Ecco la scuola secondo Scelta civica, la coalizione che sostiene la premiership di Mario Monti. A rispondere alle domande de ilsussidiario.net è Stefania Giannini, rettrice dell’Università per stranieri di Perugia. L’autonomia, dice Giannini, può esserci solo se commisurata alla responsabilità e dunque alla valutazione del personale docente, il cui stato giuridico deve cambiare. Sì all’assunzione dei docenti da parte delle scuole, a precise condizioni. L’autonomia? Manca quella finanziaria.
Sulla scuola sono intervenuti finora Andrea Moro di Fare per Fermare il declino, Francesca Puglisi per il Pd, Elena Centemero per il Pdl, Letizia Bosco e Ilaria Persi per Rivoluzione civile – Ingroia.



Professoressa Giannini, su cosa basate il programma di Scelta civica per la scuola italiana? Qual è l’idea portante?
La scuola è decisiva per il futuro dell’Italia in Europa e per la composizione di una società coesa, inclusiva e competitiva. Dalla scuola dipende il futuro del Paese, perché forma coscienze e competenze. Nessuno governo sembra essersene accorto in Italia negli ultimi decenni, con colpevole e coerente trascuratezza, a destra e a sinistra. L’Agenda Monti è la prima lodevole eccezione a questa triste tradizione italiana. L’idea chiave è semplice da enunciare e politicamente molto impegnativa: rimettere al centro del progetto politico per l’Italia che vogliamo la cultura, l’istruzione e la ricerca. La scuola rappresenta il primo, essenziale gradino di questa scala. Ne abbiamo scritto e parlato pubblicamente da subito, con poche parole chiave: merito, autonomia e responsabilità, valutazione, aggiornamento.



Veniamo ai docenti. Prima del governo Monti è stato avviato dal governo Berlusconi il Tfa basato sulla separazione tra abilitazione e reclutamento. Il Tfa transitorio si sta svolgendo. Il Tfa ordinario dovrebbe partire subito dopo, mentre è atteso il decreto sul Tfa speciale. Andrete avanti sulla strada intrapresa? Cosa intendete fare?
Scuola e università sono state finora blocchi separati e scarsamente dialoganti. Inutile ripeterne i motivi, noti a chiunque nell’una o nell’altra abbia speso la propria vita e la propria esperienza professionale. Quasi mai chi parla di istruzione in politica conosce le due dimensioni. Ciò ha recato e continua a recare danni e sprechi intellettuali, didattici e formativi. Anche sulla formazione iniziale degli insegnanti abbiamo assistito agli stessi mali: 4 anni di vuoto nel tirocinio formativo, un’impostazione nozionistica e non sempre impeccabile nella formulazione dei test di ammissione, e potrei continuare…



Dunque?
Un piano nazionale di aggiornamento e formazione degli insegnanti che veda le università protagoniste permetterà di continuare sulla strada intrapresa, ma con modifiche sostanziali: in particolare, l’inserimento dei laboratori didattici all’interno della laurea magistrale specialistica per l’insegnamento, separando questa fase formativa dal periodo pratico di tirocinio dopo la laurea, è un esempio concreto di tale rivisitazione. Tuttavia, non pensiamo ad un rapporto unilaterale università-scuola. Per l’insegnamento nei laboratori didattici in università e per il Tfa, serve un nuovo raccordo fra scuola e università, anche per valorizzare competenze che si maturano all’interno della scuola. Dentro una logica sussidiaria, il mondo delle associazioni professionali e disciplinari deve far parte della formazione iniziale ed in servizio. In ogni caso, due sono i principi fondamentali: l’abilitazione deve essere conseguente alla valutazione di un effettivo tirocinio nelle classi, e il momento dell’abilitazione all’insegnamento e il momento dell’ingresso nei ruoli del personale scolastico devono essere separati.

È partito il concorso bandito dal ministro Profumo, ma la legislatura si chiude senza che un nuovo regolamento per il reclutamento dei docenti sia in vigore. Qual è il vostro progetto in merito? Come deve avvenire l’assunzione degli insegnanti: a) per impedire la formazione di nuovo precariato? b) per selezionare personale che sia effettivamente capace di insegnare?

I concorsi sono efficaci solo se si svolgono regolarmente. Il concorso per gli insegnanti è stato sospeso per 13 anni. La conseguenza non poteva che essere la patologia del precariato. Riaprilo dopo 13 anni di silenzio per l’immissione in ruolo di 12mila docenti è stato un atto di coraggio e assunzione di responsabilità politica. Per il futuro: concorsi regolari, che valutino competenze disciplinari e didattiche.

Si è parlato in tempi recenti di assunzione diretta dei docenti da parte di scuole o reti di scuole, sulla base dei posti disponibili e dell’offerta formativa di ciascuna scuola. Cosa ne pensa Scelta civica?
Autonomia e responsabilità sono princìpi cardine di un rinnovato sistema dell’istruzione che voglia essere inclusivo (per la coesione sociale interna al Paese) e competitivo (per la necessaria spinta alla crescita e allo sviluppo che un sistema educativo deve garantire in un paese avanzato, dentro e furori dai confini nazionali). Nella scuola, la maggiore assunzione di responsabilità da parte dei singoli istituti scolastici e delle reti di cui essi fanno parte significa anche poter scegliere i propri insegnanti e poterne valorizzare le qualità e l’impegno. Se tutto questo processo sarà collegato ad una seria e rigorosa attività di valutazione (vedi il nostro programma in merito), nel corso di una generazione scolastica potrà compiersi un vero cambiamento culturale, prezioso per gli studenti e assolutamente necessario per gli insegnanti, stanchi di lavorare in un sistema che appiattisce impegno e passione, che certamente non mancano nelle nostre aule.

Secondo voi la professione docente è valutabile? Perché e chi deve presiedere a questo compito? Alla valutazione deve o no corrispondere una diversa retribuzione? Ritenete che scatti e anzianità siano la sola strada possibile?
Gli insegnanti hanno due compiti fondamentali nell’esercizio della loro professione: insegnare (e questo è ovvio) e studiare e aggiornare le loro competenze, sula piano dei contenuti disciplinari e del metodo (e questo è meno ovvio). Queste due componenti fondamentali nella professionalità di un docente (dalla scuola all’università) sono l’oggetto primario della valutazione del suo operato in aula e della sua interazione con i propri alunni o studenti. I metodi di valutazione per la didattica sono ampiamente sperimentati in molti paesi europei, soprattutto nella tradizione anglosassone: uno dei criteri (sia pure di valutazione indiretta) è dato dal risultato del processo di apprendimento che la classe dimostra di avere raggiunto. In questo senso, anche i test Invalsi, pur con le loro imperfezioni, forniscono indicatori in tal senso. Sul piano della preparazione teorica e metodologica, diventano cruciali l’aggiornamento e la formazione, che non possono restare frutto di una buona volontà occasionale e quasi mai valorizzata. Valutare significa prima di tutto comparare merito e impegno. Ciò ha un senso e una reale efficacia se e solo se il risultato della valutazione potrà modificare anche una parte del trattamento economico. Una scuola che proceda per anzianità e inerzia non fa bene né a chi ci insegna, né a chi ci impara e soprattutto non fa bene allo sviluppo della nostra società.

Secondo voi è o non è necessario ipotizzare la definizione di un nuovo stato giuridico dei docenti?

È necessario, su due livelli. Il primo riguarda il contratto nazionale di lavoro e i meccanismi di progressione in carriera. Il secondo, non secondario, concerne la professionalità del docente scolastico, che, come detto sopra, deve essere ridefinita e valorizzata nelle sue componenti interne essenziali: didattica, di formazione e aggiornamento, di coordinamento delle attività svolte da altri colleghi all’interno dell’istituto. Su questi punti, la scuola italiana è ferma da anni ad una visione statica e quindi ormai inattuale. Alcuni esempi concreti: prevedere nel contratto i compiti diversi citati sopra (un bravo docente dopo 25 anni di servizio potrebbe ragionevolmente dedicare parte del proprio impegno orario al coordinamento o alla valutazione). In altri termini, si tratta di un cambio radicale di mentalità, di regole di funzionamento di un mondo, quello della scuola, che appare appiattito, stanco e demotivato, almeno nella sua generalità.

Veniamo alla valutazione delle scuole. Che ruolo deve o può giocare la valutazione dei singoli istituti per il miglioramento del nostro sistema scolastico? Cosa fare?
La valutazione è uno strumento fondamentale per migliorare ogni singola scuola e ogni centro di formazione professionale. Non c’è autonomia senza responsabilità, come enunciato sopra. I principi sono noti e ben diffusi a livello europeo ed internazionale: trasparenza e accountability verso la società esterna (famiglie, studenti, stakeholders). È un percorso iniziato da 12 anni e riguarda la valutazione delle scuole e dei dirigenti in linea con le migliori esperienze a livello internazionale. Ci sono organismi che già hanno un ruolo nel processo (vd. art. 51 del decreto semplificazione e sviluppo, che affida all’Invalsi il coordinamento del sistema  nazionale di valutazione, legge 10/2011), di garanzia tecnica e scientifica e di indipendenza. Ma non basta. Nelle scuole, come nelle università, c’è anche un esercizio interno che deve essere compiuto secondo analoghi criteri di indipendenza e rigore, ma con un occhio attento e consapevole ai differenti bisogni: problemi nella gestione delle risorse umane, nel rapporto con il territorio, nell’impianto di organizzazione della didattica. Questa parte del processo di valutazione deve essere affidata a nuclei di valutazione che coinvolgano forze interne e soggetti esterni all’istituto, esattamente come è già avvenuto per le università. Analogo è infatti l’obiettivo: il miglioramento e la rendicontazione pubblica di ogni singola istituzione scolastica e formativa.

Cosa pensa delle rilevazioni nazionali Invalsi sull’apprendimento degli studenti? Scelta civica cosa propone?
Un dato è certo: Invalsi, come Pisa 2001, ha dimostrato che c’è una variazione di risultato che tende ad aumentare non solo tra le diverse aree del Paese e tra i differenti tipi di scuola superiore (licei, tecnici e professionali), ma anche nella scuola di base e non solo (si arriva fino al 50% tra scuole primarie della stessa zona). Le quattro leve che porteranno ad un maggiore equilibrio sono nell’ordine: autonomia reale dei singoli istituti scolastici, valutazione, riqualificazione del personale docente (formazione e aggiornamento), sostegmo alle famiglie (cioè anticipazione del diritto allo studio). La stima delle risorse necessarie è possibile utilizzando la previsione del Fmi sulla crescita del Pil e dell’inflazione e considerando un riutilizzo pari allo 0,2% per la scuola.

La legge sulla parità scolastica (62/2000) comporta la distinzione tra scuole pubbliche e paritarie nel quadro di un unico sistema nazionale di istruzione e formazione. Secondo voi la parità può dirsi oggi realizzata? Perché? Cosa fare?

La parità non è ancora stata raggiunta e la possibilità di libera scelta da parte delle famiglie è ancora ipotetica. L’Agenzia delle entrate considera un lusso l’investimento che molte famiglie fanno, talvolta a costo di grandi sacrifici. Ciò contrasta con la visione liberale e avanzata del sistema educativo che ci proponiamo di affermare. Cooperazione competizione fra pubblico e paritario sono parole chiave anche in questo caso.

L’autonomia scolastica oggi è da considerarsi già attuata? Secondo Scelta civica, nel quadro di una autonomia compiuta (non solo funzionale ma anche giuridica e finanziaria) una scuola potrebbe ricevere direttamente risorse finanziarie? A quali condizioni?
Il Regolamento sull’autonomia delle istituzioni scolastiche è stato approvato dal 1999, ma non è mai stato realizzato pienamente. Sulla carta le scuole potrebbero fare scelte per favorire inclusione, merito, flessibilità, personalizzazione dei percorsi, orientamento agli studi superiori, al lavoro e alle professioni, anche con una diversa  articolazione delle classi e del tempo scuola. In realtà non hanno la possibilità di  farlo in modo sistematico per i troppi vincoli e la mancanza di risorse adeguate. È necessario definire, in modo chiaro e condiviso, i compiti che spettano allo Stato, alle Regioni e agli Enti locali per dare ad ogni scuola certezze e strumenti reali per operare. La creazione di reti di scuole, anche di ordini diversi, per favorire la flessibilità dei percorsi didattici e per condividere risorse, laboratori, e personale è una strada da percorrere. Ma si dovrà anche ridefinire il modello di governance delle istituzioni scolastiche autonome: maggiore collegamento al territorio ed alle comunità locali, strutture organizzative che prevedano una leadership distribuita e, di nuovo,  valorizzazione delle professionalità specifiche dei docenti. Non c’è vera autonomia senza autonomia finanziaria. L’argomento è delicato, ma anche molto chiaro.

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