studenti correvano rischi: anche docenti temevano delazioni di studenti o di compagni dell’amministrazione. Per farla breve: l’autorità scolastica era tenuta in gran conto. Con la forza si mantenne vivo il rispetto verso chi aveva il bastone del comando. 

A caratterizzare i paesi oltrecortina rispetto all’Occidente fu anche l’assenza del “sessantotto” che avrebbe voluto distinguere autorità da autorevolezza, ma riuscì soprattutto a demolire il principio di autorità e il principio del terzo escluso. La disciplina e la razionalità concessero qualche spazio allo spontaneismo e alle pulsioni contestatrici della famiglia e delle istituzioni. Nei paesi del socialismo reale ci furono tentativi di rivolta, ma tale ribellione era lontana dai criteri salottieri dell’intelligencija occidentale, sempre hântée di essere à la page: fu la ribellione di Jan Palach e dei molti suoi emuli, che rivendicavano i diritti fondamentali della persona, opponendosi al potere sovietico. 

Le gesta di questi pericolosi sovversivi furono “silenziate”, così togliendo anche dall’imbarazzo i sostenitori in Occidente delle “democrazie popolari”. Fu allora chiaro che nella Mitteleuropa i partiti comunisti avevano perduto le anime. In compenso, la disaffezione degli insegnanti “tecnici” verso le ideologie ha conservato una scuola di sapore antico e sempre nuovo.