Non c’è rosa senza spine, recita l’adagio, e lo sanno bene i nostri studenti, che tra un panettone e un augurio di buon Natale, nell’ultimo giorno di scuola, momento, in teoria, di perfetta letizia, si sono visti assegnare, come una sorta di strenna precoce e indesiderata, i “compiti per le vacanze”.



Tra le infinite fenomenologie del discente si trova chi, preciso e pianificatore, si organizza un lavoro equilibrato durante tutta la pausa natalizia, e arriva a gennaio con le consegne rispettate dalla A alla Z; chi, invece, la mattina dell’Epifania si sveglia e si rende conto che Seneca aveva ragione, tempus fugit, e si precipita in uno studio matto e disperatissimo; chi, infine, memore della profonda verità in base alla quale di doman non v’è certezza, semplicemente non svolge alcuna consegna, arrivando al primo giorno di scuola con il quaderno intonso e la fronte serena di chi ha assaporato qualche giorno di otium totale.



Premesso ciò, vorrei soffermarmi su una consegna specifica tra le (molte?) che gli studenti si trovano a dover svolgere: quella delle letture. Durante l’anno scolastico è difficile, per chi insegna letteratura (italiana, latina, inglese…), uscire troppo dal seminato. I programmi vanno rispettati, il canone degli autori è nel complesso ben definito. E conoscendo la fatica che (in media) il docente deve affrontare per proporre agli studenti dei testi in lettura integrale, il ragionamento finale è di pura economia: se, in una classe quarta, sto spiegando Tasso, non mi potrò permettere di far leggere Lazarillo de Tormes, farò leggere l’Aminta. Se in quinta sto spiegando il Decadentismo, meglio concentrarsi su Il piacere, e non su Controcorrente



Il periodo natalizio quindi, come quello estivo, può rivelarsi utile per permettere alla classe alcune divagazioni che non ci si è potuti concedere nei mesi trascorsi, ed ecco, di conseguenza, apparire, tra una consegna e l’altra, l’obbligo di leggere per casa una o più d’una delle pietre miliari della nostra civiltà letteraria. Dirò la verità: così facendo mi sembra che, in primo luogo, si dia l’impressione di voler quasi imbrogliare i ragazzi, di voler cioè privare il Natale (ma lo stesso discorso vale anche per la pausa estiva) di quella funzione di vacanza e divertimento nel senso stretto dei termini, che invece gli deve competere.

Ma alla luce di questa impressione, siamo poi certi che gli studenti leggano davvero quanto dovrebbero? Internet pullula di siti che forniscono recensioni, sintesi, saggi su ogni classico della letteratura italiana ed europea, ad uso e consumo di ragazzi che, stanchi, e forse non a torto, delle fatiche scolastiche, si rifiutano di leggere, sulle piste da sci o sotto l’ombrellone, il o i libri loro assegnati. 

Quindi molti di noi preparano, per il rientro, verifiche per appurare che i ragazzi abbiano fatto il loro dovere. Su questo passaggio, a mio avviso, risiede un vizio logico: la letteratura è una forma d’arte. Come tale, il suo primo e principale compito è quello di dare piacere (il piacere estetico) a chi ne fruisce. Durante l’anno scolastico necessariamente prevale un’ottica “tecnica” dell’educazione letteraria: per garantire agli studenti strumenti adeguati a leggere con profondità e criticità i testi, così che possano trarne la maggiore comprensione, la più profonda interpretazione, e quindi il maggior piacere possibile, li guidiamo attraverso i movimenti, le epoche, le figure retoriche, gli stili. Alla luce di ciò, durante l’anno si rende necessario proporre dei testi particolarmente significativi, obbligando di fatto gli studenti a confrontarsi con quelli.

Non dovremmo però mai dimenticare che una condizione necessaria per una corretta fruizione artistica è la sua libertà. In altri termini, per provare piacere dalla lettura di un libro, o dall’ascolto di un brano musicale, devo essere io a volermi confrontare con una forma d’arte in un dato momento (e devo anche essere libero, se questa esperienza non mi gratifica, di abbandonarla!).

Durante l’anno, la struttura stessa della didattica della letteratura vieta (o perlomeno ostacola pesantemente) il piacere del confronto con l’oggetto artistico. Quando, al liceo, sono stato obbligato a leggere I promessi sposi, con buona pace di Manzoni ho sperato che la peste facesse piazza pulita di tutti i personaggi. Quando, anni dopo, ho ripreso in mano il romanzo liberamente, ne ho apprezzato la ricchezza e la profondità (ovviamente grazie anche agli odiosi obblighi del ginnasio).

Come uscire da questo stallo? Come facilitare il piacere della lettura agli studenti, salvaguardando la promozione delle competenze? Proprio le vacanze possono venirci incontro su questo. Ecco come.

1. Garantire la libertà della scelta, specie al biennio, proponendo un’ampia gamma di testi, e andando a pescare nella vastissima foresta della letteratura per ragazzi. C’è poco da fare: molto (quasi tutto) di quello che leggiamo in classe non è stato scritto per un pubblico adolescente; se le letture “festive” possono diventare occasione di lettura piacevole, questo può avvenire anche andando incontro ai gusti dei giovani lettori. Piccolo corollario a margine di questo primo suggerimento: i docenti di lettere sono degli esperti di letteratura, ma non sempre sono esperti di letteratura dell’adolescenza. Se non abbiamo il tempo o il modo di frequentare dei corsi di aggiornamento, basterà affidarsi alle competenze (spesso sottovalutate) di un buon libraio, oppure consultare i tanti e bei siti di biblioteche per ragazzi, tra i quali suggerisco quello della Biblioteca Sala Borsa di Bologna (http://www.bibliotecasalaborsa.it/ragazzi/).

2. Garantire la libertà nella lettura. Vincolare la lettura al dovere dell’analisi o alla prospettiva della valutazione significa, quasi certamente, vietare al lettore il piacere della libera avventura nel libro, e di conseguenza stimola, negli studenti, quelle pratiche dannose di inganno e di scorciatoie di cui però, a ben vedere, noi docenti siamo almeno in parte corresponsabili. Sarà quindi sufficiente stimolare, al rientro a scuola, un libero confronto, uno scambio di opinioni, un passaparola sui libri che sono piaciuti di più, rinunciando, quindi, a verifiche, compiti, interrogazioni.

3. Rispettare la polisemia. I fondamenti di comunicazione estetica ci insegnano che l’arte, per essere arte, deve essere anche polisemica (gli altri due pilastri della comunicazione artistica sono la sospensione del criterio di vero-falsità e la sospensione del criterio di utilità pratica). Questo, ad esempio, significa che non vi è nulla di sbagliato nel fatto che io preferisca Dante a Petrarca, o che un mio studente anteponga i Metallica ai Beatles. La stessa libertà di giudizio e di attribuzione di senso va garantita in questi “percorsi di libera lettura”. Pertanto se uno studente avrà il coraggio di stroncare un libro perché in quel momento della sua vita non gli è piaciuto, andrà stimolato in questo giudizio, andrà condotto nel terreno fertile della dialettica e dell’argomentazione, non andrà censurato perché bisogna amare Meneghello o Joyce.

4. Puntare sulla responsabilità. È evidente che lasciare libero uno studente di leggere un libro a sua scelta, senz’altro riscontro oltre a una discussione argomentata in classe, ci espone al rischio di “evasioni”. A ben vedere, però, tale rischio è ben presente anche di fronte agli obblighi canonici degli schemi o dei riassuntini, complice la già citata galassia internet… L’arma in più che avremo a nostra disposizione con questa via sarà, paradossalmente, la libertà concessa ai ragazzi, e la possibilità finale di esprimere giudizi e valutazioni in autonomia. Per i lettori meno solerti si potrà inserire, nella silloge di titoli proposti, qualche fumetto d’autore, ad esempio “Maus” di Art Spiegelman, e la lettura (meno semplice di quanto potremmo ipotizzare!) sarà comunque garantita. La prima volta ci sarà chi fa il furbo, ma se si prende questa esperienza come un punto di partenza (ad esempio per la creazione di una biblioteca di classe), probabilmente la motivazione dei lettori forti presenti in aula farà da volano per i ragazzi meno motivati.

5. Disfarci dell’utopia gentiliana. Spesso, come già scritto, la prima regola che vincola il docente nella scelta di una lettura integrale è il programma, la rincorsa eterna (ed eternamente destinata a fallire) dietro agli auctores che “vanno fatti”, quasi che diplomare studenti che non sanno chi sia Parini o Pulci sia un reato. Nei fatti, a scuola non bisogna “fare tutto”. 

Più semplicemente, bisognerebbe dotare gli studenti di quegli strumenti (o competenze, se si preferisce) che permettano loro, una volta diplomati, di entrare in libreria, acquistare un volume, leggerlo, comprenderlo e apprezzarlo nelle sue linee principali. Alla luce di questo principio, è chiaro che la missione del docente non sarà solo quella di sviluppare competenze tecniche, di analisi, di critica, di comprensione, ma, al fianco (e direi quasi prima) di queste, anche competenze di fruizione libera e piacevole dell’oggetto artistico. Solo così uno studente, terminato il ciclo dell’istruzione, passando di fronte ad una libreria non penserà agli schemi odiosi e alle interrogazioni di gennaio sulle letture natalizie, tirando dritto ben felice di non essere più costretto a leggere, ma, magari, entrerà ricordando le piacevoli scorribande attraverso i tanti aspetti e i tanti volti della letteratura che, fortunatamente per noi, non mancano!

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