“È stata una cosa un po’ rischiosa – risponde -. Dovevo fare in modo che i miei alunni studiassero El Cid. Ma ai ragazzi non piaceva. Chiedevano di leggere García Lorca. Allora ho deciso che avrebbero studiato El Cid a casa, e durante le lezioni io avrei trattato gli autori che piacevano di più ai ragazzi. Ovviamente i giovani volevano leggere le opere letterarie più ‘piccanti’, contemporanee come La casada infiel, o classiche come La Celestina di Fernando de Rojas. Ma leggendo queste cose che li attiravano sul momento, prendevano gusto più in generale alla letteratura, alla poesia, e passavano ad altri autori. E per me è stata una grande esperienza.
Ho completato il programma, ma in maniera destrutturata, cioè non ordinata secondo ciò che era previsto, ma secondo un ordine che veniva naturale nella lettura degli autori. E questa modalità mi corrispondeva molto: non amavo fare una programmazione rigida,ma semmai sapere dove arrivare più o meno.
Allora ho cominciato anche a farli scrivere. Alla fine ho deciso di far leggere a Borges due racconti scritti dai miei ragazzi. Conoscevo la sua segretaria, che era stata la mia professoressa di pianoforte. A Borges piacquero moltissimo. E allora lui propose di scrivere l’introduzione a una raccolta” (Dall’intervista rilasciata da Papa Francesco a “Civiltà Cattolica”).
Sottile disagio. Non sono per niente sicura che il primo sentimento in me suscitato dal fresco racconto del Papa sia in linea con il suo ripetuto invito a guardare avanti, a non ripiegarsi sul passato: è nostalgia. Nostalgia della scuola che ho avuto la fortuna di frequentare, di quella che ho anche cercato di fare, tanti anni fa. Certamente ho letto di più i libri che mi prestavano i compagni, che gli insegnanti citavano di sfuggita, di cui reperivo il titolo in calce ai passi antologici non proposti in classe di quanto abbia studiato i testi canonici del programma. Solo raramente il titolo del tema di argomento letterario mi entusiasmava, preferivo di gran lunga sviluppare uno spunto più libero, più personale, più attuale. Lì mi sentivo viva, creativa, originale, e naturalmente proprio lì rifluiva, uscendo da una sorta di penombra, tutto quello che i “programmi” mi avevano fatto arrivare. Poi ho letto anche molti libri solo perché piacevano ai miei allievi, o ai miei figli; una specie di patto: io accolgo cortesemente la tua proposta, tu accogli la mia.
E tutto ciò non è molto programmabile, tutto ciò è libertà.
Naturalmente ancor meno è progettabile, comprimibile in una scheda-progetto da far approvare all’inizio dell’anno. La libertà in questo caso non è, come piace oggi ripetere a proposito di quella d’insegnamento, libertà dell’insegnante “progettista”: qui c’è la libertà delle persone, la libertà dell’adulto che rispetta e mobilita quella dei ragazzi, che accetta di cambiare in corsa, che “rischia”. “È stata una cosa un po’ rischiosa“: sono queste le prime parole del papa.
Dunque, riflettiamo: quali vincoli aveva il professor Bergoglio? Quello di svolgere un programma di massima (sapere dove arrivare più o meno). E basta.
Penso all’oggi: dichiarare il programma in dettaglio, dichiararne la scansione in periodi, assegnare compiti secondo i modelli previsti all’esame di Stato, valutare secondo griglie comuni a tutto l’istituto, stabilire i livelli minimi di apprendimento in conoscenze e competenze, stabilire i contenuti minimi per il saldo dei debiti, assegnare prove che consentano di valutare con precisione il possesso di tali contenuti; tutto questo in documenti elaborati dalle singole scuole autonome che, nella loro autonomia, vincolano e normano anche il respiro, così che si possa sempre dimostrare che si è fatto ciò che si è dichiarato, secondo la filosofia della qualità, e che si è dunque inattaccabili. Perché poi è questo che conta, essere inattaccabili. Che cosa si diceva a proposito del rischio?
Se confrontati con la mole di moduli, documenti, scale di misura e regolamenti di una scuola autonoma media, i programmi ministeriali della vecchia scuola centralistica appaiono un giogo ben leggero!
Tanto più che ormai le eccezioni, gli scarti rispetto ai contenuti ordinari, gli extra sono ben più normati e cogenti delle bonarie indicazioni ministeriali. Delle quali, del resto, ci si premura di chiarire che sono solo indicazioni, da prendere con flessibilità. Mentre i liberi progetti della scuola autonoma, dal monte ore rigidamente stabilito, una volta introdotti chi li muove più? Sono essi il nuovo canone, ve ne siete accorti? Anche perché di rado vengono creati all’interno di un istituto, trattandosi per lo più di prodotti preconfezionati, da enti o esperti esterni che li propongono identici anno dopo anno, scuola dopo scuola. L’unica cosa intangibile, o di fatto intatta, è la parte mobile del piano dell’offerta formativa.
Ma torniamo al rischio di cui parla il Papa. Che cosa permette di affrontarlo? Che cosa rende sopportabile e ragionevole lo scarto rispetto alla norma, anzi il libero gioco con la norma stessa? La sua esistenza, appunto. Tanto più liberamente può sbrigliarsi in un tripudio di forellini la fantasia della ricamatrice quanto più solida è la trama della tela su cui lavora. Ma si potrebbe cominciare dal ricamo, nel vuoto?
Questo non significa che non ci possa permettere nulla fino a quando detta trama non sia divenuta possesso sicuro dello studente: è piuttosto una questione di sfondo.
Alcuni elementi di questo sfondo? Il primo, banalissimo, è il libro di testo. Anche lo studente più svogliato, se in classe deve maneggiare un manuale, non può non accorgersi che c’è un ordine (assimilandolo, anche, in qualche misura) e sa benissimo quando questo ordine viene seguito e quando no: è così che il “quando no” diviene significativo. Ma gli allievi delle classi digitali?
Nella loro percezione non c’è alcun ordine da cui i vari elementi possono essere estratti, presi o tralasciati secondo criteri diversi: ci sono solo ricami senza tela intorno. Che significato liberatorio può avere giocare con un ordine che non esiste? Che senso della scelta può maturare là dove si ignora anche l’esistenza di ciò che è stato scartato?
Un altro elemento dello sfondo? Si è originali rispetto ad un assetto culturale condiviso, si sceglie di essere liberi rispetto a qualcosa di vincolante. È ancora così nella scuola di oggi? Anzi, per essere precisi, è ancora così per un insegnante di materie umanistiche? O i timidi conati con cui cerchiamo di difendere l’obbligatorietà di certi contenuti sono destinati ad apparire ridicoli, patetici, attardati o, peggio ancora, fisime da gente viziata, poste di traverso a bloccare la marcia della scuola delle competenze e dei progetti?
In sede di bilancio, sia pure del tutto empirico, si può dire che gli ultimi due decenni abbiano visto decrescere gradualmente gli spazi per fare scuola nel modo raccontato dal papa: meno ore curricolari, più ore sottratte all’insegnante e consegnate al Pof, classi molto più numerose, determinazione esterna degli strumenti. Tuttavia, la prospettiva sottesa appare ancor più necessaria, moralmente obbligante: si tratta di affermare che non esiste scuola al di fuori del libero gioco delle libertà, di affermarlo nella spessa coltre nebbiosa di burocrazia, organizzazione, medicalizzazione che pesa sempre più greve sui ragazzi (ricordiamoci di Vaclav Havel, delle sue profetiche parole sull’universo sovietico come “futuro” dell’occidente!); si tratta di difendere la centralità, necessaria all’umano, dell’esperienza estetica (Bergoglio usa quattro volte, in poche righe, i termini “piacere”, “prender gusto”: provate a tradurre tutto nella pseudolingua delle competenze!), di difenderne la dignità culturale in generale e di difendere le materie di cui costituisce il contenuto specifico.
E poi, le cose succedono. “Prof, c’è un mio amico che dice che nulla ha senso, che siamo nati solo per morire e allora tanto vale buttarsi via… Mi consigli un libro da fargli leggere, per vedere se ci ripensa”. Oh no, aiuto, è trioppo difficile, sbaglierò di sicuro… Ma che cosa ha innescato la sequenza di pensieri che ha condotto a una simile richiesta? Che si era letto in classe fino a pochi minuti prima? Foscolo, Dei sepolcri.