Caro direttore,
alcune considerazioni sul Tirocinio formativo attivo. 1. Pare che partirà il Tfa cosiddetto speciale. Io che ho avuto accesso a quello ordinario con relative preselezioni e avrei i requisiti di servizio per accedervi, mi trovo con la promessa di uno “sconto” sulla parte di formazione attiva nella scuola (cioè il tirocinio in aula), di cui peraltro non si sa nulla nonostante l’imminente partenza: attendiamo ancora il decreto di regolamentazione. All’Università Cattolica c’è vuoto assoluto su date, ore e supervisori: ci hanno consigliato di cominciare a cercarci possibili tutor di tirocinio da soli. Ci tengo a precisare che questa non vuole essere una critica all’università in cui ho avuto il piacere di laurearmi, ma la constatazione di uno stato di diffusa confusione.



Stando a quanto si è detto nel dibattito parlamentare del 29 gennaio l’ipotetico (ma non troppo) frequentante il Tfa speciale non dovrà svolgere la parte di tirocinio nella scuola poiché “giustificato” dai tre anni di servizio prestati (requisito che possiedono anche molti dei frequentanti il Tfa ordinario, come il sottoscritto). Quindi io che sono passato per “la via stretta”, con relativi costi e fatiche, sono penalizzato… o mi sfugge qualcosa? Oltre a una selezione più rigida e a esami doppi (selezione e fine percorso) dovrò effettuare delle ore di tirocinio nella scuola. Questo significa che mentre insegno in un liceo a regime di cattedra piena dovrò recarmi in un’altra scuola a imparare ad insegnare perché nella mia non ho un collega di ruolo che abbia i requisiti per farmi da tutor di tirocinio: dovrei inoltre, a fine percorso, presentare una relazione. Chi è stato escluso dal precedente percorso o non l’ha intrapreso, invece, no. Lo dico con sommo rispetto di chi non ha passato le selezioni pur conseguendo risultati eccellenti nelle prove e nei titoli di studio ma è stato scartato perché privo o carente di servizio, criterio che è stato infine decisivo. Tutto questo per finire quindi nel calderone di una graduatoria dove il criterio preponderante, dopo tanti giri della morte, sarà ancora una volta diverso dal merito e dall’impegno.



2. Alcuni dei docenti universitari (fortunatamente ci sono importanti eccezioni) agiscono come se avessero di fronte universitari e non padri e madri di famiglia con un lavoro e i corsi da fare. Molti dei contenuti delle lezioni sono pura astrazione dai problemi quotidiani e di cui facciamo fatica ad occuparci perché siamo innanzitutto preoccupati dalle responsabilità lavorative e familiari (vista l’importanza riservata ai titoli di servizio in fase di selezione per il Tfa ordinario, il 90 per cento dei “praticanti”, almeno nel mio gruppo lavora, e spesso a regime di cattedra).

3. Le informazioni sulla seconda parte del percorso di abilitazione, che dovrebbe essere divisa secondo la classe di abilitazione e prevedrebbe la parte di tirocinio nella scuola, sono frammentarie e incerte: il risultato è che non ci è possibile organizzarci (collegi, consigli, riunioni pomeridiane, formazione, progetti, aiuto pomeridiano ecc. vanno spesso a farsi benedire a scapito della qualità e completezza del nostro lavoro).



Spesso su aspetti determinanti non ci sono programmi ma voci di corridoio animate dal passaparola. Vedo quasi quotidianamente persone che devono frequentare a tutti i costi e che magari hanno i figli malati, il marito in ospedale, collegi docenti e studenti a cui insegnare… potrei continuare a lungo ma mi fermo.

Tutto ciò ci costa 1.300 euro per due rate e 3/4 pomeriggi (10-12 ore la settimana più spostamenti anche notevoli) in un clima di continua incertezza e cambiamento, per cui domani le cose potrebbero cambiare di nuovo, come già è successo innumerevoli volte.

Questo è un quadro sintetico (e senza dubbio parziale), forse uno “sfogo informativo”, a un passo dalle elezioni politiche in conseguenza delle quali tutto potrebbe essere nuovamente stravolto.

Se la situazione degli insegnanti sta al sistema Italia come gli occhi stanno all’anima…

Un ultimo della classe,

Gabriele

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