In questi giorni di campagna elettorale sono ormai definiti i temi, scuola compresa, intorno ai quali si concentra il confronto tra i diversi schieramenti. Eppure le iniziative dei principali leader per un rilancio della scuola, a parte qualche lodevole intenzione o uscita pubblica, stentano ad avere spazio. Nei mesi scorso ad esempio, durante le proteste sulla questione delle 24 ore, spesso si era parlato della necessità di “rilanciare” la scuola: ma cosa vuol dire esattamente?



Trascurata dalla politica, forse la sfida dei prossimi anni sarà proprio questa: la scuola dovrà farsi promotrice essa stessa del proprio “rilancio”, in un grande confronto nel Paese. Le scuole dovranno mettersi in gioco – ancor più di quanto facciano oggi – sul terreno della qualità dell’offerta formativa, anche a fronte di risorse economiche destinate all’istruzione sempre più limitate, per documentare quale sia l’apporto all’educazione e alla formazione delle giovani generazioni. La sfida dei prossimi anni sarà perciò giocata sul terreno dell’autonomia, sul  modo con cui le scuole sono in grado di esercitare la propria libertà culturale, progettuale ed organizzativa.



Il Regolamento sull’autonomia del 1999, almeno sulla carta, ha introdotto un ampio spazio per l’azione delle scuole: si parla infatti di autonomia didattica, organizzativa, di ricerca, innovazione e sviluppo. Davvero tutte queste possibilità sono state esperite? Davvero i soggetti della scuola ne hanno colto la sfida e la portata? Ma quali sono i vincoli e quali gli ostacoli reali ad una piena attuazione dell’autonomia? 

Facciamo un esempio: l’autonomia organizzativa. La normativa attualmente vigente affida alle Regioni il compito di definire il calendario: inizio e conclusione delle elezioni; festività di Natale e Pasqua ed eventuali “ponti”; il tutto con l’unico vincolo di almeno 200 giorni di scuola, minimo per assicurare la regolarità dell’anno scolastico. Alle scuole dunque l’organizzazione interna del tempo. Molte scuole anticipano l’inizio delle lezioni, definiscono pause in corso d’anno, stabiliscono modalità per eventuali recuperi del “tempo scuola” (fissato dalla normativa nazionale) in caso di particolari organizzazioni dell’orario delle lezioni (esempio unità didattiche di 50/60 minuti). 



Già da qualche anno i collegi dei docenti di alcune scuole hanno deliberato una diversa organizzazione delle fasi della valutazione periodica: alla tradizionale scansione per quadrimestri o per trimestri, si sono introdotte articolazioni diverse, ad esempio un “trimestre” ed un “pentamestre”. Solo un piccolo intervento di ingegneria? Probabilmente no. Una tale suddivisione del tempo corrisponde infatti alla necessità di concedere tempi più distesi, nella seconda parte dell’anno, sia per lo svolgimento dell’attività didattica che per la pianificazione e per l’organizzazione delle attività di recupero. 

Durante il primo trimestre i docenti attuano la propria programmazione adeguandola ai tempi più brevi e, nel primo colloquio con le famiglie – di solito ai primi di dicembre − esprimono una valutazione relativa al livello raggiunto dagli studenti in quella fase dell’anno in relazione agli argomenti svolti sino a quel momento: una valutazione ancora provvisoria, certo, ma allo stesso tempo un indicazione utile sull’andamento del profitto per studenti e famiglie. 

Lo scrutinio nelle prime settimane di gennaio ratifica i risultati di una fase di lavoro che si è conclusa in dicembre. Il ritmo di lavoro sostenuto di questo primo periodo scolastico è bilanciato dalle vacanze natalizie, che diventano una pausa autentica tra due distinti periodi di lavoro. D’altra parte il “pentamestre” garantisce una seconda parte dell’anno più estesa e continua: gennaio diventa il mese della ripresa delle attività e non il mese dell’ansia, per le interrogazioni e compiti in classe a ripetizione; si possono programmare con più agio stage o viaggi di istruzione; le altre interruzioni (vacanze pasquali ed eventuali ponti di fine aprile ed inizio maggio, ecc.) costituiscono pause;  inoltre permette una distribuzione equilibrata delle verifiche e tempi ampi per il recupero. Il colloquio con le famiglie, a metà circa del pentamestre, acquisisce un peso notevole in quanto certifica una tappa davvero intermedia. La valutazione finale quindi risulta il momento conclusivo di un percorso monitorato con maggiore regolarità e mirato al conseguimento del successo scolastico. 

Si tratta dunque di scelte che incidono positivamente sul miglioramento dell’offerta formativa. Si tratta di un esempio che dimostra che gli spazi per muoversi esistono. In questi anni molti sono stati gli ostacoli di natura normativa o economica. Occorre che il confronto sulle buone pratiche e sugli esempi virtuosi nelle scuole diventi serrato e soprattutto esca fuori dalla cerchia degli addetti ai lavori. Ma occorre anche rimuovere gli ostacoli frapposti al pieno esercizio di questa libertà e responsabilità da parte delle scuole. C’è da augurarsi che questo sia per il nuovo governo un punto prioritario. L’autonomia è qualcosa che deve essere riconosciuta, ma che va anche conquistata.