Per anni la scuola italiana è stata oggetto di accese battaglie che non le hanno fatto bene. Per anni sulla scuola italiana ci si è divisi su tutto, nella logica distruttiva dei guelfi contro ghibellini che ha bloccato ogni processo di innovazione. Non a caso c’è sempre molta prudenza, da questa o quella parte, nell’incidere sulla scuola con riforme innovative e lungimiranti.
Il Governo Letta col decreto “L’istruzione riparte”, infatti, in procinto di conversione, introduce una nuova attenzione ai temi scolastici, anche se parzialmente condizionata dalla preoccupazione di soddisfare una serie di richieste (molte delle quali ovviamente legittime) che hanno come scopo l’occupazione dei “precari” della scuola.
Ma accanto a questo vi sono una serie di risposte concrete alle esigenze del “Welfare” studentesco e una significativa inversione di tendenza rispetto alla strada che negli ultimi anni ha portato ad un profondo depauperamento dei finanziamenti al diritto allo studio.
Solo restando sui temi principali, il decreto prevede più fondi per il diritto allo studio (100 milioni di euro), il potenziamento dei servizi di “welfare” per lo studente e un nuovo piano triennale di assunzioni a tempo indeterminato di docenti e operatori Ata. C’erano dunque questioni urgenti che andavano subito risolte. Ma c’era soprattutto da creare le basi per ridisegnare un sistema educativo finora poco competitivo, su cui è necessario avviare un processo di ottimizzazione delle risorse e di ridefinizione delle priorità.
Occorre però riflettere su un dato. In tutti i paesi più avanzati la scuola è un potente ascensore sociale quando la sua qualità è elevata. Se si investe insomma sulla qualità della scuola, il risultato è la riduzione delle disuguaglianze. Se invece ci si accontenta di una scuola priva di elevata qualità e si cerca di “sistemare” tutti quelli che in qualche modo nel corso degli anni hanno acquisito il diritto ad avere un lavoro stabile, paradossalmente si rischia di riprodurre diseguaglianze sociali.
Quali sono le priorità della scuola italiana oggi? È questa la domanda che il decreto ci dà l’opportunità di sviluppare. Un’occasione di riflessione e di dialogo che l’Italia non può lasciarsi sfuggire.
I migliori paesi europei ci dicono che per guardare avanti la scuola deve puntare alla crescita occupazionale dei giovani. L’intero sistema di istruzione, dalla scuola primaria ai dottorati, deve riuscire a sviluppare nei giovani competenze e spirito di innovazione per far ripartire l’economia del Paese.
Quando il 14 marzo del 2003, l’allora cancelliere Schroeder presentò al Bundestag il suo piano di riforme, insistette moltissimo sul collegamento tra istruzione e lavoro in quella che è passata alla storia come “Agenda 2010”.
La Germania dell’epoca non era certo la locomotiva d’Europa come è oggi e, anzi, lo sforzo economico per la riunificazione aveva creato nel paese un profondo senso di sfiducia per il futuro. Ma sul rapporto scuola-lavoro avevano le idee chiare, grazie anche al loro tradizionale modello duale e ad una già articolata legislazione sull’apprendistato che faceva di quest’ultimo non un semplice contratto di lavoro bensì un effettivo segmento del percorso formativo.
Agenda 2010 rappresentò l’inizio della ripresa tedesca, con gli effetti che abbiamo tutti davanti. Oggi in Germania la disoccupazione giovanile viaggia sul 7%, mentre in Italia ha superato la quota psicologica del 40%. È vero: molti dei nostri giovani tra i 15 e i 24 anni sono ancora impegnati negli studi (a proposito, siamo il Paese d’Europa in cui i giovani più si intrattengono nello studio) ma è anche vero che in Italia solo il 3% dei giovani tra 15 e 24 anni studia e lavora. Mentre in Germania almeno un giovane su due impara anche un mestiere.
È evidente che una svolta culturale per la nostra scuola è necessaria. Oggi se un giovane sbaglia scelta, in particolare per la scuola secondaria o per l’università, rischia di studiare per anni in un percorso che lo porta direttamente alla disoccupazione. È una questione molto delicata che, non a caso, il decreto affronta finanziando con 6,6 milioni di euro l’orientamento scolastico.
L’orientamento scolastico è un tema su cui bisognerà tuttavia tornare, anche perché nel decreto da una parte si finanzia l’orientamento, ed è un bene, ma dall’altra non si prevedono sostanziali interventi di promozione dell’istruzione tecnica e dell’istruzione professionale che sono i canali fondamentali per far ripartire la nostra economia e per dare ai giovani l’opportunità di entrare prima nel mondo del lavoro. Così come assenti sono interventi migliorativi di Its e Poli tecnico-professionali che invece si stanno dimostrando molto funzionali in tanti territori di tutto il Paese.
Manca completamente nel decreto, ma voci di corridoio fanno immaginare che sarà presente negli emendamenti che saranno presentati in forma bi-partisan, il tema dell’apprendistato e della formazione professionale. Apprendistato nella scuola secondaria e apprendistato nel triennio dell’università. Sono queste alcune scelte che il legislatore potrebbe adottare per completare il decreto e renderlo davvero rispondente alle esigenze dell’occupazione dei giovani.
C’è dunque ancora molto da fare per migliorare la scuola italiana, ma il primo passo compiuto sembra andare nella buona direzione.