E’ un fatto: un giovane che non ha goduto di un percorso formativo adeguato, sia sul fronte universitario che professionale, ha molte più probabilità di andare incontro a un destino incerto. Specie in merito alla ricerca di un’occupazione. Per questo, l’Agenda educativa di Scelta civica appare piuttosto ambiziosa, e si impone di riformare radicalmente il sistema nel suo complesso. Dallo status degli insegnanti, all’introduzione di criteri di valutazione e merito efficaci, passando per la concessione di un’autonomia reale e ragionata, e per l’implementazioni di misure volte a sostenere le famiglie, anche nella loro libertà di scelta. Abbiamo “fatto le pulci” al programma montiano con Angelo Paletta, docente di Economia aziendale presso l’Università di Bologna.
Non pensa che l’Agenda educativa di Scelta civica sia piuttosto dettagliata? Forse troppo, alla luce delle incognite di natura finanziaria cui sono esposti oggi i bilanci degli Stati.
Alcune ipotesi di ristrutturazione del sistema educativo sono a costo zero, e si possono fare “semplicemente” cambiando le regole del gioco. Altre, ovviamente, richiedono un impegno sul piano finanziario. Penso, ad esempio, al concetto di autonomia scolastica o alla gestione delle risorse umane; misure che, effettivamente, richiederanno di precisare la disponibilità della risorse.
Il programma scolastico di Monti si impone di fare in modo «che ogni famiglia italiana, ovunque abiti, di qualunque estrazione sociale sia, possa avere una scuola e una formazione di qualità per i propri figli». E’ realistico?
Tutti i governi, a livello internazionale, si sono imposti questo obiettivo di fondo. Indubbiamente, è molto ambizioso, ma non è prescindibile. Per molti ragazzi provenienti da fasce svantaggiate, infatti, l’unica possibilità di riscatto sociale consiste nella scuola.
A dire il vero, la qualità è sempre stato un obiettivo di tutti. Ritiene che il programma di Scelta civica sotto questo punto di vista sia più credibile degli altri?
Diciamo che nelle proposte presentate è ravvisabile una coerenza di fondo. Mi riferisco, in particolare, all’ipotesi di concedere maggiore autonomia accompagnandola a maggiore responsabilità. Si ritiene, cioè, che sia necessario dare più potere alla domanda, ovvero alle famiglie. La libertà di scelta non si esaurisce nel diritto ad assicurare al proprio figlio le stesse possibilità di chi ha maggiori risorse, ma richiede che si esercitino pressioni a livello locale, su dirigenti e insegnanti, affinché adottino scelte coerenti in termini di metodologie, e contenuti che rispondano non solo alle esigenze nazionali ma anche alla specificità dei contesti culturali in cui le scuole operano.
Monti vuol mettere a disposizione della scuola 8 miliardi di euro in più, spalmati nell’arco della legislatura. Dove pensa si possano reperite queste risorse?
Andrebbe chiesto agli estensori del programma… In generale, tuttavia, l’intenzione di fondo pare quella di dar vita ad un riassetto della macchina amministrativa. Quali sono le funzioni chiave che uno Stato moderno deve limitarsi a svolgere? Se alcune legate alla sicurezza, alle infrastrutture, alla sanità, all’istruzione, o all’assistenza sociale non sono derogabili, rispetto a tutte le altre è necessario chiedersi se sia compito dello Stato continuare a garantirle. Mi pare evidente che occorra andare verso una maggiore selezione, volta a recuperare risorse per poter essere più efficaci negli investimenti.
Nel programma si fa dipendere l’assegnazione dei fondi, anche comunitari, dai risultati e dalla valutazione. Non c’è il pericolo che qualcuno rimanga indietro?
Si tratta di un aspetto estremamente delicato. Indubbiamente, se si intende incentivare le performance migliori, non si può farlo esclusivamente in termini monetari, nei confronti di dirigenti ed insegnanti, ma anche dando, ad esempio, la possibilità di progredire nelle carriere. Tuttavia, se questo è ciò che correttamente dovrebbe avvenire in un’azienda, c’è da chiedersi se sia opportuno applicare un tale modello anche nelle scuole.
Perché?
I Paesi che hanno introdotto nell’istruzione sistemi di “quasi mercato” (come Gran Bretagna e Stati Uniti) stanno facendo marcia indietro. Si sono resi conto che il rischio di comportamenti opportunistici a livello locale è enorme. Se, in cambio di performance ottimali si danno dei soldi, le scuole potrebbero decidere di gestire dei numeri dimenticando che dietro a quei numeri ci sono dei ragazzi. Per intenderci, gli insegnanti potrebbero lasciare che gli studenti, durante i test, copino. O, addirittura, potrebbero – come è accaduto in certi casi – dettargli le risposte giuste.
Altro impegno del premier uscente è la deduzione progressiva delle «spese certificate in istruzione, come le rette per le scuole paritarie ed i contributi versati per la scuola statale». Cosa significa secondo lei?
L’idea rappresenta il tentativo di immettere nel sistema risorse che, attualmente, lo Stato non è in grado di garantire. Contestualmente al potenziamento della libertà di scelta attraverso la deduzione delle rette, si intende sgravare fiscalmente i contributi volontari alle scuole statali. Contribuiti che in certe scuole, specie al nord, pareggiano o, in certi casi, addirittura superano il fondo di istituto che lo Stato eroga come finanziamento.
Come sarà sostenuta, concretamente, «la possibilità effettiva di scelta educativa per le famiglie meno abbienti che non sono nelle condizioni di dedurre le spese in istruzione»?
Il programma lascia intendere che il sistema dei voucher è una tra le opzioni che saranno adottate. Un meccanismo che, in alcuni Paesi, è ben rodato, e che consente alle famiglie di poter spendere liberamente nelle istituzioni che preferiscono. Tuttavia, occorre essere molto realistici. Dare una facoltà del genere implica farsi contestualmente carico di una preoccupazione: la famiglia farà una scelta razionale? Tale scelta sarà effettivamente legata a fattori connaturati all’apprendimento degli studenti o a semplici sensazioni e a dei passaparola? In sostanza, il sistema dei voucher può innescare meccanismi virtuosi solo se accompagnato da una conoscenza precisa della qualità della scuola.
Come si possono, in tal senso, informare i cittadini?
Si tratta di un passaggio non del tutto esplicitato nel programma e che si realizza, tanto per cominciare, con la pubblicazione dei risultati dei test Invalsi.
Il sistema dei voucher potrebbe coprire interamente il costo dell’offerta formativa laddove una famiglia volesse mandare i figli in scuole paritarie?
In nessun Paese esiste una sistema di questo tipo. Tuttavia, in molti c’è un sempre maggior equilibrio tra i finanziamenti destinati alle scuole che fanno parte direttamente o indirettamete dello Stato e quelli a favore delle famiglie o delle scuole private.
(Paolo Nessi)