I quindicenni italiani sono in cima alla graduatoria dell’indagine Ocse-Pisa per numero di assenze non autorizzate. Solo Argentina, Giordania e Turchia registrano percentuali più alte. Può sembrare un dato secondario, ma non lo è. L’Ocse ha quantificato un danno pari a 37 punti in meno in matematica in corrispondenza con questo elemento. Non andare a scuola è penalizzante rispetto alla possibilità di apprendere, ma è soprattutto il segno di una grande disaffezione nei confronti di un luogo in cui non si desidera andare. 



Chi insegna lo sa. Non si può imporre a nessuno di imparare. Occorre incrociare l’intelligenza e la libertà dei giovani. Il fatto che solo 3 quindicenni su 4 stiano frequentando la seconda superiore è un altro dato che rivela quanto sia alta la quota di studenti in difficoltà, che, dopo una o più bocciature, si trova ancora in prima superiore, o addirittura al terzo anno della scuola secondaria di primo grado. Sono studenti che spesso provengono da famiglie svantaggiate e rivelano livelli di competenza molto bassi, nonostante stiano ripetendo l’anno. 



Non basta “tenere” i ragazzi a scuola perché crescano. Andare a scuola “per forza”, ripetere quello che si è già fatto e non si è appreso nello stesso modo in cui è stato fatto, non porta frutto. Un ragazzo impara e cresce perché in lui si accende la dinamica dell’interesse e questo dipende in modo predominante dal tipo di proposta che gli viene fatta. E non esiste un’unica strada. Dopo la scuola  secondaria di primo grado i nostri studenti possono scegliere tra licei, tecnici, professionali e centri di formazione professionale. Ed è giusto che sia così. Continuare in un indistinto per altri due anni  come accade ad esempio in Spagna, dove la dispersione scolastica è al 30%, mortificherebbe ancora di più l’intelligenza, i talenti e le capacità degli studenti. Ma le diverse strade dovrebbero garantire nella diversità degli approcci la stessa efficacia.



Il rapporto Pisa 2012 presentato ieri a Roma rivela ancora l’esistenza in Italia di una scuola molto diversificata tra Nord e Sud, con punte d’eccellenza che la mettono ai vertici delle classifiche internazionali e baratri che la fanno precipitare in fondo a tutte le graduatorie. Si tratta di un divario territoriale così forte da ribaltare anche la differenza di risultati tra licei, tecnici, professionali e formazione professionale: gli studenti dei licei del Sud hanno risultati inferiori degli studenti che frequentano i tecnici del Nord, i risultati dei quindicenni che frequentano la formazione professionale della provincia di Trento sono nettamente superiori ai risultati dei tecnici del sud. 

Ma anche la vicinanza geografica non spiega tutto. All’ interno delle stesse aree geografiche sono presenti risultati molto diversi: ci sono regioni del Sud, come la Puglia e l’Abruzzo, che sono al di sopra della media Ocse, regioni del Centro come il Lazio che si trovano sotto la media dell’area e regioni del Nord-Est come l’Emilia Romagna che rimangono incollate alla media, a fronte di risultati molto superiori come quelli del Veneto e del Friuli. È vero, come Paese siamo migliorati in paragone alle rilevazioni Pisa 2003 e 2006 e l’inversione del trend negativo che si è verificata nel 2009 si è confermata. I risultati in matematica sono migliorati, avvicinandosi notevolmente alla media Ocse. È diminuito di 7 punti percentuali il numero di studenti con competenze insufficienti ed è aumentato di quasi 3 punti percentuali il numero di studenti che raggiunge livelli di competenze molto elevate, ma complessivamente rimane la fotografia di una varianza di risultati  enorme tra scuole e tra aree del Paese. 

L’immagine che emerge dal rapporto Pisa 2012 è sostanzialmente sovrapponibile a quella che si evince dalle rilevazioni degli apprendimenti Invalsi. Ma quella dell’Invalsi è una fotografia più definita, in grado di arrivare al dettaglio di ogni singola scuola e di ogni singola classe. Non faccio riferimento solo ai risultati delle prove di italiano e matematica, svolte da tutti gli studenti di seconda superiore nel 2012, ma anche a quelle che, a partire dal giugno 2008, hanno coinvolto tutti gli alunni delle classi di seconda e quinta della primaria, di prima e terza secondaria di primo grado. Sono dati che hanno messo in evidenza che la grande varianza di risultati tra scuole comincia già dal primo ciclo di istruzione e cresce con il crescere degli anni di scuola. Come colmare questi divari? Quali fattori possono incidere sul clima che si respira in classe e perché, come dice la stessa indagine, hanno una fortissima correlazione con i risultati degli studenti? Perché esistono delle differenze di genere così grandi nei risultati in matematica e lettura? Come innalzare il livello troppo basso di competenze degli studenti stranieri che dal 2003 al 2012 sono passati dal 2% al 7%?  Occorre aumentare il tempo scuola? Ridurre il numero di studenti per classe? Aumentare le risorse? Promuovere azioni di recupero all’interno della scuola? 

Il rapporto Pisa ci dice che l’orario scuola dei nostri ragazzi è più lungo della media Ocse. Ma dice anche che uno studente su due ha bisogno di ripetizioni in matematica, mentre la media Ocse è di uno su tre. 

Aggiunge che mentre i ragazzi italiani dedicano allo studio 8 ore e mezza alla settimana (quasi due ore in meno del 2003), i cinesi a Shangai studiano almeno 14 ore tutti i giorni. Afferma che non esiste correlazione meccanica tra aumento della spesa in istruzione e miglioramento dei livelli di apprendimento, e mette in evidenza che le classi piccole non sono di per sé garanzia di miglioramento della qualità  dei risultati. 

Su questi dati e sui tanti altri di cui è ricco il rapporto 2012 varrebbe la pena riflettere attentamente senza fermarsi ai preconcetti.

Senza le indagini internazionali non potremmo avere queste aperture, ma senza avere delle indagini nazionali in grado di restituire dati ad ogni singola scuola e ad ogni singola classe le indicazioni che emergono dal Pisa avrebbero molto meno forza di cambiamento.

È nella singola scuola nella singola classe che è necessario  arrivare, è lì che occorre capire quale è la situazione ed è lì, con quei ragazzi, con quei bambini, con quei docenti, che occorre trovare le strade da percorrere. 

Ma occorre aver il coraggio di stare davanti alla realtà. Andreas Schleicher, il direttore dell’indagine Pisa, commentando il miglioramento dei risultati dell’Italia, sottolineava l’importanza che può aver avuto per il nostro Paese stare davanti al dato di realtà. E questo è vero a tutti i livelli di responsabilità: ministri, capi dipartimento, direttori generali, presidenti, studenti, genitori, docenti e presidi.

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