Dopo la convention di Bologna del 12-13 ottobre scorsi, con la conferenza del professore Massimo Borghesi dal titolo: Cuore e ragione: il razionalismo tra Cartesio e Pascal, è ripreso, sotto il coordinamento di Marco Ferrari, il consueto percorso di approfondimento critico dell’insegnamento proprio della Bottega di Filosofia. Un’esperienza, la bottega, che nasce dall’amicizia tra insegnanti liceali associati a Diesse, che ha come scopo l’educazione alla comprensione critica e sistematica della propria esperienza e che quest’anno ha come tema il razionalismo moderno. 



Già Giorgio Israel nei giorni della convention, con la lezione dal titolo Filosofia e matematica alle origini della modernità, aveva magistralmente evidenziato quella che è la cifra del razionalismo moderno meccanicista ed empirista: l’essere cioè connotato sin da principio da una tensione spirituale tutta interna alle grandi religioni monoteiste. Ed è su questo filo rosso che è proseguita l’analisi assai lucida e rigorosa di Massimo Borghesi, il quale, analizzando il rapporto tra Cartesio e Pascal, ha tentato sulla scia di Del Noce di decostruire il canone idealista di un razionalismo sostanzialmente agnostico o ateo quale sbocco unico della modernità. In questo senso, decisivo è il nodo Cartesio, comunemente interpretato come il padre del paradigma logico-matematico proprio della modernità. Da questo punto di vista, Pascal sarebbe l’anti-Cartesio, ovvero la reazione della fede contro la natura, del cuore contro la ragione, dell’esperienza contro il pensiero: insomma un Pascal antimoderno che si contrappone a Cartesio espressione della modernità.



Contrastando questa visione comunemente accolta sia da parte laica che da buona parte cattolica, Borghesi ha tentato di mostrare la matrice ideologica che accomuna i due pensatori, ovvero quell’agostinismo moderno nel cui alveo all’inizio della modernità si muovevano sia i gesuiti alla Molina che i giansenisti di Port-Royal stretti attorno a Giansenio. È proprio nell’agostinismo moderno che va rintracciata la comune struttura di pensiero di Pascal e di Cartesio. Sia l’uno che l’altro infatti sono accomunati da un rigido dualismo tra natura e grazia, tra il mondo esteriore e il mondo dell’anima, che è il contrassegno tipico del pensiero cristiano moderno. 



Cartesio costituisce così per Borghesi come per Del Noce un caso unico tra le grandi filosofie moderne, essendo propriamente una filosofia che ha certamente un inizio, e perciò è giustamente chiamato il padre della filosofia moderna, senza tuttavia uno sbocco. Da un lato essa esprime l’essenza di una filosofia cristiana, dal momento che riconosce l’esistenza di Dio attraverso l’argomento ontologico, dall’altro nega la datità storica finendo per eliminare ogni valore alla rivelazione storica di Cristo. 

In virtù di questo dualismo, Cartesio non è classificabile in nessun modo, e la sua filosofia resta incompiuta, non nel senso che le manchino dei capitoli, bensì, al contrario, perché non soddisfa in pieno né le esigenze delle filosofie religiose, né quelle gnostiche del razionalismo, né quelle agnostiche dell’empirismo. Ciò che qui importa, secondo Borghesi, è che l’ambiguità cartesiana decostruirebbe proprio quell’interpretazione razionalistica tout-court che tende ad appiattirlo sul versante logico-matematico, il che non può avvenire se non al prezzo di rinnegare la sua metafisica.  

Questa ambiguità nondimeno, rende Cartesio contemporaneamente agostiniano e pelagiano, finendo per offrire il fianco alle critiche di Pascal, il quale alla luce della sua esperienza di conversione accuserà sempre Cartesio di essere “inutile e incerto”. Per Pascal infatti, la risposta al “dubbio” non può trovarsi nel cogito, in quanto il piano naturale è ferito e guastato dal peccato originale. La soluzione si trova perciò infinitamente più in alto del piano naturale e risiede unicamente nel dono sovrannaturale della fede e nei tesori rivelati della grazia. 

Il Dio cristiano è in altre parole per Pascal un Dio nascosto non solo al mondo, come anche per Cartesio che rispondeva al teologo Henry More osservando che Dio non si trovava in nessun luogo, ma alla stessa intuizione del pensiero, alla stessa interiorità propria dal cogito cartesiano. La conoscenza dell’esistenza di Dio per Pascal non può essere come per Cartesio un processo interno alla ragione, quanto piuttosto un avvenimento sensibile al cuore che è innanzitutto dono di Dio. È qui, nella divisione essenziale tra il Dio dei filosofi e il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe che si consuma il distacco tra Pascal e Cartesio. E tuttavia, proprio il pessimismo di Pascal sulla natura irrimediabilmente corrotta dal peccato conferma, ad avviso di Borghesi, la comune impronta agostiniana moderna, che ultimamente finisce per frangersi da una parte, in Cartesio, nella direzione propriamente platonica dell’illuminazione, e dall’altra parte, in Pascal, in quella teologica e antifilosofica della grazia. 

In realtà, sulla radice agostiniana di Cartesio sono state avanzate molte riserve, come, tra le più autorevoli, quella di Cornelio Fabro che lo colloca tra i padri dell’ateismo moderno in virtù della potenza dissolutrice del suo cogito

Il punto centrale in Cartesio in effetti non deve essere cercato nel suo presunto agostinismo, ma andrebbe piuttosto individuato nella direzione nuova che egli imprime alla filosofia, ovvero l’incapacità di comprendere che il pensiero sorge dalla realtà afferrata dai sensi. 

È a partire da essa che un uomo s’interroga, e ciò significa che senza la realtà vista e toccata il pensiero non è che un sogno! A questa radice idealistica del pensiero cartesiano si oppone radicalmente l’esistenzialismo di Pascal, in cui però, come ha ben visto Borghesi, l’esperienza della fede sovrannaturale non è in grado di incidere sulla ragione naturale corrotta dal peccato. 

Tutto il pensiero cristiano moderno sarà segnato da queste due fatture, in attesa di una sintesi nuova che potrà essere trovata solo nell’orizzonte tomista, non agostiniano. Sarà infatti solo con la riabilitazione di san Tommaso, grazie al magistero dei Papi a partire da Leone XIII, che, sul piano filosofico, Jacques Maritain situerà la filosofia nel cuore dell’essere e dell’esistente in unità organica con la rivelazione storica di Cristo. Unitariamente don Giussani, sempre alla luce del realismo tomista, ma questa volta sul versante teologico, comprenderà la stessa fede in termini di avvenimento storico pertinente alle esigenze della vita e in grado perciò di realizzare le attese della ragione naturale. Sarà in questa feconda sintesi tomista (non neotomista) del distinguere per unire che il pensiero cristiano troverà la strada per superare le scissione moderna dell’io tra cuore e ragione, tra Pascal e Cartesio.

(Amedeo Costabile)