Lunedì 30 settembre presso la sala Biagi di Regione Lombardia l’associazione di insegnanti Diesse ha tenuto un convegno intitolato: “Dalla Lim al tablet fino all’adozione nella scuola di un Learning Management System (Lms). La scuola si interroga sui nuovi scenari tecnologici, legislativi e didattici dell’era 2.0”.
Sono state presentate sei esperienze sul campo da parte di docenti-formatori che stanno sperimentando innovative modalità didattiche e comunicative nelle loro scuole, mentre Gianluigi Zanolli della Scuola superiore di informatica di gestione e di economia aziendale, Bellinzona (CH) è intervenuto in chiave didattica, Pietro Crivellente, del Liceo artistico Sacro Cuore di Milano, ha offerto un contributo di tipo pedagogico e Mariella Ferrante, presidente di Diesse Lombardia, ha delineato il quadro culturale e formativo entro cui si collocano azioni e riflessioni.
Sono infine intervenuti l’assessore regionale Istruzione, formazione e lavoro Valentina Aprea e il direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale, Francesco De Sanctis.
Aprea ha ricordato, tra l’altro, il progetto Generazione Web Lombardia che nel 2012/2013 ha coinvolto 331 istituzioni scolastiche e oltre 32mila studenti. Regione Lombardia ha deciso di proseguire in questa direzione finanziando con 8,4 milioni di euro una seconda edizione del progetto per l’anno scolastico 2013/2014. Inoltre, per favorire questo percorso di innovazione, ha stanziato 700 mila euro a favore della formazione del personale docente coinvolto in Generazione Web.
Il convegno è stata l’occasione per presentare pubblicamente un percorso che non inizia oggi. Infatti, per sostenere e accompagnare i propri associati nel compito di affrontare le sfide delle nuove tecnologie, lo scorso anno Diesse ha dato vita ad una digital task force composta da alcuni insegnanti di diversi gradi e ordini di scuole, valorizzando, attraverso un lavoro comune, le esperienze già in atto per loro iniziativa, aiutandoli a raggiungere una più matura consapevolezza di ciò che il passaggio ad un uso sistematico di strumenti informatici comporta.
Non si è sperimentato un modello, ma si è partiti da esperienze già in atto, spostando inoltre l’accento dal “confronto sugli esiti” all’esigenza, dei docenti prima di tutto, di confrontarsi sui percorsi, sulle loro motivazioni e sulle loro finalità. Ciò che emerge da questo lavoro non è innanzitutto una specifica azione didattica da raccomandare, ma una direzione in grado di misurare e di orientare le nostre azioni didattiche.
L’equipe dei formatori della digital task force di Diesse potrà accompagnare le scuole in cerca di un’aggiornamento professionale che tenga insieme tecnica e didattica, strumenti e progettazione, istruzione e dinamiche educative.
Le nuove tecnologie, infatti, stanno ormai attraversando la scuola italiana, scuotendola e interrogandola forse più profondamente di quanto appaia.
Prima abbiamo visto i personal computer, poi Internet, poi le lavagne elettroniche (Lim) e ora progetti e bandi come il recente Generazione Web Lombardia e i tablet. Non è stato facile per la scuola, e non lo è tuttora, assorbire e stabilizzare una tecnologia che si è evoluta con tanta rapidità.
Prima incerto e scettico (quando non ostile), ora una parte del mondo scolastico vive il fenomeno con un’entusiastica adesione. Sulla rete − basta scorrere tanti siti e filmati su Youtube − si trovano numerosi richiami alla “scuola digitale”, autentica rivoluzione del sapere e delle metodologie passate e rimedio di tutti i mali. Non mancano, in contrapposizione, le posiziono scettiche, che vogliono preservare l’insegnamento autentico, e quindi la scuola, da questa acritica deriva digitale.
È presto per trarre conclusioni sugli esiti di questa progressiva digitalizzazione delle scuole, che è appena agli inizi.
Perché la rivoluzione tecnologica a cui si ispira non è un’invenzione scolastica, ma un fenomeno squisitamente extrascolastico, di vastissima portata, che da tre decenni sta cambiando radicalmente, in tutto il mondo, le modalità di elaborazione, di selezione, di conservazione e di condivisione delle informazioni e dei saperi.
Le conseguenze, anche quelle sulla scuola, per ora si possono prevedere solo in parte, ma in ogni caso con un tale mutamento la scuola, al di là di acritiche sottomissioni e di nobili rifiuti, non può non fare i conti, e qui sta forse il punto più debole della posizione scettica nei confronti dei vari aspetti della “scuola digitale”.
Uno dei punti più interessanti è che, forse in modo nuovo, attraverso questa rivoluzione stanno riemergendo, a scuola, problemi in realtà antichi e importanti, che vanno affrontati e non tralasciati, come più di una volta capita di fare.
La “pioggia di hardware” (vedi tablet), assieme alla connettività “a banda larga” che stanno interessando tante classi, se da una parte non trasformano affatto la scuola italiana nella famosa “scuola digitale”, dall’altra fa emergere potentemente, negli allievi e nei docenti interrogativi, risorse e domande preziose per tutta la scuola.
La relazione tra strumenti e fini, e il loro inserimento in una progettualità complessiva, sostanziale e lungimirante, non semplicemente amministrativa o ridotta al necessario per i vari “bandi e progetti”, si sta riproponendo, almeno come problema, da più parti, con esiti interessanti.
Così come il valore non “neutro” degli strumenti scelti (imposti?), che, anche senza scomodare McLuhan, incidono nettamente sul tipo di contenuti e sulla loro pertinenza. Nello strumento tecnologico informatico esiste infatti una polarità di flessibilità e di rigidità che va compresa e affrontata, per capire meglio i suoi vantaggi, indubbiamente interessanti, ma anche i limiti che inevitabilmente porterà con sé.
Ancora: sta riemergendo con forza il problema dei libri di testo, tra “libri misti” (e praticamente ingestibili), app miracolose e ebook più o meno legati al mondo Apple, anche se un po’ ingessato dall’obbligatorietà dell’adozione, che tra l’altro deve prescindere da tutti i comuni libri che si trovano nelle librerie. E modalità nuove e interessanti stanno nascendo in molte scuole.
Infine, il lessico (e più di una prassi) del costruttivismo pedagogico, ormai pervasivo nei convegni e nelle discussioni intrascolastiche, trova in questa rivoluzione tecnologica un’ulteriore spinta propulsiva − anche in chi precedentemente era orientato diversamente, e al riguardo occorrerebbe domandarsi il perché −, ma anche il luogo in cui emergono, insieme ai suoi pregi, i suoi limiti e la necessità di “guardare oltre”, per ripensare nuovamente i soggetti in causa nel processo di insegnamento/apprendimento e il loro agire sempre dentro un determinato contesto socioculturale.
Tutte sfide che già oggi attendono e interrogano i docenti e i dirigenti scolastici.
La relazione col contesto, con il territorio, con le sfide che il mondo porta con sé, sono per la scuola italiana un banco di prova decisivo.
Le nuove tecnologie possono essere una grande occasione per un rilancio della professionalità docente, per il rilancio di dimensioni come quella della partecipazione attiva degli studenti, della comunicazione, dell’accessibilità degli strumenti di apprendimento, per interrogarsi sui problemi che tornano a riproporsi a livello didattico, di organizzazione scolastica, e di accountability, attraverso la nuova luce portata da questa straordinaria rivoluzione.
I prossimi anni ci diranno se e quanto la nostra scuola abbia davvero accettato la sfida.