Di tanti in tanto si riaffaccia sui giornali la questione dei compiti delle vacanze. Solitamente accade alla vigilia delle ferie estive o, come in questo caso, a ridosso della pausa natalizia. 

Sui compiti delle vacanze da tempo immemorabile si confrontano due scuole di pensiero: i fautori della loro utilità e quanti sono invece convinti che si tratti di un’avvilente corvée. Più brava l’Inter o il Milan? Dipende per chi si fa il tifo. Finora non abbiamo uno straccio di prova che dimostri se sia meglio la prima o la seconda soluzione. Si resta nel campo delle opinioni. 



I sostenitori dei compiti delle vacanze – piuttosto impopolari tra gli studenti e le famiglie – sentenziano che non si possono lasciare gli alunni per troppo tempo senza qualche attività che aiuti a conservare l’esercizio intellettuale, attività da legare strettamente ai programmi scolastici. In nome di questa affermazione (che è difficile da contestare in via di principio) viene scaricata una mole di lavoro che guasta le vacanze a tutti. Un po’ ipocritamente non si dice che quasi sempre questo lavoro non è né corretto né valutato. Si parte con i migliori intenti (sulla carta), ma si finisce al ribasso.



Quanti sono contrari muovono dal presupposto che non si possono scolarizzare anche i giorni di vacanza. Bisogna lasciar riposare la mente, dare spazio alle attività ricreative e socializzanti, evitare di angustiare le famiglie con troppi obblighi, impegni, scadenze. Vivaddio cosa vogliono questi insaziabili professori! 

Peccato che anche in questo caso non si dica che la realtà è molto meno nobile: i ragazzi trascorrono molte ore davanti ai pc, con i videogiochi, avendo come compagno di svago solo la televisione. 

Il ministro Carrozza – che aderisce a questa seconda scuola di pensiero – sabato ha suggerito la variante “lettura di libri e attività culturali”. “Chiedete ai vostri professori (più o meno ha detto così di fronte a molti ragazzi raccolti a Pisa in piazza dei Miracoli)  di non darvi compiti delle vacanze e occupate il vostro tempo leggendo” o, in via subordinata, impegnandovi in altre attività culturali. 



Se Maria Chiara Carrozza ha parlato come mamma e docente si può registrare la sua proposta come tante altre. Se invece ha parlato come ministro, ha lanciato segnale improprio. Il ministro non ha competenza per dire se fare o non fare i compiti delle vacanze o come farli. La decisione spetta ai singoli docenti nell’ambito della loro responsabilità didattica. Sulla base di quale indicatore – se non la sua personale opinione – il ministro può schierarsi contro i compiti delle vacanze? 

Mi sarebbe piaciuto che il ministro avesse semplicemente detto: “Ragazzi non sprecate le vostre giornate: riempitele con lo studio, con la lettura, con qualche attività utile agli altri, non state per tutto il tempo solo davanti al computer”. 

Se si vuole affrontare il tema dei compiti delle vacanze in una prospettiva costruttiva occorre porsi in modo ben diverso, non semplicemente pro o contro. Bisogna considerarlo a partire dalla domanda: in che misura e con quali caratteristiche il compito delle vacanze può servire a “questo” allievo? 

Ci sono ragazzi che, per esempio, non hanno bisogno di compiti delle vacanze. Ci pensano i genitori a stimolarli a leggere a impegnarsi in qualche attività utile, oppure essi stessi hanno ormai maturato una capacità di iniziativa in proprio. Perché, dunque, angustiarli? Ci sono, invece, altri studenti che hanno bisogno di riparare qualche lacuna. Perché invitarli a leggere libri (per carità, ottima iniziativa in via generale) quando necessitano di ripasso e approfondimento in matematica o in latino? Ci sono allievi, poi, che hanno propensioni particolari per l’attività artistica o desiderano migliorare la conoscenza delle lingue straniere oppure si dedicano ad attività di volontariato: ebbene le vacanze non costituiscono proprio l’occasione buona per coltivare anche questi aspetti?

Non si può decidere in astratto quale soluzione sia più idonea se non viene calata entro i differenti contesti e se non è monitorata mediante i normali strumenti della vita scolastica. 

È certo, in ogni caso, che la scuola non può accettare di essere tenuta in ostaggio dai genitori che sperano di farla franca, magari proprio quelli i cui figli sono ascrivibili alla categoria degli “asinelli”.