Caro direttore,
vengo subito al merito di questa nota: il cosiddetto liceo breve – ridotto a soli quattro anni – avviato in versione sperimentale in alcune scuole lombarde. Alcuni ne sono sicuramente entusiasti, altri perplessi, altri ancora decisamente contrari. È in atto il confronto.
Pur senza necessariamente scegliere, né schierarsi pro o contro una o l’altra delle opzioni indicate, può essere utile individuare e proporre alcuni aspetti peculiari e sicuramente rilevanti della “sperimentazione” avviata; aspetti che potrebbero essere condivisi da tutti a prescindere dell’orientamento e del giudizio di ognuno, facilitando così il confronto fra le posizioni. Vediamo.
1. Il primo aspetto è sicuramente la sperimentazione. Cosa si intende per sperimentazione? E l’iniziativa avviata con l’approvazione del ministro attuale Carrozza e – pare – anche dei due precedenti Gelmini e Profumo può chiamarsi sperimentazione? Oppure la sperimentazione è solo nominale, di facciata, di copertura e la realtà è un’altra, diversa e più semplice? – cioè l’esito sicuramente positivo della sperimentazione è già scontato, tanto che forse non sarà necessario nemmeno verificarlo?
Una sperimentazione è una procedura nuova, proposta, progettata e poi attuata rispetto a delle scelte, a delle ipotesi, a degli obiettivi individuati ed esplicitati. La sperimentazione ha un suo svolgimento nel tempo che va monitorato mediante significativi indicatori e parametri numerici e quantificabili, in base ai quali eventualmente può essere, la sperimentazione stessa, modificata in corso d’opera. Gli stessi indicatori e parametri alla fine testimonieranno il successo o l’insuccesso della nuova procedura.
Se si tratta di una sperimentazione con tutti i requisiti richiesti, Miur e istituti coinvolti devono comunicarlo e informare in dettaglio. La tanto lodata trasparenza!
2. Il secondo aspetto è costituto dal Cnpi, e dal suo parere obbligatorio che serve al Miur per autorizzare le sperimentazioni. L’allora ministro Profumo non ha provveduto – benché richiesto – a prorogare il Cnpi e il Cnam e non per dimenticanza ma per scelta.
Pertanto l’autorizzazione alla sperimentazione concessa ai tre istituti paritari privati lombardi risulta illegittima (vedere in particolare: D.lgs. 297/94 – art. 25; D.P.R. 275/99 – art.11; D.lgs. 233/99 ancora privo di atti applicativi; sentenza del Tar Lazio n. 4375 del 15/10/2013). Prima o poi la questione si porrà e allora forse – supportata magari da manifestazioni e proteste di genitori e alunni interessati – sarà necessaria una opportuna sanatoria retroattiva.
3. Il terzo aspetto è costituito dal fatto che la sperimentazione avviene solo nelle scuole private e non in quelle pubbliche. È chiaro che le prime possono sperimentare in condizioni particolari e privilegiate: una specie di serra didattica climatizzata con tutti o molti conforti che le seconde, le scuole pubbliche, non hanno e non osano nemmeno sognare.
Una delle scuole interessate pubblicizza sul suo sito: “Tutte le classi sono luminose, pulite e dotate di ogni servizio necessario … Ogni studente dispone di un armadietto personale … ogni aula dispone di: Lim, Proiettore, Connessione in fibra ottica, Altoparlanti, Registro elettronico, Possibilità di trasmettere in streaming video ogni lezione tramite Round Table, Connettività Wi-Fi …”.
Anche il Corriere della Sera aggiunge: “…ci sono classi da venti studenti, metà degli insegnanti madrelingua inglese, lavagne luminose e iPad, anche lezioni in videochat per gli studenti in stage all’estero: l’offerta è ricca, ma è una scuola privata, le famiglie pagano rette da novemila euro all’anno”, e si domanda: “Possibile replicare questo modello nella scuola pubblica?”.
4. Al quarto posto possiamo mettere i pro e i contro, cioè vantaggi e svantaggi, e per chi si verificano.
Se l’iniziativa avrà successo, i vantaggi saranno per i ragazzi che terminano prima gli studi e potranno lavorare e guadagnare in anticipo; le famiglie risparmieranno un anno di rette: “paghi 4 e prendi 5”, se però le rette stesse non aumenteranno. Le scuole private ne guadagneranno in immagine e in competitività rispetto alle scuole statali.
Sicuramente il Miur, estendendo la riduzione di un anno alle statali, conta di recuperare qualcosa come un miliardo e mezzo di euro l’anno, somma che corrisponde al taglio di circa 40mila cattedre. Il Miur nega ma lo fa solo per pudore o per vergogna e non è credibile.
Ma gli svantaggi potrebbero esserci anche per quegli studenti che, non riuscendo a reggere il maggior carico di lavoro, risulteranno bocciati o addirittura nella condizione di abbandono scolastico. E ciò soprattutto nelle statali, nelle quali già adesso un 20-25% di giovani per giungere al diploma ha bisogno di un anno in più; infatti circa 100mila giovani si diplomano non a 19 ma 20 o più anni d’età.
Sicuramente tutti i frequentanti il liceo breve (o liceo … “quattrino”) dovranno sopportare percorsi più gravosi e rinunciare ad altre attività. Il direttore di una delle scuole interessate precisa che nel primo biennio le ore settimanali di lezione saranno 34 invece delle 27 del liceo tradizionale, mentre nel secondo biennio saranno 35 ore invece di 30. L’aggravio di orario mattutino, che è del 20-25%, si ripercuote doppiamente sulle ore disponibili per lo studio individuale. Bisognerà studiare di più avendo meno tempo disponibile. Chissà se e come questo aspetto è stato preventivato nel progetto di sperimentazione? Infine, ricordiamo che, solo qualche anno fa, Gelmini procedeva in direzione opposta, puntava alla “razionalizzazione della spesa” proprio riducendo le ore di lezione e sopprimendo le sperimentazioni. La scuola è una fisarmonica?
5. Quinto e ultimo aspetto è l’emulazione dell’Europa che viene invocata strumentalmente − in mancanza di altri argomenti e quando fa comodo − e calata nella discussione quasi fosse l’asso di briscola. Più che una furbizia, questa invocazione sta diventando un vizio perché l’emulazione risulta sempre generica e selettiva: si sceglie solo l’aspetto che conviene occasionalmente in quel momento, si prescinde dagli altri, né si considerano gli altri parametri del contesto, viene costantemente sottaciuto il confronto fra la percentuale di Pil destinato alla scuola dall’Italia rispetto alle medie Ue o Ocse (nel 2011: 4,2% a fronte di una media del 5,3%).
Nel caso specifico in questione: “Terminano tutti i tipi di scuola a 19 anni in Bulgaria, Danimarca, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovenia, Slovacchia, Finlandia e Svezia, in Germania il liceo e alcuni professionali, in Scozia solo questi ultimi. Nella Repubblica Ceca, in Lussemburgo e Romania la maggior parte delle scuole arriva a 19 anni”.