Trovare le ragioni al calo delle immatricolazioni nei nostri atenei, alla minore percentuale di giovani che si laureano in Italia rispetto agli altri paesi occidentali, senza essere retorici e/o banali non è operazione semplice, ma reputo che la si possa rischiare a partire dall’esperienza. Io parto da quella dei Camplus e quindi dei Collegi di merito dove vengono ospitati e formati i talenti e gli studenti meritevoli. Nei nostri Camplus gli studenti non diminuiscono, ma crescono e sono introdotti al lavoro in modo rapido e soddisfacente. Un pezzettino di università positiva, dove la crisi c’è e si sente, ma che, per il risultato che si produce in termini di crescita delle persone, ritengo possa dare alcune indicazioni importanti su questo scenario.



1. Il primo fattore di crisi degli atenei è la genericità e uniformità della loro offerta. Troppi atenei sono uguali tra loro, non si distingue tra quelli che possono rimanere generici (offrono di tutto), quelli specialistici (per esempio i politecnici, i quali peraltro tendono ad allargare il proprio campo di azione), quelli sotto casa che offrono una formazione da super liceo, e quelli fatti per “vendere” semplicemente lauree. Tutti ugualmente finanziati dallo Stato a pioggia, all’italiana. Eppure sarebbe necessario distinguere, soprattutto quelli che producono ricerca, da chi fa soltanto didattica (e non è mica un male di per sé, basta che sia dichiarato). Se invece tutto è uguale che senso ha scegliere? 



2. In un paese di furbetti, come è l’Italia, la vera scelta nella formazione, quella cioè che si fa pensando all’investimento e non solo al costo, avviene in base a quanto è premiato il merito e al collegamento reale con il mondo del lavoro. In altri termini, se in un ateneo si iscrivono i talenti è perché c’è una reale preparazione e perché questo è inserito e collegato in un sistema produttivo-professionale che consente una scelta e un’entrata reale nel ciclo lavorativo. 

3. C’è indubbiamente un problema di costi, data la crisi epocale in cui viviamo. Ma il punto è distinguere se le spese per frequentare l’università sono considerate spese di investimento per il futuro o no. Se lo sono e gli atenei concorrono a far sì che lo siano (considerando l’università non appena l’ennesimo ente pubblico il cui scopo sia innanzitutto assicurare posti di lavoro, ma un servizio da offrire) una famiglia è disposta, per il futuro dei figli, ad affrontare la spesa. Deve però essere convinta che ne valga la pena. Non si spiegherebbe diversamente il successo di alcuni atenei italiani e di altri no, o la scelta che riscontriamo tra alcuni nostri studenti, magari per la laurea specialistica, di andare in atenei esteri che costano molto di più di quelli italiani.



Occorre ovviamente incrementare i finanziamenti rispetto a quelli che oggi sono previsti, ma non a pioggia, e prevedendo la chiusura degli atenei in alcune città (oggi ce ne sono ben 72). E poi permettete un paradosso. Bisogna aumentare le tasse degli atenei, sia perché questo deve costringere a incrementare la qualità dell’offerta, sia per evitare che i poveri paghino ai ricchi l’università attraverso le basse rette (facendo un favore ai ricchi che così pagano poco un bel servizio) compensate dalla fiscalità ordinaria (quindi anche dei poveri). Bisogna invece, contestualmente, aumentare le borse di studio a tutti quelli che ne hanno bisogno dai 4.500 euro attuali a 10mila euro. Benvenuto sia il redditometro. Ma soprattutto controlli severi. Erogare fondi solo a chi merita…

4. Che proliferino esperienze di eccellenza. Siamo il paese non solo dei furbi ma anche dei talenti, in qualunque campo. Siamo un paese ricco non di materie prime, ma di cervello, di capacità di far nessi, di cultura (nelle nostre università ci sono tanti maestri veri) ed è il motivo per cui i nostri dottorandi e ricercatori sono richiesti all’estero. Puntiamo sui nostri talenti, creiamo spazi a docenti bravi – sottraendoli alle pratiche furbe dei colleghi meno dotati -, agli studenti bravi, mettendoli in condizioni di rimanere legati al sistema produttivo e accademico, perché nel tempo questo matura relazioni e attrattività.

La generazione dei nostri teenager ha già mandato giù messaggi assai poco rassicuranti sul proprio futuro ed è preparata a combattere una competizione che sarà spietata e avrà poche reti e protezioni. Infondiamogli almeno fiducia sul fatto che il merito e il coraggio saranno premiati.